In un settore tendente allโoligarchia come quello degli spirits, che per decenni ci ha abituati a un ridotto numero di grandi player multinazionali che si spartivano acquisizioni e distribuzione a livello globale, la fine degli anni โ10 e lโinizio degli anni venti sarร ricordato come un periodo di grande rivoluzione, con un fiorire in tutto il mondo di nuove micro distillerie e lo sbocciare di quelli che ormai vengono comunemente indicati col nome di โCraft Spiritsโ (i corrispettivi delle birre artigianali, per intenderci).
Dagli Stati Uniti allโIrlanda, dal Giappone alla Francia, il bosco di colonne in rame si erge sempre piรน fitto, sbuffando vapore e distillando gocce di nuove ispirazioni. Se su alcuni mercati come quello francese e quelli anglofoni a farla da padrone sono le produzioni di whisky, la tendenza maggiore a livello planetario sembra senza dubbio quella della produzione del gin. In Italia questo movimento รจ ancora agli albori, e paradossalmente trova un grande scoglio al proprio sviluppo a causa delle normative europee piuttosto blande.
Anonima Distillazioni
Nel Regolamento UE 2019/787 sulle bevande spiritose, infatti, viene normato che il gin possa essere ottenuto anche tramite metodo โcompoundโ, metodologia di origine liquoristica nella quale non cโรจ distillazione ma il prodotto รจ ottenuto mediante la semplice macerazione a freddo di ginepro e botaniche, o addirittura con di oli essenziali. Addirittura la normativa dร la possibilitร di aggiungere zucchero, e se presente in concentrazione minore di 0,1 grammi/litro di utilizzare la menzione dry gin per il prodotto ottenuto.
Niente di male in tutto ciรฒ, se non che in un paese come il nostro dove la cultura del consumatore su questo distillato รจ ancora agli albori, si rischia di generare molta confusione tra le varie categorie di gin, e in particolare dry gin (compound), dry gin (distilled) e London Dry Gin, quest’ultimo rappresenta una categoria protetta da un severo disciplinare proprio allโinterno della stessa normativa in un capitolo dedicato. Inevitabile inoltre che in un paese dalla forte vocazione liquoristica come il nostro la tecnica del compound abbia riscosso grandissimo successo, permettendo il fiorire di centinaia di etichette, non supportate da un paritetico sviluppo delle distillerie.
Eugin Distilleria Indipendente
Eppure anche da noi il fascino del rame sta contagiando moltissimi, da Eugin Distilleria Indipendente in provincia di Monza, a Peter in Florence in Toscana, fino ad Anonima Distillazioni in quel di Gubbio. Tra gli ultimi alambicchi forgiati in Italia cโรจ Bacco, che poco piรน di un anno fa ha cominciato a distillare i prodotti Winestillery a Gaiole, in pieno Chianti Classico.
Dietro a questo progetto, Enrico Chioccioli Altadonna, un giovanissimo imprenditore toscano proveniente da una famiglia da sempre legata al mondo del vino. Eppure la sua strada pareva dover essere unโaltra, visto i brillanti risultati negli studi in legge e lโiscrizione allโalbo come avvocato.
Enrico Chioccioli Altadonna
Invece un vento di passione si รจ imposto sulla sua rotta, portandolo a studiare la distillazione prima in Alta Italia, poi in Cognac ed infine a New York, proprio in una di quelle microdistillerie di whisky che stanno conquistando gli States. Tornato in Italia, e presa la solenne decisione di dedicarsi allโarte della distillazione, ha creato qualcosa di unico, che solo un avvocato come lui poteva concepire: un contratto, chiamato โGrape to Glass Manifestoโ che ha valore e peso di un disciplinare.
Otto semplici regole di trasparenza e di qualitร , che comprendono lโobbligo di produzione, distillazione, (eventuale) invecchiamento e imbottigliamento in loco; la scelta delle botaniche esclusivamente dalla tradizione Toscana; lโimpossibilitร dโutilizzo di aromi e dolcificanti di ogni tipo e soprattutto la centralitร della materia prima vino.
Winestillery infatti, come si evince giร dal nome, distilla partendo dal vino prodotto dallโazienda stessa, da cui ottiene lโalcool alla base dei propri distillati. Ad oggi lโazienda toscana ha lanciato quattro referenze: ovviamente un London Dry Gin, una Vodka, un Vermouth (che spicca per la completa assenza di caramello, percepibile giร a occhio nudo, e ancor di piรน al palato) e un Old Tom Gin. Su questโultima referenza si nota meglio di tutti la serietร nel volersi attenere al disciplinare autoimposto.
Questa tipologia di gin dellโepoca vittoriana infatti era (ed รจ) normalmente addolcito con zucchero (si arriva in alcuni casi fino al 4%). La dolcificazione secondo tradizione serviva a rendere bevibili prodotti di scarsa qualitร . Visto lโimpossibilitร di aggiungere zuccheri per attenersi al Grape to Glass Manifesto, Enrico ha dovuto crearsi unโaltra strada, e lo ha fatto giocando sulla scelta delle giuste botaniche della tradizione Toscana, naturalmente dolci, e ammorbidendone ulteriormente il gusto tramite un breve invecchiamento in barrique di rovere francese dove precedentemente รจ stato elevato Sangiovese.
Un tocco in piรน a livello tecnico, ma anche una ricostruzione โromanticaโ visto che nel XVIII secolo il distillato veniva messo direttamente in barrique, trasportato in essa e spillato nei โgin palaceโ dal legno. Forse questo distillato (recente vincitore della categoria โAged Ginโ della prestigiosa โGin Guideโ) รจ il simbolo di quello che dovrebbe oggi essere la microdistillazione in Italia: un punto dโincontro tra idee, storia e sperimentazione, un laboratorio dove creare la tradizione del futuro.
a cura di Federico Silvio Bellanca
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