Allevamenti intensivi

La Svezia dice addio alle gabbie per le galline. Perché in Italia siamo così indietro?

È il primo Paese al mondo a dire addio agli allevamenti di galline in gabbia, le cui uova vengono etichettate con il codice 3 stampato sul guscio. E cosa succede in Italia?

  • 18 Giugno, 2025

La Svezia è diventata il primo Paese al mondo a dire addio agli allevamenti in gabbia per le galline ovaiole. Dopo cinquant’anni di battaglie politiche e sociali, l’obiettivo è stato raggiunto: nessuna gallina verrà più costretta a vivere rinchiusa in celle strette, compressa tra le altre e spinta a produrre uova in modo forzato.

La battaglia per allevamenti cage-free in Svezia

Ci sono voluti decenni per arrivare a questo traguardo. Già nel 1988 il Parlamento svedese aveva provato a vietare l’allevamento in gabbia, ma dopo dieci anni di transizione il divieto è decaduto, riportando il Paese al punto di partenza. Solo nel 2008, grazie all’impegno di aziende della ristorazione e della grande distribuzione, la questione è tornata centrale, aprendo la strada a una svolta storica. «La Svezia ci dimostra che un mondo senza gabbie è possibile», ha dichiarato Matteo Cupi, direttore esecutivo di Animal Equality Italia. «Un risultato ottenuto senza un divieto per legge, ma grazie alla pressione dell’opinione pubblica e all’azione delle imprese: la prova che il cambiamento è nelle nostre mani».

Com’è la situazione in Italia?

In Italia, però, la strada è ancora lunga. Secondo i dati riportati da Essere Animali, in un documento presentato dalla deputata Luana Zanella del gruppo parlamentare Alleanza Verdi e Sinistra lo scorso 20 marzo nell’ambito di un’interrogazione a risposta immediata discussa in Commissione Affari Sociali e diretta al Ministero della Salute, la percentuale di galline allevate in Italia con la pratica delle gabbie si attesta oltre il 35%. Nel corso dell’interrogazione, il sottosegretario del Ministero della Salute Marcello Gemmato ha sottolineato che la transizione per il divieto totale delle gabbie è oggetto d’esame della Commissione Europea che presenterà una proposta solo nel 2026. «Anche in Italia, continueremo a lottare ogni giorno fino a quando nessun animale sarà più costretto a vivere prigioniero. Le gabbie devono diventare un lontano ricordo, ovunque» ha dichiarato Matteo Cupi.

Segnalazioni in etichetta e trattamento delle galline

Ma cosa succede alle galline allevate in gabbia? Come ci aveva raccontato qui Greta Cilia, referente marketing e comunicazione di Galline Felici, allevamento romano di galline allevate liberamente: «Le galline sono in gabbie chiuse di ferro, sono una decina a gabbia, restano schiacciate per tutto il tempo, immobili, vengono iperstimolate con la luce che rimane accesa  per tutto il giorno, o con la musica. Stressandole in questo modo, spesso si beccano, si uccidono fra loro, diventano isteriche e sono propense ad ammalarsi più frequentemente ed è per questo che spesso vengono imbottite di antibiotici».
Le galline iperstimolate in gabbia producono anche 4 uova al giorno a differenza di quelle non stressante che ne producono naturalmente una ogni 26 ore. Ma come viene segnalato il tipo di allevamento delle galline? Ogni uovo è etichettato con un codice da 0 a 3 dove 0 sta per uova derivanti da galline allevate in modo biologico che si nutrono di mangime biologico, 1 uova da galline che razzolano libere ma rientrano nel pollaio solo per dormire, 2 uova da galline allevate a terra in capannoni chiusi, 3 uova da galline allevate in gabbia. Saper scegliere quali uova portiamo in tavola non è solo una questione di salute, ma anche di etica e di impatto ambientale.

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