I problemi della ristorazione in Francia durante la crisi del Coronavirus

19 Apr 2020, 20:01 | a cura di
A rischio il concetto stesso di bistrot, i ristoratori che chiedono i soldi alle assicurazioni, i giovani imprenditori italiani di Parigi che aspettano e chiedono di aprire a settembre, la cassa integrazione che arriva in ritardo e altre storie. 

"Possibile che il presidente Emmanuel Macron e il ministro dell'economia Bruno Le Maire abbiano parlato di tutto riguardo agli aiuti da dare alle imprese fuorché delle assicurazioni? Ebbene quello che chiediamo è che il capo dello stato dichiari lo stato di catastrofe naturale, così noi potremo chiedere rimborsi alle nostre assicurazioni". La petizione lanciata dall'oste parigino Stéphane Jégo del bistrot Chez L'Ami Jean ha preso piede e superato le 130mila adesioni. A margine e a supporto nasce sui social il frequentato gruppo Resto Ensemble con l'obbiettivo di scambiarsi idee e spunti su una situazione che in Francia come da noi vede tutto il settore della ristorazione non solo chiuso, ma senza prospettive precise di riapertura e senza chiare indicazioni su come sostenere finanziariamente questo periodo di limbo.

La sala del ristorante Racines di Simone Tondo

"Qui" ci racconta Simone Tondo chef di Racine e da anni tra gli esponenti più in vista della bistronomia in città "il presidente non parla un giorno si e uno no. Ha parlato il giorno di Pasquetta e ci ha dato appuntamento all'11 maggio. Attenzione: non ha detto che si riaprirà l'11 maggio, ha detto che ci risentivamo l'11 maggio per aggiornamenti. Intanto ci sono centinaia e centinaia di morti al giorno purtroppo". E per quanto riguarda i ristoranti? E' vero che non è stato detto nulla? "In realtà il presidente ha accennato alle attività che prevedono un assembramento sociale e interpretando il suo discorso molti hanno capito che l'apertura potrebbe essere fissata per il 15 di luglio. Ma ovviamente ogni settimana lo scenario può cambiare e cambierà".

Simone Tondo

La cassa integrazione in Francia

Ma in Francia esiste come in Italia l'istituto della cassa integrazione per cercare di tamponare questo periodo di stallo? "Non sono troppo deluso da come si sta comportando il governo" confessa Michele Farnesi chef e proprietario di Dilia anche lui nella agguerritissima pattuglia di cuochi italiani a Parigi "la cassa integrazione di marzo è arrivata, stanno cercando di fare qualcosa con gli affitti, ad esempio vogliono chiedere ai grandi proprietari immobiliari di abbonare tre mesi ai piccoli business loro affittuari anche se ancora è solo una ipotesi. Secondo me i governi si stanno comportando meglio di banche e assicurazioni. Nonostante ciò non ho firmato quella petizione: davvero pensiamo che tutto il peso della crisi vada riversato sulle assicurazioni? Così oltre alla crisi economica tremenda che ci sarà, ci toccherà anche una crisi finanziaria tipo 2008...". Leggermente diverso il punto di vista di Simone Tondo, che precisa: "innanzitutto la cassa integrazione va anticipata da noi imprenditori, dunque per chi non ha liquidità è un problema, e poi a moltissimi quella di marzo ancora non è arrivata e intanto abbiamo anticipato pure quella di aprile. Non dimentichiamoci poi che molti imprenditori non si pagano lo stipendio lasciando quello che spetterebbe a loro in cassa: significa adesso non poter accedere ai sussidi. Questi ritardi e queste circostanze non possono farci essere troppo fiduciosi su tutto l'impianto sociale a sostegno del settore che il Governo ha messo su. Resto comunque molto molto fiducioso" aggiunge Tondo "perché anche se con un potere d'acquisto minore ci sarà ben presto una grande voglia di tornare a vivere, mangiare, vedere i musei, ballare e viaggiare".

Michele Farnesi nella piccola sala di Dilia nel cuore di Menilmontant

Il problema è riaprire più di restare chiusi?

