Neosalutismo

"I produttori contrastino l'Oms che equipara alcol e tabacco: in gioco la libertà delle persone". L'allarme dal Regno Unito

La rivista britannica The Drinks Business chiama alla resistenza l'industria del beverage contro la crociata no-alcol: in gioco la libertà

  • 04 Luglio, 2025

L’azione di lobbying è partita e procede a spron battente… Sotto accusa l’alcol che sta velocemente per essere equiparato al tabacco nei rischi e nella regolamentazione restrittiva. «Ci sono dati scientifici che non sono accurati, quindi stiamo cercando di contrastarli», afferma al Financial Times Debra Crew, ad di Diageo. E affonda di più l’ad di Asahi, Atsushi Katsuki: il messaggio di “nessun livello sicuro” è fuorviante, ci sono “molte prove” che il consumo moderato di alcol può avere benefici per la salute e il benessere. Ciò pur non negando assolutamente l’esistenza di rischi legati al consumo (e all’abuso) di alcol.
La dichiarazione di guerra all’alcol da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è stata sparata su The Lancet Public Health e richiama le stesse politiche adottate per il tabacco: “Non esiste una quantità sicura di alcol che non abbia effetti sulla salute”. Questa è l’unica linea guida dei tutori della salute internazionale.  Una posizione assolutista che elimina ogni distinzione tra consumo moderato e abuso. E affermando che non esiste un livello sicuro, i regolatori creano una giustificazione per un intervento illimitato. Mettendo ad alto rischio la libertà di autodeterminaziomne, di scelta e di azione degli adulti.

Il modello tabacco

Il “modello tabacco” prefigura già chiaramente i prossimi step: avvertenze sanitarie obbligatorie e divieti di pubblicità, requisiti per le confezioni trasparenti e tassazione punitiva per arrivare alle restrizioni sulla progettazione dei prodotti. In questo percorso – sostiene la rivista online thedrinkbusiness.com con un articolo firmato da Mike Coppen-Gardner – ogni passo crea un precedente per il successivo: «Resistere a queste restrizioni diventa sempre più difficile mentre un intero settore viene rapidamente e sistematicamente demonizzato».

Le prime fasi di questo percorso sono già partite. L’OMS richiede esplicitamente «messaggi informativi sulla salute relativi al cancro sulle etichette delle bevande alcoliche, seguendo l’esempio dei prodotti del tabacco». E gli stati stanno rispondendo. Tanto che in Europa sono almeno 4 Stati che hanno disposto alert salutistici.  Mentre gli Usa ci stanno andando molto vicini.
Siamo già entrati nell’era in cui l’alcol è ricompreso – da parte di Oms – nel “gruppo a più alto rischio, che comprende anche l’amianto, le radiazioni e il tabacco”: confondendo deliberatamente – afferma thedrinkbusiness – il consumo moderato con le sostanze realmente tossiche.

Addio libertà di scelta e consapevolezza

Eppure… Sì, c’è un però. E sembra anche grande almeno come una palazzina se si dà un’occhiata ai dati disponibili rispetto all’uso e abuso di alcol. Tutto questo allarmismo rischia di far più male ancora, invece che salvare la salute dei consumatori. La tendenza verso un modo (o modi) diversi di bere sta andando avanti da qualche tempo a prescindere dagli alert salutistici e dalle demonizzazioni. Di fatto il low o no alcol è diventato uno stile; i giovani bevono molto diversamente rispetto ai loro padri. E i numeri certificano questi risultati. Nel Regno Unito gli adulti che consumano prodotti no o low alcol e per altro in modo semi-irregolare e quindi non con continuità, sono diventati il 38% di chi beve; tre anni fa erano il 29%. I ragazzi tra i 25 e i 34 anni, circa la metà si definisce consumatore di prodotti alternativi all’alcol. Il che – sostiene a ragione Coppen-Gardner – «dimostra che i consumatori informati fanno scelte responsabili quando hanno a disposizione alternative di qualità». Queste piccole, ma fondamentali conquiste sul fronte della coscienza individuale e della consapevolezza, rischiano di svanire nel nulla soffocate dal terrorismo anti-alcol. «L’ironia è profonda – scrive il giornalista –  Proprio mentre i consumatori abbracciano volontariamente la moderazione, le autorità di regolamentazione si preparano a imporre restrizioni che distruggeranno l’innovazione del settore che consente questa tendenza positiva».

