Lo spiegone

"Non esiste il pesce fresco in riva al mare". Gli chef smentiscono la favola del pesce tutto l'anno

Perché d’estate non è detto che sia più fresco, come funziona davvero il mercato ittico e perché a Milano si mangia spesso il pesce migliore

  • 23 Agosto, 2025

Puoi visitare i migliori ristoranti d’Italia del mondo. Puoi conoscere a menadito la poetica di Niko Romito e l’avanguardia di Norbert Niederkofler, dare del tu a Massimo Bottura e passeggiare per l’orto di Enrico e aver provato quindici dei primi cinquanta ristoranti del mondo. Ma tu, critico gastronomico, avrai sempre e solo una domanda che ti sentirai rivolgere da amici e colleghi, la madre di tutte le richieste: conosci un buon ristorante di pesce?

Il ristorante di pesce è il totem di chi vuole concedersi un momento speciale, utopia da commedia all’italiana, santuario del nostro immaginario gastronomico figlio del boom economico e del momento in cui, in qualche momento nel nostro passato, spender soldi per mangiare fuori è diventato lusso accessibile nel bilancio delle nostre vite. Anche se la situazione sta cambiando inesorabilmente.

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Il mito del pesce in riva al mare

Il ristorante di pesce è al secondo posto nella classifica dei più immarcescibili miti della ristorazione italiana. Battuto solo da un’altra categoria: il ristorante di pesce nelle località di mare.

Milioni di italiani affrontano stoici la domenica file fantozziane sulle strade per le spiagge con il sogno di mangiare uno spaghetto allo scoglio, un crudo, un’ostrichetta, una grigliata mista, convinti che “il pesce migliore si mangia al mare, e dove sennò?”. Altri milioni di italiani inscenano ogni agosto una diaspora della città per affollare località tirreniche, adriatiche o ioniche mettendo nella propria wish list, bene in evidenza, farsi spanzate di totanetti e trigliette (chissà perché diminutivi e vezzeggiativi albergano spesso nella lingua degli amanti della cucina di pesce. Forse perché dà un senso di confidenza con la materia) nel migliore ristorante di pesce della zona, consigliato loro da un amico del ramo oppure scovato al termine di attente esplorazioni, “perché io il locale che ha il pesce buono lo riconosco al volo”.

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Foto di Sonia Ricci

Estate: il periodo peggiore per pesca e pesce

Ma è vero che il pesce migliore si trova al mare? D’estate, poi? Non sarà che si tratta di un falso mito, di un abbaglio da solleone? Naturalmente il pesce si trova al mare, e molte località turistiche dispongono di flotte di pescherecci che di notte escono a fare incetta di quello che lo stesso mare ha da offrire, ma nella bella stagione i mari non sono necessariamente più pescosi, anzi gli chef di solito prediligono lavorare con i frutti del mare d’inverno (con buona pace di Enrico Ruggeri).

D’estate ci sono solo meno giorni di mare mosso e di maltempo e quindi i pescherecci possono uscire con maggiore frequenza, ma non è detto che il bottino nelle reti sia poi maggiore. E in ogni caso il pescato del giorno, ammesso che vada a rifornire i ristoranti della zona – non sempre è così –, dovrà accontentare una richiesta molto maggiore da parte della clientela. Per questo i ristoratori ultimi nella catena alimentare della zona finiranno per proporre alla clientela materia prima non fresca, surgelata o conservata in qualche modo, a volte scadente.

«Non è detto che tu in Sardegna d’estate possa mangiare il migliore calamaro che esista – ci dice Gianfranco Pascucci, chef del Porticciolo di Fiumicino e tra i massimi esponenti della cucina di mare in Italia – Anzi, è probabile che tu possa mangiare il peggiore calamaro che esista».

In realtà ci sono alcuni accorgimenti che diminuiscono il rischio che il tanto agognato pranzo di mare si trasformi in una “sòla” epocale. La prima è conoscere che cosa il mare e la stagione possano dare in quel momento dell’anno. E poi cercare di capire che cosa i pescherecci locali abbiano portato a casa la notte appena trascorsa. Se hanno preso del pesce spada, perché pretendere di mangiare dei calamari freschi?

“Nessuno vuole più il pesce con le spine”

Conoscere il mercato, le stagioni e il territorio (la laguna è molto differente dal mare della Sardegna, la Sicilia non avrà mai gli stessi pesci dell’alto Tirreno, le spigole e le orate sono meglio d’inverno) e cercare di mangiare quello che il mare ha da offrire quel giorno sono idee in fondo semplici, quasi banali, ma che molti clienti rifiutano di applicare, preferendo inseguire i propri desideri invernali. Che ruotano di solito sempre attorno alle stesse specie.

«Il problema – ci spiega Moreno Cedroni della Madonnina del Pescatore, del Clandestino e di Anikò a Senigallia – è che tutti vogliono mangiare sempre gli scampi. E visto che di scampi ce ne sono pochi e il mercato del pesce funziona come un’asta, chi più paga ottiene, non tutti possono avere lo scampo fresco».

