La storia

Gli stranieri non sanno cucinare la pasta? Ma gli abbiamo insegnato noi italiani a mangiarla scotta!

Era meglio la pasta che si mangiava ai tempi delle nonne o delle bisnonne? Ma era spesso scotta, come si cucinava da secoli. Cosรฌ all'estero hanno imparato da noi a scucerla

  • 15 Giugno, 2025

Sarร  capitato a tutti, prima o poi, di andare in vacanza allโ€™estero, ordinare un piatto di pasta e trovarsi davanti un ammasso molliccio: una pasta completamente scotta. Il primo pensiero รจ ovviamente che allโ€™estero non sanno cucinare, men che meno la pasta italiana. La reazione immediata, dopo la prima forchettata, sarร  stata come quella di Checco Zalone in Quo Vado, dove smonta lโ€™insegna del ristorante italiano allโ€™estero al grido di: ยซNon si scrive Italia invano!ยป. Eppure, anche se in seconda battuta, ci si dovrebbe chiedere quali siano le vere motivazioni per cui nel mondo la pasta viene servita scotta, tranne che in Italia. Si tratta di un complotto globale ai nostri danni o cโ€™รจ qualche altra ragione?
Intendiamoci, i ristoranti italiani allโ€™estero che fanno unโ€™ottima cucina sono molti e stanno crescendo, ma quelli storici hanno una certa resistenza al cambiamento e continuano a stracuocere la pasta. Le spiegazioni piรน ovvie in questi casi sono due: โ€œnon sanno cuocere la pastaโ€ e โ€œa loro piace cosรฌโ€. In realtร  la spiegazione รจ unโ€™altra, ma per capirla bisogna scavare un poโ€™ nella storia della cucina.

Anche Hitler a Roma la mangiรฒ scotta

Cโ€™รจ un aneddoto piuttosto particolare che esemplifica bene la distanza culturale, sul fronte della pasta, tra lโ€™Italia e gli altri Paesi ed รจ ambientato a Roma. Era il 4 maggio 1938: un mercoledรฌ da non dimenticare! Siamo a Palazzo Venezia, ospite dโ€™onore il Cancelliere tedesco Adolf Hitler: si celebra lโ€™alleanza tra Italia e Germania nellโ€™ambito dellโ€™Asse Roma-Berlino. Il banchetto prevede oltre 200 invitati, tra cui personalitร  di spicco italiane e tedesche: una cena di gala in cui non puรฒ essere commesso il minimo errore, in particolare in merito ai gusti degli illustri ospiti. A organizzare e dirigere le cucine รจ chiamato Anselmo Savini, chef del Grand Hรดtel Excelsior di Roma che – come ci ricorda Alberto Capatti nel suo ultimo libro Vegetariani, la storia italiana –ย ci ha lasciato una testimonianza in alcune sue note scritte in francese. Per quanto riguarda il cancelliere tedesco, il cuoco rileva che โ€œHitler era rigorosamente vegetarianoโ€ฆ bisognava servirgli il suo piatto preferito, spaghetti alla napoletana alla maniera tedesca, cioรจ con la pasta ben cotta e non al denteโ€ฆ come invece รจ consuetudine in Italiaโ€. Alla โ€œmaniera tedescaโ€: un modo di preparare la pasta che prevedeva esclusivamente di cambiare i tempi di cottura, nientโ€™altro. Il Fรผhrer venne accontentato e non si registrarono lamentele. Questo stesso โ€œmaltrattamentoโ€ della pasta veniva consumato ogni volta che cโ€™erano ospiti stranieri, adattando i tempi di cottura che, come vedremo, erano giร  piuttosto lunghi.

Le radici della pasta scotta: due ore nel ‘400

Per quale motivo al di lร  delle Alpi la pasta acquista una consistenza molliccia, tanto che gli stranieri che visitano il nostro Paese la trovano eccessivamente โ€œcrudaโ€?
Per trovare la risposta bisogna tornare indietro di parecchi secoli e andare a cercare le testimonianze di chi cucinava e mangiava la pasta in Italia. Il primo a fornire unโ€™indicazione riguardo i tempi di cottura della pasta รจ Maestro Martino, il cuoco piรน celebrato del Quattrocento europeo. I suoi โ€œMaccaroni sicilianiโ€ sono realizzati impastando farina e albumi dโ€™uovo, foggiati a forma di sottili bucatini lunghi un palmo, con la stessa tecnica che si usa ancora oggi per i maccheroni al ferretto. Il risultato รจ una pasta adatta per essere seccata al sole e conservata fino a due o tre anni. Il tempo di cottura consigliato per questi maccheroni รจ di due ore. Cottura che viene invece dimezzata per i vermicelli, realizzati con lo stesso impasto, ma piรน corti e sottili.
Non ci sono ragioni pratiche per spiegare questa indicazione da parte dellโ€™autore, se non che il gusto dellโ€™epoca prediligeva una consistenza estremamente morbida. Inoltre, Maestro Martino non prescrive nemmeno lโ€™utilizzo della farina di semola, come siamo abituati oggi, ma semplice fiore di farina di frumento.

