Nulla di più romantico di guardare le stelle in una notte d’estate, tracciando con le dita i contorni delle principali costellazioni e improvvisandosi astronomi. Eppure, per quanto possa sembrare un’attività scontata, il crescente aumento dell’inquinamento luminoso sta rendendo sempre più complesso trovare delle zone in cui potersi godere (davvero) il cielo. Così, tra i nuovi trend di viaggio del 2025, tutti accomunati dalla volontà di allontanarsi dai danni derivanti dallo sfruttamento ambientale, come le “coolcations” e la rinascita del turismo su rotaia, si afferma anche l’astroturismo: uno stile di vacanza orientato all’osservazione dei fenomeni celesti in luoghi dove l’inquinamento luminoso è ridotto al minimo.
Secondo uno studio svolto dall’Asma di Grosseto (un’associazione di studi astronomici), l’occhio umano sarebbe in grado di vedere circa 2500 stelle quando si trova in un luogo buio, numero che precipita di ben dieci volte se ci si trova nella periferia di una città (250 stelle) e che scende fino ad arrivare a circa una dozzina se invece si prova ad osservare il cielo da un centro abitato con una luminosità nella media. Così sempre più astronomi e scienziati, ma anche appassionati e viaggiatori curiosi, scelgono per le proprie vacanze dei luoghi lontani dai grandi centri urbani, dove l’assenza di inquinamento luminoso consente loro di riscoprire il cielo nella sua interezza. Rifugi alpini, parchi naturali, piccoli borghi e deserti diventano quindi mete ideali per chi cerca un’esperienza a basso impatto ambientale ma che sia memorabile. Un turismo delle stelle che contribuisce a rilanciare mete non-convenzionali, ad attirare visitatori in zone rurali e scarsamente frequentate, e a contrastare l’overtourism, promuovendo un modello di turismo più distribuito e sostenibile.
Tra i fenomeni che sembrano attirare maggiormente l’interesse di questi gruppi non c’è solo l’osservazione del cielo notturno in quanto tale, ma una vera e propria caccia a eventi astronomici rari, che si verificano a distanza di decenni o sono visibili solo in aree geografiche estremamente limitate, richiedendo un’organizzazione minuziosa che consenta di “cogliere l’attimo”. Una delle categorie più coinvolte da questo trend è quella dei fotografi professionisti, alla ricerca dello scatto perfetto, spesso disposti a spostarsi da un continente all’altro pur di immortalare la magia di questi fenomeni celesti. Cavalcando questa ondata di entusiasmo, il 2025 e il 2026 si prospettano anni particolarmente favorevoli per gli appassionati del cielo grazie alla fase di massimo solare attualmente in corso: un picco ciclico dell’attività del Sole che porta con sé un aumento delle tempeste geomagnetiche e, di conseguenza, uno spettacolo più intenso e frequente di aurore boreali, visibili anche a latitudini insolitamente basse. A ciò si aggiungono alcuni eventi astronomici imperdibili, come la pioggia di Perseidi nell’agosto 2025, e la congiunzione tra Giove e Venere prevista per novembre 2025.
Oggi i “cieli bui” sono diventati un vero e proprio bene da tutelare, con diverse associazioni a livello sia nazionale che mondiale che si occupano di rilasciare certificati di qualità ai vari ambienti notturni, classificandoli sulla base della visibilità che offrono sui fenomeni celesti. Tra le più importanti c’è la International Dark-Sky Association (IDA), che assegna certificazioni come il “Dark Sky Park” o il “Dark Sky Reserve” (Parco del cielo buio o Riserva del cielo buio) a luoghi che rispettano rigorosi standard di protezione dall’inquinamento luminoso. Altre realtà simili operano in Europa e nel mondo per promuovere buone pratiche di illuminazione e sensibilizzare sul valore dei cieli stellati. Tra i siti più celebri e apprezzati a livello mondiale figurano il Parco Nazionale di Jasper in Canada, la Riserva Internazionale del Cielo Buio di Aoraki Mackenzie in Nuova Zelanda e il deserto di Atacama in Cile, noto per ospitare alcuni dei più importanti osservatori astronomici del pianeta.
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