Lo spiegone

Che cosa insegna il New York Times sull’olio extravergine di oliva

I consigli semplici (e qualche limite) del vademecum dello chef Andy Baraghani per imparare a scegliere e degustare il vero “oro verde”

  • 28 Agosto, 2025

Nonostante i dazi la nicchia di consumatori statunitensi affezionati all’olio extravergine di oliva continua a crescere, sia numericamente sia culturalmente. Il merito va riconosciuto ai tanti produttori italiani ed europei che, oltre ad aver saputo vendere il prodotto, hanno contribuito a diffondere maggiore consapevolezza. Ma anche a esperti e vip che hanno promosso messaggi salutistici legati al consumo costante del cosiddetto oro verde.

Negli ultimi dieci anni la sensibilizzazione è esplosa anche grazie a marchi americani – come Graza, che pur utilizzando prodotto spagnolo ha rivoluzionato l’approccio al consumo dell’olio – capaci di rendere l’extravergine un oggetto di desiderio quotidiano. L’ultimo contributo è arrivato dal New York Times, che grazie allo chef e scrittore Andy Baraghani ha pubblicato un vademecum in quattro punti per conoscere da vicino l’olio extravergine.

I quattro passaggi per approcciare all’olio

Quello che Baraghani ha stilato è una breve ed efficace lista di quattro accorgimenti che il consumatore dovrebbe tenere a mente per scegliere e apprezzare al meglio un olio.

Il primo consiglio è semplice: cercare in etichetta la dicitura “extra-virgin”. Se a noi può sembrare una cosa ovvia, per molti consumatori all’estero non lo è, tanto che gli scaffali dei supermercati sono pieni di oli vergini e “oli di oliva”, categorie merceologiche inferiori all’extravergine e soprattutto prive dei tipici profumi dell’olio buono e delle sue proprietà nutraceutiche.

Il secondo punto riguarda la conservazione: il consiglio è acquistare olio in bottiglie scure e tenerle lontane da fonti di calore. Luce, calore e ossigeno sono infatti i principali nemici dell’olio: più lontano viene conservato da questi elementi e più avrà vita lunga.

Altro elemento preso in considerazione dal Nyt è la provenienza, con l’invito a leggere bene l’etichetta e cercare un singolo Paese, meglio ancora un singolo produttore.

L’ultimo punto, invece, prende in considerazione l’aspetto organolettico, e in particolare l’olfatto: un buon extravergine deve avere profumi freschi, vegetali, quasi “vivi”. Se non emana alcun aroma probabilmente sarà neutro al palato; se invece presenta sentori rancidi, è da scartare.

Consigli semplici e diretti, ma con qualche riserva

Uno dei passaggi più sinceri e degni di nota è anche il più diretto: «Il problema è che ci insegnano a trattare l’olio d’oliva come un’aggiunta: qualcosa con cui cucinare, per guarnire un’insalata, magari da aggiungere a fine pasto. Ma quando l’olio è buono, davvero buono, diventa l’ancora, il collante che lega insieme un piatto». In realtà, questo vademecum è una manna per il consumatore statunitense, ma ci sono un paio di passaggi che meriterebbero un’attenzione in più.

In particolare, vale la pena soffermarsi sul primo punto: la dicitura “extravergine”. Purtroppo, l’extravergine inteso come categoria merceologica oggi è una zavorra che impedisce ai produttori di qualità di emergere nei mercati. I parametri chimici (acidità, perossidi ecc.) che lo definiscono sono ormai desueti e non identificano più un prodotto realmente eccellente, essendo stati stabiliti in un’epoca in cui frantoi e tecniche agronomiche erano molto più antiquati rispetto a oggi.

La seconda osservazione riguarda l’analisi sensoriale: nell’articolo si accenna alla possibilità che un extravergine possa risultare “neutro” all’olfatto. È un errore: un olio prodotto da olive non potrà mai essere neutro. Può essere buono, con una trama aromatica più o meno delicata, oppure difettato (rancido, avvinato, riscaldo), ma mai privo di aromi.

L’importanza della bocca

Oltre all’olfatto, è fondamentale anche l’analisi gustativa. Un buon extravergine dovrà risultare un po’ (o anche molto) piccante al palato e con una presenza più o meno marcata di amaro. Quest’ultimo elemento non è sempre di facile comprensione per i consumatori stranieri, mentre in Italia siamo più abituati a riconoscerlo grazie all’enorme ricchezza varietale di olive.

L’assaggio è essenziale soprattutto per chi si avvicina all’extravergine: i neofiti, non avendo ancora un olfatto allenato, dovrebbero “obbligatoriamente” effettuare un test gustativo.

  • Un buon olio, pur essendo un grasso, non lascia mai la bocca unta: regala un palato asciutto con piacevoli sensazioni erbacee e vegetali.

  • Un olio difettato, invece, lascia la bocca velata e con una persistente sensazione di unto.

Un test semplice, quasi infallibile, che permette anche ai non addetti ai lavori di riconoscere un prodotto autentico e di scegliere meglio l’olio da acquistare in vista della prossima campagna olearia.

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