Non si potrebbe educare o quanto meno orientare il cliente verso i pesci disponibili e freschi? «Certo, noi possiamo consigliare il cliente, cercare di convincerlo a mangiare un altro pesce che sia locale pescato nella notte. Ma esiste quel fenomeno che io chiamo despinalizzazione. Nessuno vuole più mangiare i pesci con le spine e questa è la cosa più sbagliata del mondo. Le spine dànno fastidio, sono considerate pericolose. Io sono cresciuto mangiando pesciolini con le spine, oggi molte mamme li evitano, hanno paura che il figlio si strozzi». E crescono generazioni di clienti abituati a sognare solo pesci o frutti di mare senza ostacoli o rischi. Come i calamari gli scampi, i gamberi.

Chef e titolare del Tino e del Bistrot 4112 a Fiumicino, Daniele Usai cerca di variare il menu a seconda del mercato e rifiuta certi ingredienti cult: «Io i calamari non li lavoro, preferisco i totani, che sono più disponibili e anche meno costosi. Al polpo verace preferisco la polpessa. Certo, poi ci sono pesci nobili che voglio comunque proporre e che compro anche se costano molto. In ogni caso lavorare così vuol dire impegnarsi e molto nella comunicazione: io per esempio non metto quasi mai in carta la specifica della razza. Indico la ricetta e ogni sera racconto quello che ho, il dentice o l’orata. E comunque alla fine i miei clienti lo sanno: mangiano quello che dico io».

“In estate, io al mare propongo carne”

L’altro accorgimento è quello di rivolgersi ai ristoranti di mare storici, quelli che non sono aperti soltanto per la stagione estiva ma dànno continuità al loro lavoro. Più probabilmente costoro avranno interesse a tutelare la loro reputazione e vanteranno rapporti di fiducia con i pescatori o con i pescivendoli riuscendo così a rifornire la propria “cambusa” di una materia prima migliore rispetto ai ristoratori improvvisati, che aprono due mesi solo per sbigliettare al massimo e dopo chi si è visto si è visto.

«La differenza alla fine la fa il ristoratore – ci dice Jacopo Ticchi di Lucio a Rimini, noto per la sua ricerca sulla maturazione del pesce – Nelle località di mare in teoria il pesce dovrebbe essere di maggiore qualità, se fosse davvero quello di quel mare. Poi dire che tutti i ristoratori di una certa località utilizzano il pesce di quel mare è impossibile. Chiaro che d’estate la richiesta è molto più alta e cambiano i prezzi e la qualità. E ognuno si rifornisce come può». Importante anche, come fa notare Usai, che «i ristoranti si affidino a professionisti che garantiscano ad esempio una corretta catena del freddo. Se manca questo è facile che in tavola arrivi del pesce con dei problemi. Comunque chi lavora bene d’estate è colui che lavora bene dodici mesi l’anno».

E poi c’è il cosiddetto fermo pesca, quel periodo dell’anno in cui l’attività dei pescherecci in certe aree e periodi dell’anno per tutelare la riproduzione e la crescita dei pesci. «In Adriatico cade sempre ad agosto – dice Cedroni – e il primo anno fu un disastro. Poi le cose sono andate meglio anche perché ora ci sono tre zone che si alternano e quindi alla fine qualcosa si trova sempre. Ma è chiaro che se ti propongo una triglietta fritta nel momento di fermo pesca vuol dire che arriva da un’altra regione e che quindi non è stata pescata nella notte». Il fermo pesca è un tema anche per Ticchi: «C’è chi come me cambia menu, io durante il fermo pesca mi dedico alla carne, e chi invece prende il pesce chissà dove».

Il pesce buono costa e va pagato

La terza regola è semplice: pagare. Il ristoratore che sarà riuscito ad aggiudicarsi la partita di pesce migliore probabilmente avrà sborsato una cifra consistente. E il cliente dovrà essere disposto a spendere il giusto per premiare questo investimento. «Il denaro comanda tutto. Non posso pretendere di pagare 400 grammi di scampi a 12 euro…», commenta amaro Pascucci.

Naturalmente la vicinanza dei mercati ittici può aiutare a reperire materia prima di alto livello. In Italia ci sono molte piazze importanti, da Chioggia a Mazara del Vallo, da Ancona a Molfetta, da Livorno a Rimini, ciascuno specializzato sulle specie della zona. Per dire, a Mazara si rivolgono quelli che vogliono il gambero rosso giustamente celebre. Ma naturalmente la logica è puramente commerciale, per cui spesso la materia prima migliore finisce ai ristoranti di lusso, disposti a pagare di più per il pesce buono.

Il mito (vero) del pesce buono a Milano

Oppure finisce semplicemente a Milano, la capitale gastronomica italiana, che ha tante bocche gourmet da sfamare e i soldi per sgominare la concorrenza. Non è un caso che da sempre si dica che a Milano si trova il migliore pesce italiano malgrado sia a circa duecento chilometri dalla spiaggia più vicina. «È un luogo comune anche quello – dice Cedroni – ma per molti versi corrisponde a verità». In questo caso vale il principio per cui una buona logistica conta di più della salsedine. Il mercato ittico di Milano è una struttura all’ingrosso ed è il principale hub di distribuzione del pesce fresco e congelato dell’intero Nord; riceve ogni notte la migliore materia prima da tutti i mari italiani, che arriva su gomma o per via aerea (e infatti è in via Lombroso, in una zona strategica della città, vicina alle autostrade e all’aeroporto di Milano) e consente la fornitura rapida dei migliori ristoranti della città, compresi molti giapponesi.

Insomma, se volete mangiare del pesce fresco, con le pinne, i fucili e gli occhiali dirigete la vostra auto verso il mare di Milano. Tàaaac!

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