Abbiamo incontrato Donata Orsi, una chef di origini italiane che lavora allโestero, tra Londra e New York, da oltre dieci anni.
Come nasce il tuo amore per il cibo?
Ho 40 anni e sono nata e cresciuta a Lucca, nel cuore della Toscana. Negli anni Ottanta la mia cittร possedeva ancora un fervente mercato ortofrutticolo in pieno centro, circondato a sua volta dalle cosiddette botteghe artigiane e di generi alimentari. Qui avvengono le prime esplorazioni legate al cibo della mia vita. Ricordo nitidamente lโodore dei formaggi alla Cacioteca, dove mi venivano offerti sempre degli assaggi; il profumo della focaccia calda appena sfornata, lโaroma pungente del baccalร e le urla dei venditori provenienti dai banchi delle verdure. Una volta a casa gli ingredienti venivano trasformati in ancor piรน deliziose pietanze. Da bambina ho passato gran parte del mio tempo cosรฌ, nelle cucine di mia madre e delle mie nonne, osservando, impastando, assaggiando e ascoltando le loro conversazioni.
Quando hai deciso di fare del food la tua professione?
Nel 2004 ho interrotto gli studi di Infermieristica all’Universitร di Pisa, dopo lโimprovvisa morte di mia madre, e ho deciso di intraprendere la carriera nella ristorazione. Ho inizialmente lavorato in diversi ristoranti a Pisa, Lucca e sulla costa, imparando le basi della cucina regionale toscana e italiana in generale.
Quando e perchรฉ hai lasciato lโItalia?
Nel 2010 ho conosciuto il mio futuro marito, anche lui lucchese, e mi sono trasferita a Londra, dove Francesco lavorava giร come ricercatore nellโambito medico.
Nel mio primo anno a Londra ho lavorato in alcuni gastropub del gruppo Fullerโs, imparando sia lโinglese che le prime basi di cucina internazionale. Lโanno successivo sono stata assunta al ristorante Nopi, dello chef Yotam Ottolenghi. Questa รจ stata una delle esperienze spartiacque della mia carriera perchรฉ da lรฌ in poi ho continuato a seguire un filo conduttore che, in qualche modo, non ho mai abbandonato: ho appreso la passione per la cucina mediterranea, vegetariana e la ricerca di sempre nuovi ingredienti e modi di cucinare e presentare, in particolare, le verdure.
Cosa ti ha portato a New York?
Nel 2013 ci siamo trasferiti a New York City, inseguendo nuove possibilitร lavorative per Francesco che ha ottenuto un visto J1 lavorando per Rockefeller University. Io ho lavorato in diverse cucine e ristoranti dove ho ricoperto prima ruoli da sous chef e successivamente da head chef.
In particolare, ho lavorato per lo chef Hooni Kim a Danji, un ristorante coreano nel distretto dei Teatri. Successivamente, ho collaborato allโapertura di Untitled al Whitney Museum con lo chef Michael Anthony, poi a Two Hands, uno dei caffรจ australiani tra i piรนโ popolari della cittร e al ristorante Balaboosta per lo chef Einat Admony.
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Cosa consiglieresti a un altro giovane che, ispirato dalla tua tua storia, volesse seguire i tuoi passi?
Ognuno di questi lavori ha apportato un’incredibile crescita nella mia carriera, arricchendo e delineando sempre di piรน il mio stile di cucina.
In questo senso, per un giovane che decide di intraprendere la carriera di cucina, il mio consiglio รจ quello di essere il piรน possibile curioso dei diversi ingredienti e cucine, senza necessariamente prediligerne una.
Come e dove si รจ evoluto il tuo lavoro?
Dal 2017 in poi, ho cercato di dare vita ai miei progetti. Da questo nasce la collaborazione con Peaches Nyc, una compagnia di catering per cui sono diventata executive chef-partner e che mi ha portato a trasferirmi a Rockaway Beach, una popolare localitร di mare di New York. Qui, dopo il devastante uragano Sandy del 2012, la comunitร locale, insieme alla cittร , si รจ impegnata in una continua ristrutturazione e rivalutazione dell’area. Dalla costruzione di uno nuovo camminamento sul lungomare, alla valorizzazione dei tipici bungalow in legno, allโapertura di nuovi ristoranti e centri di aggregazione. Mi sono letteralmente innamorata di questa comunitร sullโoceano, trovando totale supporto per la realizzazione dei miei progetti, fino anche allโapertura nel 2019 del caffรจ-ristorante Thank You. Qui ho partecipato alla creazione dellโintero progetto, sia nelle fasi di costruzione che di sviluppo del concetto. Ho dato vita al menu e ho ricevuto la prima importante recensione gastronomica personale, pubblicata su Gothamist, dello scrittore Scott Lynch.
Cosa รจ successo durante la pandemia?
Con lโarrivo della pandemia Thank You ha sofferto dell’incredibile crisi che ha coinvolto i ristoranti della cittร , fino a chiudere i battenti in maniera definitiva allโinizio di questโanno.
Dopo una fase iniziale di confusione e stress emozionale, sia legata ad aspetti di carriera personali sia a una crisi globale dei ristoranti, mi sono rimboccata le maniche e ho cercato di rimanere il piรน attiva possibile, sia dedicandomi alla produzione di prodotti da forno, soprattutto per amici e conoscenti, sia continuando a lavorare come chef negli stabilimenti sul lungomare, durante la stagione estiva.
In questo contesto, ho avuto anche modo di conoscere (per un attimo parlerรฒ della mia intervistatrice in terza persona!) la fotografa e giornalista italiana Francesca Magnani, che giร conosceva questa parte di New York per via dei suoi personali progetti che lโavevano giร portata ad esplorarla. La sua conoscenza mi ha ispirato moltissimo sia per le incredibili foto e ciรฒ che riescono a catturare e trasmettere oltre lo scatto, sia perchรฉ credo che non sia un caso che dopo anni di vita allโestero ci siamo trovate proprio qui a Rockaway, un posto aperto sul mare che per certi versi ricorda una localitร di villeggiatura della costa italiana.
Qual รจ il tuo prossimo progetto?
Nel prossimo futuro, in seguito alla pandemia, io e Francesco abbiamo deciso di trasferirci di nuovo in Italia per passare del tempo con le nostre famiglie e amici.
Personalmente mi auguro che con il rientro in Italia potrรฒ attuare un mio progetto legato alla ristorazione. La speranza รจ che questo possa creare opportunitร anche per altri e dare il mio contributo alla ricostruzione di quella che รจ la vitalitร delle nostre cittร e comunitร cosรฌ duramente colpite dalla pandemia.
testo e foto di Francesca Magnani
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