Tempi di cottura piรน brevi per riso e pasta ripiena

Se invece confrontiamo i tempi di cottura consigliati dallo stesso autore per riso e pasta fresca, vediamo che non sono cosรฌ lontani da quelli odierni, infatti per la minestra di โ€œRiso con lacte de mandoleโ€ indica mezzโ€™ora, mentre per i ravioli ripieni di carne โ€“ la pasta doveva essere solo acqua e farina โ€“ i tempi di cottura si riducono a โ€œdoi paternostriโ€.
Nel Rinascimento le cose โ€œmiglioranoโ€, ma non molto. Bartolomeo Scappi, cuoco personale dei papi Pio IV e Pio V, nella sua ricetta dei โ€œMaccaroni alla Romanescaโ€ scrive: โ€œQuando lโ€™acqua [salata] bollirร , pongansi dentro i maccaroni […] Bolliti che saranno per meza hora, facciasi il saggio se saranno teneri, & non essendo lascinosi bollire finโ€™a tanto che siano ben cottiโ€. In pratica, queste tagliatelle di farina di frumento, mollica, latte, tuorli dโ€™uova e zucchero, dopo โ€œsoloโ€ mezzโ€™ora di cottura andavano assaggiate perchรฉ potevano non essere ancora cotteโ€ฆ

Tra Otto e Novecento: una media di mezz’ora

A partire dai primi dellโ€™Ottocento le notazioni sulla cottura della pasta secca si moltiplicano allโ€™interno dei ricettari, anche se rimangono piuttosto sporadiche. In generale si nota una diminuzione dei tempi che passano da una media di mezzโ€™ora a 15 o 20 minuti tra le due guerre mondiali. I consigli degli autori sono molto diversi tra loro e pochi forniscono spiegazioni pratiche su come dovesse presentarsi la pasta una volta cotta.
Tra questi spiccano due grandi personalitร  della cucina italiana. Il primo รจ Francesco Chapusot, cuoco allโ€™ambasciata inglese a Torino a metร  Ottocento che, nel suo ricettario La cucina sana, economica ed elegante, consiglia di cuocere i โ€œMaccheroni alla piemonteseโ€ per 45 minuti, fino a che non siano โ€œmolli e pastosiโ€; la seconda รจ Giulia Ferraris-Tamburini, la prima donna a pubblicare un ricettario in Italia: i suoi โ€œMaccheroni allโ€™italianaโ€ si devono scolare โ€œquando si disfano facilmente sotto la pressione delle ditaโ€ (e comunque non prima di 20 minuti). Lโ€™anno della pubblicazione รจ il 1900 e lโ€™apprezzamento per la pasta morbida sembra ancora essere generale.
Come abbiamo visto, questo gusto aveva radici secolari e ci sarebbero voluti ancora diversi decenni per cambiare le abitudini degli italiani. Dโ€™altronde, chi รจ abbastanza anziano e ha conosciuto i propri nonni, puรฒ ricordare che la pasta si mangiava molto piรน scotta di oggi, soprattutto in Italia settentrionale. Nonostante questo, i tempi di cottura della pasta si erano giร  sensibilmente abbassati, anche se con estrema lentezza.

La pasta del passato non teneva la cottura

Per fornire un quadro completo, รจ necessario spendere due parole sulla pasta di semola che si trovava in circolazione allโ€™epoca. Lโ€™Italia รจ sempre stata un centro di produzione privilegiato, soprattutto nelle regioni meridionali che combinavano la tradizione della coltivazione di grano duro con il clima ideale per lโ€™essiccazione della pasta. Con lo sviluppo della produzione industriale, a partire dalla metร  dellโ€™Ottocento, i centri di produzione iniziarono a sorgere anche in Settentrione, affiancando la manifattura genovese che contava giร  una storia secolare. Contemporaneamente la pasta secca iniziรฒ a essere sempre piรน richiesta, anche allโ€™estero, e si dovette ricorrere allโ€™importazione della materia prima per le nostre manifatture.
La pasta di sola semola di grano duro, quella a cui siamo abituati oggi, non era alla portata di tutte le tasche e rappresentava il vertice di una piramide di prodotti realizzati con cereali meno nobili. รˆ sufficiente sfogliare il manuale Hoepli Industria del pastificio scritto nel 1929 da Renato Rovetta, per scoprire che solo la pasta di โ€œQualitร  extraโ€ utilizzava esclusivamente grano duro (spesso tagliato comunque con farina di grano tenero fino al 20?30 per cento), mentre nelle tipologie piรน popolari di โ€œQualitร  terzaโ€ il grano duro raggiungeva solo il 50 per cento.
Ciรฒ significa che, ad esclusione delle tipologie piรน costose, la pasta non riusciva a tenere la cottura come quella odierna e si presentava piuttosto molle una volta scolata. Se a questo aggiungiamo che i formati piรน antichi avevano solitamente uno spessore minore, capiamo immediatamente cosa fossero abituati a mangiare i nostri bisnonni italiani.

