La ristorazione come una catena alimentare. Ecco come sta cambiando

12 Apr 2020, 15:00 | a cura di
Lo scenario della ristorazione è un ecosistema complesso in cui si muovono moltissimi attori, in una catena di aziende che dovranno – si spera tra non molto – riprendere l'attività.

Noi siamo affatto fuori tema se prendiamo in prestito la catena alimentare come processo d’insieme dei rapporti tra gli organismi di un ecosistema. In questo caso, quello economico legato alla filiera di produzione e consumo nell’enogastronomia.

La catena

Gli organismi sono molti, dalle aziende produttrici ai distributori, dai locatori a locatari, che poi molto spesso sono i ristoratori, ovvero la categoria maggiormente al centro dei dibattiti di questo particolare momento di crisi. Ma non finisce qui, perché poi si arriva fino ai lavoratori dipendenti e alle imprese di fornitura dei servizi, senza contare quanto, in alcune città, incida il turismo. Proprio quest’ultimo è il settore che sta subendo e subirà il danno maggiore.

Se dovessimo cercare delle stime affidabili, in grado di chiarire quanto sia stato il danno economico strettamente legato all’intera catena, faremmo fatica. Questo perché non basterebbe sommare i danni di ogni singolo settore, ovviamente raccolti su scala nazionale e con numeri che tengono conto sia dell’export che di consumi interni, ma bisognerebbe andare a scorporare da ognuno di essi la cifra esatta da collocare a ogni singolo segmento.

Lo scenario

Per farla breve però, a qualsiasi segmento si appartenga, la difficoltà più grande oggi è rappresentata dalla mancanza di liquidità. Non ci sono soldi. I produttori non possono incassare, i ristoratori non posso pagare, i dipendenti non possono lavorare, mentre c’è ancora grande confusione tra gli annunci di sospensione di utenze, canoni e leasing. A oggi, mentre occorre capire come si potrà beneficiare del recente Decreto Liqiudità, i locatori inseguono la riscossione degli affitti, i produttori cercano di regolarizzare le fatture scadute (spesso molto scadute), i dipendenti chiedono spiegazioni e rassicurazioni, i ristoratori azzerano i conti e si dividono tra delivery sì e delivery no.

Non sappiamo quando tutto riacquisterà un assetto in grado di rimettere in moto la macchina produttiva e dei consumi, ma chi valuta la solvibilità e il merito creditizio delle imprese, monitora e gestisce il rischio di credito durante tutte le fasi e definisce strategie di marketing descrive due scenari possibili: uno base e uno hard, stimando nella migliore delle ipotesi una perdita che si aggira sui 270mld di euro, il 40% delle imprese a rischio e almeno una su dieci destinata alla chiusura.

Tutto questo porterà a un cambio radicale delle leggi di mercato. Salvo i casi in cui con (in)coscienza si è dato fondo alle risorse economiche, la difficoltà è reale nella mancanza di liquidità ed è uno scenario che non si aspettava nessuno. Saltano tutte le pratiche consolidate nel bene o nel male negli anni passati, con ipotesi di cambiamento necessario.

Le ipotesi sul futuro

Se verranno sospesi realmente versamenti e leasing attivi, se verranno agevolate le forniture dei servizi di utenza come energia, acqua e gas e se i ristoratori decidessero di ripartire con menu più snelli e carte dei vini meno impegnative, ma soprattutto se prevediamo come plausibile il crollo del mercato degli affitti (seppur concordati), allora forse noi potremmo tornare a cena senza spendere il doppio di prima. Probabilmente anche nei nostri posti preferiti. I produttori di vino dovranno trovare canali di promozione puntando ancora di più all’export, supportando il consumo casalingo grazie allo sviluppo di e-commerce che siano navigabili. Le aziende produttrici troveranno nel retail nuova forza ed esigeranno dalle attività ristorative il rispetto dei saldi fattura secondo termini di legge.

Ogni anello della catena cercherà di non sentirsi più quello debole e inevitabilmente, alla ripartenza, lavorerà per assicurarsi una stabilità duratura centrata su sé stesso. A meno che...

La visione

A meno che non si sfrutti questo tempo per trovare soluzioni comuni, dove nessuno deve rincorrere nessuno e ognuno metta le proprie risorse e competenze a disposizione dell’altro, in una forma partecipata d’impresa collettiva. Una consociazione che riesca a garantire flussi di cassa circolari, a basso rischio d’impresa, in grado di tenere in piedi le attività a rischio e rilanciare le più solide. Se è vero che nessuno si salva da solo, affrontare questa crisi è possibile solo lavorando insieme.

a cura di Andrea Febo

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