Entrambi gli chef concordano su un punto: il problema più che nella fase di stop sarà nella riapertura. "Ovviamente il rischio è riaprire con un giro d'affari così basso e con limitazioni così stringenti" ipotizza Simone Tondo "che vedremo solo dei fallimenti procrastinati nell'ultimo quadrimestre del 2020 o nel primo del 2021. Inutile dire che spererei in provvedimenti a fondo perduto, sempre fatti in un quadro che non porti lo stato ad andare in difficoltà ma bisogna capire anche la nostra difficoltà perché noi ci occupiamo nello specifico di fare socialità, di far stare insieme le persone, di fargli sentire i rumori, di fargli godere una piccola sala affollata. Questa circostanza mette fuorilegge proprio la nostra identità anche se cercheremo in tutti i modi di adeguarci". Racine ha 26 coperti e 13 dipendenti con pochi spazi all'esterno, e a sentir parlare chef Tondo emerge una tendenza: meglio stare chiusi un po' di più piuttosto che aprire in una situazione profondamente anomala. "Effettivamente io preferisco stare chiuso finché non c'è una normalità. Ci faranno riaprire il 15 luglio? Bene: lascerò in ferie i ragazzi e li farò ricongiungere con le famiglie e poi a settembre si riparte e si rimetterà su l'azienda. Se saremo capaci di fare come prima bene, sennò ci reinventeremo. Ma non voglio reinventarmi ora: ora voglio stare a casa e voglio sfruttare al massimo gli aiuti perché ho pagato tante tasse per averli".

L'esterno di Racine a Parigi, il ristorante di Simone Tondo nel suggestivo Passage des Panoramas

Dilia invece di coperti ne ha ancora meno, ma Michele Farnesi la pensa alla stessa maniera di Simone Tondo: "speriamo non ci facciano aprire in mezzo alla tempesta con limitazioni assurde e con i clienti ancora impauriti dal contagio. Meglio spostare tutto a settembre. Lo dico anche per l'enorme parte del settore che lavora su ritmi stagionali: farli ripartire a metà luglio sarebbe una carneficina perché perdi metà stagione e l'altra metà la fai a ritmi ridotti".

La terrazza esterna di Dilia

La ristorazione a Parigi era già in crisi?

"C'è una cosa però che non si dice: la ristorazione a Parigi era già in crisi, anche senza il virus" sussurra  Mauricio Zillo, brasiliano, che dopo alcuni anni a Milano a Rebelot ha gestito a Parigi A Mere e qualche anno fa ha deciso di chiudere anche se le cose non andavano male: "certo non andavano male, ma avevo capito dove si andava a parare: costi degli affitti altissimi, margini di guadagno sempre inferiori, una città meno ispirata rispetto agli anni prima. Per fortuna ho chiuso appena in tempo. Ora il Covid è una accelerazione di tutto questo". Sembrano dello stesso parere anche gli altri due chef: "molti protagonisti del settore erano in realtà già in difficoltà prima" conferma Tondo, mentre Farnesi aggiunge: "sono anni che siamo nell'occhio del ciclone. Non c'è stato un solo anno sereno tra gli ultimi e questo impatta moltissimo. Prima gli attentati, con le persone sedute fuori ai ristoranti prese di mira dai terroristi; poi i Gilet Gialli; poi gli scioperi ora il contagio. Il settore è a dir poco sotto pressione e molte aziende non sono state neppure gestite al meglio dunque ora si trovano immediatamente in difficoltà. Cosa ci vorrebbe? Ci vorrebbe una Banca della Ristorazione, un istituto di credito che capisca le caratteristiche peculiari del comparto".

Mauricio Zillo ai tempi di A Mere a Parigi

"Moltissimi colleghi avevano già messo la loro azienda nelle mani delle banche o dello stato purtroppo. E ora hanno ben pochi margini per muoversi" insiste Mauricio. Insomma, tutto negativo e pessimista? "Neanche per sogno" chiude Zillo "la situazione è anzi molto avvincente. Non è pensabile che tutto questo sia venuto solo per nuocere. Anzi. Il cambiamento ci servirà per ripensarci, per trovare un nuovo equilibrio, per riorganizzarci e questo, lo scopriremo presto, avrà un valore enorme". Un po' di sano fatalismo ottimista, in effetti, potrebbe fare al caso di tutti: non risolve ma quanto meno consola.

a cura di Massimiliano Tonelli

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