Storia di Haru. Le regine del mare e la pesca agli abaloni sull'isola di Jeju

4 Gen 2024, 14:47 | a cura di
Con il suo vero nome, l’infuencer @prattquello firma un reportage dai mari della Corea del Sud, dove le donne pescano gli abaloni

Milioni di anni fa, nonna Seolmundae, che era una gigantessa, si mise a scavare.
Con solo sette colpi di pala, creò il vulcano Halla, sempre attivo. E attorno a lui, a forza di lava, lapilli, colate, nacque l’isola di Jeju, poco a sud della penisola coreana.

abaloni_Le pescatrici di Jeyu, corea del sud_ foto di kimchi e basilico

Gli abaloni pescati nel mare di Jeyu dalle pescatrici coreane che vivono sull'isola. Foto di kimchi e basilico

L'isola di Jeju e la leggenda

Jeju è un lembo di terra perso nel mare che si attraversa da parte a parte in meno di un’ora e mezza: l’aria sa di salsedine e mandarino.
C’è stato un tempo, prima delle serre e dei fertilizzanti, in cui le coltivazioni di arance nell’entroterra venivano spazzate ogni giorno dai venti del mare, costringendo i contadini a costruire barche e prendere il largo.
Se il clima dell’isola non si mostrò clemente con loro, le flotte cinesi e giapponesi lo furono meno: che fosse responsabilità di un tifone o di una giunca imperiale, gli uomini dell’isola continuavano a sparire.
Le donne dell’isola no.

...E le donne restarono sole

Rimaste sole a casa, le mogli dei pescatori scomparsi si ritrovarono all’improvviso senza un marito e – soprattutto – senza più nessuna barca.
La ricchezza del mare rimaneva però lì a due passi, nascosta sotto le onde: abaloni, ananas di mare, cetrioli e lumache marini riempiono ancora oggi i fondali e le scogliere sommerse dell’isola.
Servivano solo delle tute di cotone, neanche le maschere subacquee – introdotte solo alla fine del diciannovesimo secolo – erano necessarie: le donne cominciarono a immergersi.

le pescatrici dell'isola di Jeyu. foto di kimchi e basilico

La storia delle immersioni in rosa

La vita ricominciò a scorrere, uguale a prima, fu il panorama a cambiare: sulle spiagge, quasi fossero state partorite dalla sabbia, iniziarono a stagliarsi casupole di pietra lavica nera, usate come spogliatoi, tra un’immersione e l’altra.
La prima testimonianza scritta delle haenyo risale al 1629, quando il topografo imperiale Lee Gun, incaricato di mappare Jeju, parla di queste donne che si immergono in turni di 7-8 ore, per tornare in superficie con cestini pieni di abaloni, il mollusco “principe del mare”, così amato dai nobili coreani.
Le pescatrici lo estraggono dalla sua conchiglia ovale, da cui sporge come una pupilla sul fondo del mare, e appoggiandosi al primo scoglio che trovano libero, lo tagliano a fettine sottili.
Lo stendono in una vaschetta, con accanto una piccola ciotola piena di salsa di soia e gochujang, la salsa piccante coreana. Mangiano così, guardando il mare: imperatori e pescatrici hanno gli stessi gusti.

"Stile di vita, più che lavoro"

Sulle coste più orientali dell’isola, in uno dei casotti neri di prima, chiamato bulteok, Haru racconta della sua vita da haenyo: «È più un modo di vivere che un lavoro: immergersi ogni giorno ti insegna dove trovare alcuni crostacei, quali si nascondono sotto la sabbia quando piove, dove non prendere nulla per lasciare riposare gli scogli. Alla fine, diventi anche tu parte del mare».
Haru ha una sessantina d’anni, l’età media esatta delle haenyo attuali: molte superano i 70 e ogni anno qualcuna se ne va così, durante un’immersione, con la salute fisica che non riesce più a reggere certi sforzi.

Una vita da haenyo: le pescatrici

«Siamo sempre meno, perché immergersi non è più necessario. Quando ero piccola una donna di Jeju su quattro si immergeva, adesso siamo poche, siamo pochissime. E poi è difficile diventare haenyo: servono sette anni per diventare Hagun, principianti, poi piano piano si diventa Junggun, più esperte. Le più brave, che insegnano a tutte noi, sono le Sanggun, le maestre».
Mentre Haru parla il piccolo spogliatoio di pietra si riempie di fumo, che sale in volute lente da un grosso pentolone davanti a lei.

Più turisti, meno pescatrici

La haenyo solleva un mestolo colmo di zuppa rossa dal pentolone e lo versa in una ciotola più piccola, mescolando una pappa cremosa con il liquido denso. Lo offre sorridendo: il sapore è brodoso e marino, viscido e caldo.
È l’ascidia, è il granchio, sono le alghe sargassum, tutto che si impasta e che si fonde insieme sul palato, mentre Haru sorride senza che abbia bisogno di chiedere se è buono.
Accanto a lei una cesta di frutti di mare freschi, che porterà stasera a qualche locale sulla costa.
E stasera a quel locale non basteranno quegli abaloni, perché i turisti sono sempre di più.
E le haenyo sempre di meno.

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