Doveva essere un’intervista sul suo pane di segale e cioccolato Costa d’Avorio – che si ĆØ aggiudicato il premio āPane dell’annoā nella nostra nuova guida Pane&Panettieri ā ma alla fine siamo arrivati a parlare della sua lunga esperienza di formazione all’interno di un carcere, dell’importanza della condivisione, di quanto sia necessario lasciare da parte l’ego e di come non sia da temere la semplicitĆ . Ecco perchĆ© amiamo parlare con gli artigiani, con loro, nonostante le idee chiare di partenza, non sai mai dove andrai a finire. Ed ĆØ stupendo.
Giovanni Mineo durante la presentazione della Guida Pane&Panettieri del Gambero Rosso
Giovanni, come hai cominciato a fare il panificatore? āAvevo 22 anni e studiavo ingegneria aeronautica a Palermo, ma in realtĆ ho sempre sentito una tensione verso l’artigianato e tutto quello che ruotava attorno alla manualitĆ . Ecco perchĆ© decisi, drasticamente, di presentare la rinuncia agli studi e di trasferirmi a Milanoā. Ci racconta Giovanni Mineo, che da dicembre 2018 ĆØ al timone, in tandem con il pizzaiolo padovano Simone Lombardi, di Crosta a Milano. āUna decisione dettata da due consapevolezze: non riuscivo a immaginare una intera vita di fronte al computer e volevo lavorare con le maniā.
Ancora non sapeva, però, che sarebbe stata la panificazione ad avere la meglio sui tanti lavori manuali. āSapevo che mi piacevano i fermentati, ma ancora non ero sicuro se intraprendere la strada della panificazione o della pasticceriaā. A far pendere l’ago della bilancia sulla prima, il mitico Davide Longoni. āAvevo un’idea del panettiere distorta, o quanto meno in linea con l’opinione comune che dieci anni fa si aveva del panettiere, ovvero un povero cristo che non avendo scelta si svegliava all’alba e si spaccava la schiena. Ma parlando con mio cognato Nicolò Scaglione (fondatore del sito Sapere dei Sapori, dove racconta degli artigiani del gusto) ĆØ uscito fuori il nome di Longoni, all’epoca ancora sconosciuto ai più. CosƬ sono andato a trovarlo e ci ho passato una giornata intera, parlando di tutto. Lui ha una visione del pane unica con un approccio storico e antropologico. Chiedergli di fargli da apprendista ĆØ stato naturaleā. E altrettanto naturale ĆØ stata la risposta affermativa di Longoni.
I Panificatori Agricoli Urbani
āPer mantenermi, di giorno, facevo vari lavoretti e poi andavo da lui a Carate. Dormivo tre, quattro ore al giorno: solo la forza dei vent’anni mi ha consentito di mantenere tali ritmi!ā. I vent’anni, ma anche il fermento che c’era nell’aria: āIl panificio di famiglia era in trasformazione, facevamo due linee di pane, la solita che risaliva agli anni ’80 e quella affine all’idea che aveva di pane Davide, che pian piano ĆØ arrivata ad assorbire il 70-80% della produzioneā. Della nuova era del pane in Italia, e nello specifico da Longoni, ne abbiamo parlato ampiamente in uno speciale nel mensile dello scorso settembre. āDurante le nottate passate in laboratorio si parlava di tutto, il lavoro fisico era la parte meno complicata, il più era capire il mondo della panificazione per costruirsi una propria idea. Io e Davide siamo stati assieme per anni – in mezzo ci sono state altre piccole parentesi – poi mi hanno proposto di andare in carcereā.
Nella Casa di reclusione San Michele ad Alessandria, la Cooperativa Pausa CafĆØ ha proposto a Giovanni di seguire un progetto di reinserimento sociale e lavorativo ai detenuti. āEra un progetto molto grosso, mi chiesero di sviluppare da zero un laboratorio, di progettare la linea, di scegliere le materie prime. Avevo 26 anni e lƬ per lƬ non me la sono sentitaā. Ma poi hanno insistito. āE mi sono lanciato! Ho passato i primi mesi a progettare il tutto, se fuori ĆØ complicato, in carcere lo diventa per cinque. Poi siamo passati alla fase di produzioneā. Non senza ostacoli: āInizialmente mi ĆØ stato detto che stavo complicando troppo i processi di produzione, e avevano ragioneā.
Doveva cominciare a fidarsi degli altri, lasciando da parte il suo ego e delegando il comando al suo braccio destro (un ragazzo attualmente in libertĆ vigilata, che tiene corsi di panificazione in altri carceri). āLongoni mi ha insegnato una cosa fondamentale, ovvero la grandezza dell’essere umile. Mi ha preso che ero un ragazzetto di 23 anni, con la fisiologica arroganza dei ventenni, e mi ha insegnato l’umiltĆ . Una lezione che mi porto dietro tutt’ora e che ĆØ stata provvidenziale durante l’esperienza nel carcere, dove ho cominciato a trasmettere tutto ciò che sapevo agli altri cercando il modo più semplice possibile per trasmetterlo. Siamo partiti dalle tabelline, a un certo punto sembrava più che altro un doposcuola!ā.
