Pensare alla catastrofe e alla sua fine รจ impresa inedita per tutti. Nessuno poteva pensare che saremmo arrivati a questo punto. Anzi, forse neanche a un puntoโฆ Fino a pochi giorni fa pensavo al dopo come alla fine di tutto e del lutto, quando si sarebbe potuto uscire per strada e abbracciarsi tra sconosciuti e mangiare insieme. Tipo la festa del 25 Aprile. Una nuova liberazione da un nemico insidioso che non si ferma dinanzi ai valori di fraternitร o uguaglianza. Purtroppo ora sono molto piรน cauto. Sento non lโalito della morte, ma il suo vento maestrale: quello cieco e rancoroso che spazza tutto e tutti. Riprendere a mangiare in pubblico โ la ristorazione โ deve accumulare i troppi morti sepolti senza rito. E rendere loro pace.
A volte ho queste visioni: quando potrรฒ tornare a mangiare in una trattoria, la mia trattoria preferita al Pigneto, entro come si entra in un luogo sacro e abbraccio con gli occhi la dolce proprietaria. Poi seduto sulla panca che unisce la tavolata, ordino gnocchi e un quartino di vino rosso. Nellโattesa, ci guardiamo con gli altri clienti, tutti in silenzio e raccolti in un rito di passaggio inedito, il passaggio verso lโalimentazione condivisa, in cui si compie il rituale: mangiare e bere come se fosse la prima volta alla presenza di tutti i defunti per il virus.
E quando arrivano gli gnocchi, sapientemente fatti in casa con un semplice quanto raffinato sugo di pomodoro, col parmigiano appena grattugiato offerto in una tazzina di lato, attenzione che adoro, scelgo il primo essere, un semplice eppur unico gnocco: e con estrema delicatezza lo avvolgo di sugo abbondante e lo cospargo di formaggio. Cosรฌ lo offro alla mia bocca semiaperta, che lo accoglie, anzi, lo assorbe tra i denti e la lingua facendolo sciogliere nellโemozione del dramma. Solo in questo processo sacrale puรฒ avvenire lโatto del deglutire che accompagna il sapore alla sua meta. E allora posso sorseggiare un poco di vino rosso che celebra il mescolarsi dei sapori.
Ogni piรน micrologico atto del mangiare avrร qualcosa che ristabilisce il sapere e il sapore di una metafisica immanente. Anche un pezzo di pane รจ un essere, uno gnocco รจ vivo, il goccio di vino รจ sacroโฆ Avverto una umanitร -non-antropocentrica, dove lโessere umano non รจ piรน il centro del mondo nรฉ la misura di tutte le cose, ma che ha capito che ogni frammento umano, animale, vegetale, minerale e perfino โ politeisticamente โ divino compone il cosmo di cui tutti facciamo parte nelle nostre specifiche differenze. Perchรฉ sono queste differenze che ci rendono uguali, non lโessere identici: come avevano compreso le metamorfosi di Ovidio.
La riscoperta del poter mangiare fuori casa sarร rito silenzioso, un rito connettivo nelle nostre irriducibili individualitร piuttosto che collettivo dove i singoli scompaiono. Essere gentili con la polvere di parmigiano o la goccia di olio, gentili nel senso profondo di fare parte della gens, dei diritti allโesistenza: e sento che solo in questo processo esistenziale sarร possibile lโatto pubblico del ristorare. Mi piacerebbe immaginare che โ se carne si deve mangiare โ una parte di essa, i suoi profumi e vapori, possano nutrire esseri che chiamiamo divinitร per accompagnare il corso del simposio. La tradizione della cultura greca offre la possibilitร di riattualizzare la trama che connette ogni vivente in quanto essere. Dalla festa silenziosa emerge una antropologia-non-antropocentrica. Solo cosรฌ lโumano, dopo la catastrofe virale, potrร sentirsi parte di quella che chiamiamo natura e che non si presenta solo come oggetto, a noi di fronte, bensรฌ come pienamente soggetto co-evolutivo.
Ogni piรน piccolo tratto della ristorazione, che evoca il ristoro, dovrebbe avere le connotazioni della soggettivitร , di una soggettivitร espansa e non piรน ristretta quel โnoiโ asfittico e incerto. E solo in quanto esistenza espansa sarร possibile degustare di nuovo, rigustare. Gustare cibo pubblicoโฆ
Mi piacerebbe immaginare un banchetto silenzioso, in cui ognuno ritualizza lโevento drammatico del mangiare. E cosรฌ, a un punto non convenuto, una persona si potrร alzare con discrezione e invitare tutti i commensali al brindisi piรน silenzioso e commosso della storia recente. Non sarร possibile la gioia del mangiare condiviso nel ristorante elegante o nella trattoria popolare. Troppi lutti hanno devastato le famiglie e le amicizie. Se รจ vero che, nella piรน arcaica ritualitร del lutto, a un certo punto i familiari offrono da mangiare โ il consolo โ ai convenuti per sottolineare la vita che deve riprendere, allora la ripresa della vita avrร nellโatto pubblico del mangiare lโevento piรน sacro. Quel cibo materialmente trascendenteโฆ
Trascendere la morte significa mangiare simboli. Non piรน nei discorsi, nellโevocazione del defunto, nel prete che sbaglia il nome del morto: ristorare potrebbe significare restaurare la potenza vitale del cosmo. La sua cosmologia fluttuante. Il dopo la tragedia del virus, se ci sarร questo dopo, dovrร performare pubblicamente la pacificazione del cibo con la morte e con i morti.
a cura di Massimo Canevacci
antropologo
illustrazione di Gianluca Biscalchin
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