โ€œVerdeโ€, ovvero โ€œal denteโ€: la scoperta a Napoli

Probabilmente allโ€™epoca non veniva percepita una grande differenza tra i piatti italiani e quelli stranieri: la pasta scotta era un patrimonio universale. Durante gli stessi anni perรฒ si stava consumando una piccola rivoluzione che avrebbe cambiato definitivamente il nostro modo di mangiare. I primi segnali arrivano da Napoli, grazie a due manuali di cucina che intercettano le usanze culinarie popolari. Il primo si intitola La cucina casereccia, opera di autore anonimo che si firma con la sigla M.F., e viene dato alle stampe nei primi dellโ€™Ottocento. Nella ricetta โ€œMaccheroni alla Napoletanaโ€ si trova giร  lโ€™indicazione di levarli โ€œdal fuoco non molto cottiโ€: notazione che non compare invece per i โ€œMaccheroni alla Lombardaโ€, e forse non per caso.
Il secondo ricettario รจ invece opera di Ippolito Cavalcanti, uno dei piรน geniali cuochi della propria epoca. Nel 1837 pubblica Cucina teorico?pratica, un manuale di cucina piuttosto comune, se non fosse per una novitร  sostanziale: allโ€™interno del libro inserisce lโ€™appendice intitolata โ€œCucina casarinola allโ€™uso nuosto napolitanoโ€, scritta completamente in napoletano e contenente una selezione di preparazioni quotidiane e domestiche. รˆ qui che, nelle ricette dedicate ai โ€œMacaruneโ€ e ai โ€œVermicielli co le pommadoreโ€, suggerisce di scolare la pasta โ€œvierd vierdโ€, ovvero โ€œverdeโ€ nel senso di acerba, non troppo morbida.
Un modo di dire che, di lรฌ a breve, sarebbe stato sostituito con la locuzione โ€œal denteโ€, registrata per la prima volta nel 1840 sul Voci e maniere di dire italiane additate a futuri vocabolaristi di Giovanni Gherardini con il significato di โ€œReggere al dente: dicesi delle cose sode, come frutti, carni, od altro, le quali non cedono facilmente alla pressione dei dentiโ€.
Evidentemente Nord e Sud erano divisi da due modalitร  di cuocere la pasta e ci sarebbe voluto piรน di un secolo perchรฉ questa novitร , insieme allโ€™aumento di consumo di pasta, coinvolgesse anche il resto dello stivale.

La tradizione vuole la pastaโ€ฆ scotta

A questo punto, le ragioni per cui allโ€™estero si mangia ancora la pasta scotta sono molto facili da intuire. I prodotti italiani e la nostra cucina sono penetrati nelle altre nazioni molto tempo fa, quando non avevamo ancora assimilato del tutto la cultura della pasta al dente. In particolare, il grande esodo degli Italiani della fine del XIX secolo ha avuto un ruolo determinante per la diffusione della nostra gastronomia, ma giร  prima di allora circolavano numerose ricette di piatti โ€œallโ€™italianaโ€ in cui era presente la pasta, naturalmente scotta.
Qui da noi abbiamo assistito al processo che portรฒ allโ€™Unitร  dโ€™Italia, abbiamo partecipato a un paio di guerre mondiali e registrato un aumento vertiginoso degli scambi interni a partire dal secondo dopoguerra: tutto ciรฒ ha accelerato enormemente la diffusione del nuovo modo di mangiare la pasta di origine meridionale. Oggi si puรฒ dire che il processo sia concluso e che il gusto per la pasta al dente sia diventato patrimonio comune.
Allโ€™estero perรฒ molte nazioni sono rimaste fedeli al vecchio modo di cuocere la pasta che, nel corso del tempo, รจ diventato un loro patrimonio gastronomico. รˆ pur vero che gli chef di oggi si stanno adeguando a una cottura della pasta piรน rapida e in linea con quella italiana, ma non รจ sempre cosรฌ. I diversi modi di servire la pasta sono diventati tradizionali e come tali, inglobati in una piรน ampia cultura culinaria diversa dalla nostra. In fondo, noi abbiamo fatto lo stesso con molte altre ricette provenienti da Paesi stranieri, cambiandone la fisionomia e le ricette, come ad esempio il cous-cous che oggi rientra tra le specialitร  siciliane e sarde.
Per concludere, e rispondere alle domande poste allโ€™inizio: non รจ vero che allโ€™estero non sanno cuocere la pasta, semplicemente continuano a mangiarla come abbiamo fatto per secoli in Italia. Il gusto per la pasta scotta glielo abbiamo trasmesso noi, solo che non ce lo ricordiamo piรน.

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