Ma com’ĆØ lavorare in un carcere? āHai a che fare con le persone più disparate, ognuno con le proprie reazioni e i propri interessi. In carcere l’errore più grande che si possa fare ĆØ quello di generalizzare. Ad ogni modo tutto quello che smuove un detenuto dal suo torpore quotidiano, diventa uno stimolo, a maggior ragione se l’attivitĆ te la puoi spendere anche fuori dal carcereā. Diventa un’attivitĆ benefica anche ingegnarsi per arrivare a un obiettivo: āIn carcere tutti partono da zero, anche chi fuori ha costruito qualcosaā.
E per te come ĆØ stata l’esperienza? āA tratti devastante. Prima di cominciare mi avevano avvisato della sindrome da burnout – stress che colpisce alcuni lavori e che determina un logorio psicofisico ed emotivo ā ma non ci avevo dato più di tanto peso. Sarebbe dovuta arrivare dopo i primi tre mesi, a me si ĆØ manifestata dopo i primi sei, ĆØ stata dura, uscivo di lƬ depauperato da qualunque tipo di energia vitale. C’ĆØ stato un momento in cui tutto mi sembrava meccanico, mi sentivo rallentato, ma sono riuscito ad affrontarloā. Chiamatelo senso del volere, ma Giovanni ha passato ad Alessandria altri due anni, portando la squadra di detenuti da 5 a 15 e coinvolgendo anche un’area agricola, sempre all’interno del carcere.
Laura Mantovano e Giovanni Mineo durante la presentazione della Guida Pane&Panettieri
Passati due anni, con il progetto che ormai camminava con le proprie gambe, il panificatore ĆØ tornato a Milano, coinvolto sempre da Longoni nel progetto del Mercato del Suffragio. Era la fine del 2015. āIn laboratorio c’eravamo io e Adriano (Del Mastro, ndr) assieme a Davide, e dovevamo gestire tutta la parte della produzione, ĆØ stato pesantissimo ma ci siamo divertiti un saccoā. In quel laboratorio sono passati anche Aurora Zancanaro (che oggi ha il suo micropanificio LePolveri), Lorenza Roiati (anche lei ha aperto un suo panificio, LāAssalto ai forni, ad Ascoli Piceno) o Pasquale Polito (di Brisa a Bologna), probabilmente inconsapevoli di quel che sarebbe stato il mondo della panificazione tre anni dopo, con tutto il movimento dei Panificatori Agricoli Urbani che ne ĆØ conseguito.
Simone Lombardi e Giovanni Mineo
Da quello del Suffragio ĆØ poi andato al Mercato in Darsena ad aiutare Giuseppe Zen: āServiva una persona che organizzasse la logistica in 12 mq tra laboratorio e vendita. Abbiamo incastrato i macchinari come stessimo giocando a Tetris, non c’era nulla lasciato al caso e tanto meno di superfluo: ne ĆØ nato un gioiellinoā. Poi, però, ĆØ emersa la voglia (o forse la necessitĆ ) di fare qualcosa di suo.
āAdesso ci provo io, mi son dettoā, e durante i corsi in Food Genius Academy che nel frattempo teneva – ādopo l’esperienza nel carcere ho capito che il mio percorso di crescita si basava anche sulle persone a cui insegnavo qualcosaā – incontra Simone Lombardi. āParlandoci ho capito che eravamo nella stessa lunghezza d’onda e fatalitĆ anche lui aveva lasciato il suo lavoro da Dry. Ci siamo presi del tempo per riorganizzare le idee e trovare il locale giustoā. E hanno aperto Crosta, un forno con pizzeria e piccola cucina. āInvece di un artigiano, da Crosta ce ne sono due, che si completano. Simone ĆØ la parte più precisa, io sono quello più anarchico, e insieme funzioniamo perchĆ© ragioniamo da artigiani: per noi il profitto ĆØ solo la conseguenza del far beneā.
Ma tornando al motivo dell’intervista, raccontaci del tuo pane: āĆ un prodotto che viene da tanti, io ci metto semplicemente la firmaā. Effettivamente il suo pane parla di contadini e mugnai, che consegnano un prodotto sempre differente – ĆØ la natura! – ma che in un modo o nell’altro, alla fine, deve restituire un pane sempre riconoscibile. āInsieme a Lorenzo Cussino (il mugnaio di ViVa la farina) di volta in volta mixiamo i vari grani, per lui conviene mischiarli premolitura, per ottenere il tipo di farina desiderata che poi darĆ il pane volutoā.
E il Pane dell’anno di segale āconditoā con cioccolato costa d’Avorio di Marco Colzani, come ci sei arrivato? āĆ un pane picaresco! Ti prende in giro perchĆ© quando lo metti in bocca sembra dolce ma in realtĆ non ha zucchero, c’ĆØ solo cioccolato al 70% e segale. L’input ĆØ arrivato parlandone con Longoni e Pasquale di Forno Brisa, poi Simone mi ha raccontato come funzionano le percezioni gustative: in pratica quando si mangia qualcosa di amaro, il tuo cervello cerca il dolce, e se non glielo dai, lo cercherĆ in maniera spasmodica, tanto da trovarlo anche in qualcosa che oggettivamente non ĆØ dolce. Come il cioccolato senza zucchero e la segaleā.
Crosta – Milano ā via F. Bellotti, 13 ā 0238248570 – facebook.com/crosta.milano
Guida Pane & Panettieri dāItalia – Euro 8,90 – disponibile in edicola, libreria e online
a cura di Annalisa Zordan
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