«E se ogni sorso che fai potesse aiutare a ricostruire Gaza?». Potrebbe essere un obiettivo forse utopico, ma non per questo inutile. Con questo intento è nata Gaza Cola, «una bevanda che incarna lo spirito», come la definiscono i suoi ideatori. Sono un gruppo di palestinesi, guidati dall’attivista dei diritti umani, regista e (da poco) imprenditore Osama Qashoo. Mossi dalla voglia di aiutare i loro connazionali, hanno deciso di passare all’azione per offrire il loro contributo. Hanno fondato Gaza Cola nel 2023 (ne avevamo già parlato qui), quando è scoppiata la guerra, per commercializzarla l’anno dopo portando sugli scaffali una lattina simile a quella tradizionale, ma con un significato diverso.
Mentre la Coca Cola viene accusata di avere uno stabilimento ad Atarot, negli insediamenti israeliani della Cisgiordania occupata, la Gaza Cola è prodotta con soli ingredienti palestinesi. Una parte del ricavato dalle vendite viene utilizzato per finanziare un progetto in loco e quello scelto da Qashoo è la ricostruzione dell’ospedale Al Karama, nel nord della Striscia. Il motivo lo ha spiegato lui stesso al Guardian: «È piccolo, abbastanza gestibile e non costa molto». Non sa se ci riuscirà, ma di certo non è questo a fermarlo. «Ci è concesso avere immaginazione, dobbiamo sognare altrimenti non possiamo vivere». Come logico, il fine non è creare una competizione commerciale con il grande marchio americano – contro cui avrebbe speranze pari a zero – ma sensibilizzare le persone su quello che sta accadendo. Gaza Cola è «una dichiarazione a tutte quelle aziende che investono nel commercio delle armi, per porre loro la questione della dignità. Vedete cosa stanno facendo con i vostri soldi? Stanno facendo danni, stanno distruggendo case e il nostro posto. Devono svegliarsi e capire che i loro soldi e la loro avidità stanno causando il nostro genocidio».
Alla fine del 2024 aveva venduto più di 500mila lattine. Facendo un veloce calcolo, se una confezione da 24 costa 30 sterline mentre una da 6 ne costa 12, il ricavato totale si dovrebbe aggirare intorno al milione di sterline. Un quarto del budget previsto per la ricostruzione dell’ospedale. Qashoo le ha commercializzate ovunque, dal Regno Unito alla Spagna, dall’Australia al Sudafrica. Se ne trovano anche in Italia, in alcuni locali che hanno deciso di aderire all’iniziativa, come Bazar Taverna Curdo Meticcia nel quartiere romano di Tor Pignattara. Ci sono infatti dei problemi nella commercializzazione che sono politicamente motivati, per cui è praticamente impossibile trovarla nei grandi magazzini. La vendita al dettaglio avviene quindi grazie ai singoli ristoranti e locali.
La guerra è entrata di diritto nella nostra quotidianità, dividendo l’opinione pubblica. Anche a tavola. Così come Gaza Cola è sostenitrice del movimento Boycott, Divestment and Sanctions (BDS), pensato per l’uguaglianza del popolo palestinese, ad aderire a questa iniziativa è anche la Taverna Santa Chiara di Napoli. Nell’ultimo periodo è finita al centro di una storia di cronaca. O meglio, ci è finita la sua titolare Nives Monda. La vicenda che la vede protagonista si è consumata il mese scorso, quando nel suo ristorante sono arrivati una coppia di turisti israeliani. Siccome il locale è molto piccolo, la loro conversazione si è allargata al tavolo a fianco dove erano seduti due spagnoli. Parlando con loro della bellezza di Israele, la conversazione è finita inevitabilmente sul conflitto in corso e l’utilizzo della parola genocidio ha infastidito la donna israeliana. A partecipare alla discussione è anche Nives, che invece ha tenuto a sottolineare i crimini di guerra commessi nella Striscia. La turista non l’ha presa bene e ha cominciato a riprenderla con il suo telefono accusandola di antisemitismo. A fine pranzo, e senza pretendere i soldi del pranzo, Nives ha chiesto alla coppia di andarsene anche per via delle grida della donna. A pubblicarlo in rete è stato un suo amico, generando commenti divisivi. C’era chi dava contro Nives, chiedendo che la Taverna Santa Chiara venisse chiusa. E c’era invece chi le dava supporto. In questi casi, specialmente quando si parla del conflitto arabo-israeliano, la verità è in mano a tutti.
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