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Grandi ritorni

Il successo inaspettato dei risoni. La pastina per bambini amata dalle trattorie contemporanee

Dalla dimensione domestica a quella del ristorante, il formato di pasta è molto più di una minestrina da mangiare con la bavaglietta

  • 16 Maggio, 2025

Per molti di noi i risoni significano infanzia. Quanti da piccoli, magari malaticci, non si sono fatti conquistare a suon di cucchiaiate corroboranti? Se c’è una pastina comfort è proprio questa, considerato pure che sotto i denti oppone meno resistenza rispetto ad altre. Il nome è senza dubbio fuorviante: i risoni non sono chicchi di riso più grossi. In realtà, non sono altro che un derivato del grano duro. Piccina e dalla forma oblunga, all’estero resta una tipologia ancora poco diffusa (nota come “orzo pasta”), sebbene in certi paesi rientri fra i grandi classici del pranzo della domenica. In Italia trova spazio da tempo; non solo nelle ricette tradizionali e casalinghe, ma anche nella cucina di alcuni ristoranti, fine dining inclusi. Li utilizzava Riccardo Camanini nel suo Lido 84 affacciato sul Lago di Garda, oggi Francesco Sodano del ristorante Famiglia Rana, così come si trovano nel menu di Casa Malgarini alle porte di Roma. Volendo fare un po’ di romanticismo, resta un pezzo di storia della nostra cultura culinaria. Preparata a mo’ di minestrina, oppure al forno, nella quotidianità domestica o in particolari contesti, risulta oggi un formato tutt’altro che superato.

I risoni nella cucina tradizionale

Cucchiaio dopo cucchiaio, vanno giù che è una meraviglia. I risoni praticamente non si masticano, si succhiano. Sono così facili da mangiare. Sarà per questo che sono ritenuti ideali per bimbi e convalescenti. Nelle case degli italiani si preparano in brodo (magari arricchito dal classico formaggino Mio), benché non manchino ricette in cui venga proposta come pastasciutta. Si pensi alla Spicanarda salentina, la pastina al sugo di pesce, tra i piatti di magro della festa di San Giuseppe. In Grecia invece rappresentano uno degli ingredienti principali dello Giouvetsi, tipico piatto unico della domenica ellenica. Una pasta al forno intensa, saporita e aromatica, a base di kritharaki (i risoni), carne d’agnello e spezie varie, tra cui cannella, alloro e pepe.

giouvetsi @balkanwanders

Perché piace ai nostri chef?

A dare un’occhiata alla carta di qualche ristorante, i risoni non sembrano più una straordinaria eccezione. I motivi per cui oggi si rinvengono più di ieri sono di vario genere: dal desiderio di introdurre novità gastronomiche con cui stuzzicare i clienti fino a esigenze di carattere pratico, correlate ai tempi di servizio o preparazione della linea di cucina. Ma le ragioni non sarebbero da ricondurre solo alla dimensione di praticità che, certo, risulta dirimente per chi lavora nella ristorazione. È quanto esce fuori ascoltando diversi chef. Ce ne racconta un po’ Jacopo Ricci, cuoco e co-titolare del ristorante Dopo Lavoro Ricreativo ai Castelli Romani: «In una cucina professionale l’ho vista utilizzare per la prima volta — circa 10 anni fa — al Pagliaccio, stellato in cui lavoravo». Perché riproporlo da Dlr? «Ci piaceva l’idea della Madeleine di Proust (la materialità del presente che evoca il passato). Chi è che in Italia non ha mangiato almeno una volta la pastina? Una preparazione all’insegna dell’italianità. Gli stranieri che mangiano da noi non la capiscono fino in fondo».

