Tendenze

Soft clubbing, no alcohol e niente after: la Gen Z riscrive la notte

La generazione più giovane riscrive i codici del divertimento. Nel nostro Paese, però, le versioni soft sembrano parlare più ai quarantenni che ai ventenni

  • 30 Settembre, 2025

«La notte è più bello, si vive meglio, per chi fino alle cinque non conosce sbadiglio». Jovanotti negli anni Novanta raccontava così un’epoca in cui la notte era un rito di resistenza: ballare fino allo stremo e fare dell’alba il confine ultimo della festa. Oggi, per la Gen Z, quelle parole suonano come un reperto di un’altra epoca. Non è che non escano, anzi: escono eccome, ma lo fanno diversamente. Non cercano più la maratona né l’eccesso, ma esperienze calibrate, dove la socialità convive con il benessere e con l’equilibrio economico. È qui che nasce il soft clubbing, la formula che racconta la metamorfosi della notte: la musica c’è, i cocktail ci sono, pure la voglia di ballare, ma tutto avviene in una chiave più “sobria”.

Le nuove esigenze della Gen Z

Uno dei tratti più evidenti della Gen Z è il rapporto diverso con l’alcol. Non è più il carburante obbligato della socialità: i consumi calano, cresce invece l’interesse per cocktail analcolici, birre zero e vini a basso tenore alcolico. Il mercato del no/low alcohol, che a livello globale aumenta del 7% all’anno, in Italia è destinato quasi a raddoppiare entro il 2030. A questa tendenza si affianca lo zebra striping, l’abitudine di alternare drink alcolici e analcolici nella stessa serata: una strategia che rende la notte più sostenibile, evitando eccessi e il malessere del giorno dopo, senza rinunciare al piacere di un buon bicchiere.
È in questo contesto che nasce e si consolida il soft clubbing. Non una rinuncia alla festa, ma un modo diverso di viverla. Serate che iniziano presto e finiscono presto, ambienti raccolti dove un set elettronico o un live jazz si ascoltano senza venire travolti, drink analcolici o low ABV preparati con la stessa cura di un cocktail classico, piatti concepiti per la condivisione. Non conta più quanto a lungo si resiste o quanto si beve, ma la qualità del tempo vissuto. Il soft clubbing è la traduzione notturna di questa nuova sensibilità: sociale, accessibile, sostenibile.

Altri trend paralleli: il panorama si allarga

Morning Rave Londra

Morning Rave Londra

Il soft clubbing non è un caso isolato ma parte di un linguaggio più ampio che sta ridisegnando la socialità notturna. Lo si vede nei listening bar, luoghi che sembrano nati per chi non vuole rinunciare alla musica ma desidera ascoltarla davvero: impianti hi-fi calibrati, vinili selezionati, un’atmosfera in cui il dj set accompagna più che travolgere e in cui un cocktail analcolico trova lo stesso spazio di un calice di vino naturale. Anche i coffee rave raccontano la stessa tensione verso una convivialità diversa: feste che iniziano la mattina, a base di caffeina e battiti elettronici, pensate per chi preferisce ballare all’alba invece che rincasare al tramonto.
A legare queste esperienze non è il format, ma l’idea che la notte e il divertimento non debbano per forza coincidere con l’eccesso. Accanto alle piste da ballo ci sono librerie che si trasformano in spazi di ascolto, gallerie che alternano mostre a concerti soft, locali che mescolano talk, cena e musica in un unico flusso. Tutto punta nella stessa direzione: offrire occasioni per stare insieme senza l’obbligo di strafare, spazi fluidi in cui il confine tra club, bar e luogo culturale diventa sempre più sottile.

I casi italiani e criticità e limiti

Club Giovanile Milano

Club Giovanile Milano

In Italia parlare di fenomeno sarebbe eccessivo. Più che una scena vera e propria, si tratta di esperimenti sparsi: listening bar come 33 Giri a Roma o Dexter Sound & Bites e Lubna a Milano, spazi come Club Giovanile nel Certosa District, realtà fuori dalle metropoli come Venyer Hi-Fi a Sommacampagna. Luoghi che propongono formule diverse dalla discoteca tradizionale, combinando musica, cibo e cocktail più leggeri. Ma, a differenza di altre città europee, questi format sembrano parlare soprattutto a un pubblico adulto e appassionato, più che ai giovanissimi.

Il target, infatti, è spesso quello dei trentenni o quarantenni che cercano alternative più curate e sostenibili alle discoteche di massa, più che dei ventenni alla ricerca di nuove forme di socialità. Il risultato è che l’Italia offre esempi interessanti, ma ancora frammentati e con una base di pubblico diversa. La sfida, semmai, è capire se e come queste formule riusciranno a intercettare davvero la Gen Z e trasformarsi in qualcosa di più diffuso e generazionale.

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