Effetti economici e sociali devastanti

Non solo. Questo attacco frontale e senza limiti al mondo degli alcolici, rischia di avere comunque effetti devastanti sul fronte dell’economia, delle imprese e del mondo del lavoro. Effetti drammatici per i grandi del beverage, ma anche per gli artigiani più piccoli che non riusciranno certo né ad opporsi né a rimodulare strategie sostenibili.
Un’analisi di Brand Finance di qualche tempo fa – riportata da Thedrinkbsusiness – ha dimostrato che le più grandi aziende produttrici di alcolici come AB InBev, Diageo, Heineken e Pernod Ricard sono esposte al 100% alle restrizioni di marketing: le perdite potenziali di contributo al marchio supererebbero i 267 miliardi di dollari. Questo solo per nove grandi aziende, escludendo tutte le altre. Se applicata alle valutazioni di mercato odierne, la catastrofe sarebbe ancora più grave. Lo scenario proposto dalla rivista anglosassone è evidente: «Le restrizioni alla commercializzazione e i requisiti per il confezionamento semplice devastano la capacità delle aziende di differenziare i prodotti. Il valore del marchio crolla sotto la pressione normativa, come si è visto nel caso del tabacco, dove le aziende hanno subito un’erosione sistematica della proprietà intellettuale costruita nel corso di decenni. I soli costi di conformità – etichette e alert, riprogettazione delle confezioni, azioni legali – costeranno centinaia di milioni l’anno».

Le implicazioni di tutto ciò sono evidenti: concentrazione del mercato in pochissime, potenti e facoltose mani; fine dei produttori artigianali; drastica limitazione della possibilità di scelta da parte dei consumatori. «La diversità che caratterizza i mercati moderni delle bevande – dagli alcolici artigianali ai vini artigianali – rischia di estinguersi sotto la pressione di normative concepite per i prodotti del tabacco di massa», conclude la sua analisi Mike Coppen-Gardner. Anche se, a differenza del tabacco, l’industria e tutti i protagonisti del mondo del beverage hanno dalla loro parte potenti controargomentazioni: il comportamento dei consumatori si sta già spostando organicamente verso la moderazione; l’innovazione nei prodotti a basso e nullo contenuto alcolico sta creando proprio i risultati che le autorità sanitarie affermano di volere. E soprattutto, il consumo moderato di alcol rimane una scelta legittima dei consumatori, supportata da decenni di ricerche che dimostrano livelli di rischio individuale trascurabili.

Lotta alla dittatura del neosalutismo

Cosa c’è in gioco in questa battaglia, oltre ai profitti delle imprese? Innanzitutto, è a rischio l’autonomia decisionale degli adulti e la libertà e consapevolezza di scelta dei consumatori. Come denunciava l’antropologo Massimo Canevacci qualche tempo sulle nostre pagine il neosalutismo sta imponendo la dittatura del pensiero (e della regola) unica, azzerando le libertà e capacità di scelta dei cittadini.
Secondo l’inglese The drink business, la strada che le imprese del beverage dovrebbero seguire è una sola e la posta è alta: la resistenza a questo attacco «è essenziale per preservare le scelte legittime di milioni di consumatori responsabili in tutto il mondo». Il percorso: «Il mondo del beverage deve unirsi per resistere all’eccesso di regolamentazione, sostenendo al contempo la continua innovazione nei prodotti di moderazione. Ciò significa sfidare la posizione assolutistica dell’OMS con un’azione di advocacy basata sull’evidenza, sostenendo la ricerca che dimostra la distinzione tra consumo moderato e abuso e sottolineando le tendenze positive già in atto attraverso soluzioni guidate dal mercato».

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