Si sceglie anche per un’esigenza di servizio, rispetto al riso la pasta cuoce in meno tempo. «Viene risottata, ma senza la classica tostatura, aggiungendo soltanto acqua — non brodo — per portarla a cottura. A differenza del riso, richiede di incorporare una minore quantità di grassi: la carica di amidi rilasciata dalla pasta determinano una collosità che consente di aggiungere poco burro di mantecatura». La pastina ha una texture completamente diversa da quella del risotto «e un sapore nitido, che si sente distintamente». La cottura è scelta in base al condimento: «Abbiamo iniziato proponendo una versione ai quattro formaggi in cui era quasi scotta, per privilegiare una certa “scioglievolezza”. In altri casi, per garantire morso all’assaggio, possiamo lasciarla leggermente al dente. È presente in carta da un anno e mezzo in chiave vegetariana».

Risone all’ortiche con caprino e fiori d’aglio rosa (ristorante Scima)

Caratteristiche che hanno convinto pure Paolo D’Ercole, chef del ristorante romano Scima: «I risoni hanno una cottura rapida: 8-9 minuti. Mi consentono di ottimizzare i tempi perché a cucinare sono completamente solo. Non ho neanche il bollitore». Insomma, un simpatico formato d’antan, rapido da fare, che non ha bisogno di molti grassi. «Mi affascinano le tipologie più desuete (come la gramigna bolognese)», confessa. Anche da Scima la clientela internazionale, che non la conosce, l’assaggia e «ne rimane piacevolmente colpita ritrovando il gusto della pasta». Qui si risotta per 30 secondi a fuoco vivace, viene condita con l’ortica, che è precedentemente sbianchita per essere poi ripassata in padella con un leggero soffritto di cipolle. In chiusura si aggiungono caprino fresco (Marzolino), pepe di Giava (più aromatico che piccante), un filo d’olio e fiori d’aglio rosa essiccati. «Un primo vegetale delicato, dall’impiattamento semplice e di cui si può apprezzare la consistenza, non per forza la cremosità. La pastina comunque per me rappresenta il comfort al cucchiaio insieme a quelle preparazioni come le minestre che purtroppo a Roma non riesco più a trovare. Almeno quelle buone».

Pastina al formaggio del ristorante Kresios (ph. Alberto Blasetti)

Il piatto cult nella cucina d’autore

In realtà, quella dei risoni non costituisce una novità assoluta. Cuochi di visione come Anthony Genovese la proponevano nel loro fine dining già molti anni fa. Uno su tutti però ne ha fatto un piatto firma, diventato vero cult dell’haute cuisine italiana. E quando si parla di pastina al formaggino infatti Giuseppe Iannotti di Krèsios è uno dei primi nomi che vengono in mente. Non c’è gourmand che non la conosca, con quel tocco di freschezza dato dall’aggiunta di limone. Da sei anni può spuntare a sorpresa nell’ambito del suo degustazione “al buio”, Mr.Brown. Come ci spiega «è un piatto ludico, immediato, non ha bisogno di comprensione. Di solito viene interpretato come un momento di comfort durante la degustazione. Riporta alla memoria la gioia dell’infanzia e delle prime “pappe”, sia per il gusto cremoso che per il divertente boccone, direttamente dalla ciotolina di Topolino con il cucchiaino morbido dei bambini».

Un piatto che parla della mozzarella di bufala: «Un omaggio pensato a partire dagli ingredienti con i quali la mozzarella è fatta (latte, panna), che cagliati in maniera differente danno vita a un formaggino». A questo si aggiunge tutta la parte ludica legata alle stoviglie tipiche dei bambini, scelte per servire la portata: «Avendo tre figli, piattini con Topolino e Minnie e cucchiaini di plastica hanno fatto parte della mia vita. È forse la pastina più utilizzata dalle mamme e ha un’ottima resistenza in cottura. Inoltre, si fonde perfettamente con il formaggino. Ma più che ai formati io sono attento a chi li produce. Sono sempre stato un maniaco della perfezione stilistica e tecnica: ogni pastaio ha il suo cavallo di battaglia, forse due, e io li ho sempre selezionati in questi termini. Fino a che non ho deciso di produrre la mia pasta (la linea Pastai Sanniti). Al momento non ci sono però i risoni».

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