Il dibattito sullโimpatto dei social sui luoghi naturali si รจ fatto sempre piรน acceso, complice la capacitร di Instagram e TikTok di trasformare in poche ore una meta semi-sconosciuta in unโattrazione di massa. Dentro questo confronto, il tema del geotagging รจ diventato un fronte a sรฉ: per alcuni, indicare con precisione il luogo di una foto รจ un atto di trasparenza e condivisione; per altri, รจ una condanna a morte per sentieri, laghi e panorami fragili. La discussione, giร esplosa negli Stati Uniti, รจ arrivata anche in Europa e ha trovato un protagonista autorevole: il Leave No Trace Center for Outdoor Ethics, che invita a โpensare prima di geotaggareโ.
Il geotagging รจ la funzione che permette di associare a un contenuto social la posizione geografica esatta in cui รจ stato realizzato. Una comoditร nata per orientare e informare, ma che nellโera di Instagram e TikTok si รจ trasformata in un potente moltiplicatore di popolaritร per destinazioni e micro-destinazioni.
Il problema? Lโeffetto calamita. Basta un post virale con coordinate precise per generare un picco improvviso di visite, anche in luoghi poco attrezzati o ecologicamente delicati. Il risultato รจ spesso lโovertourism โmordi e fuggiโ: persone che arrivano per rifare la foto vista online, senza preparazione o rispetto per il contesto, lasciando tracce ben piรน pesanti di quelle digitali.
Il Leave No Trace e molti attivisti outdoor sono chiari: meno dettagli si danno, meglio รจ. Nel loro manifesto lโinvito รจ quello di sostituire il nome preciso di un posto con riferimenti generici come โAlpi Occidentaliโ o โTrattoria nelle Dolomitiโ, per ridurre la pressione sui luoghi piรน fragili.
La logica รจ semplice: meno il luogo รจ facile da trovare per chi non รจ realmente interessato allโescursionismo, minore sarร il rischio di danni.
Non tutti perรฒ vedono questa strategia come una vittoria per lโambiente. Per alcuni, omettere la posizione esatta rischia di trasformarsi in una forma di โgatekeepingโ, ovvero una barriera invisibile che favorisce solo chi ha conoscenze pregresse o accesso a reti di appassionati.
Voci come quella di Danielle Williams, fondatrice di Melanin Base Camp, sostengono che negare informazioni precise perpetua lโidea che la montagna, e la natura in generale, sia un territorio riservato a chi appartiene a determinati gruppi sociali o culturali. In questโottica, il geotag diventa uno strumento di inclusione.
Forse il punto non รจ scegliere tra geotag sรฌ o no, ma chiederci come viviamo i luoghi che visitiamo e come li restituiamo agli altri. Vale per un sentiero di montagna, per una spiaggia remota o per un ristorante nascosto: ogni post รจ un invito e ogni invito porta con sรฉ una responsabilitร . Possiamo decidere di raccontare non solo lโimmagine perfetta, ma anche il contesto, le regole non scritte, la fragilitร di ciรฒ che stiamo condividendo. Perchรฉ viaggiare, mangiare e postare puรฒ essere ancora un piacere, se impariamo a farlo con piรน consapevolezza e meno consumo.
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