La ricetta può così acquisire maggiore forza dal confronto tra culture e sensibilità diverse e puntare a conquistare un futuro oltre il passato. Nel mensile di aprile del Gambero Rosso abbiamo messo gli chef a confronto, tra puristi e innovatori.
āPlin Plin Tortellinā¦/ Con sei uova di gallina / in un chilo di farina, / carne grana prosciuttini / ecco i veri tortellini. / Sono buoni, sono tanti: / tortellini Fioravantiā. Erano i primi Anni ā60, lāazienda di pasta secca piemontese brevettava i suoi tortellini a lunga scadenza e iniziava a produrli nel laboratorio bolognese di San Lazzaro. Sono questi gli anni in cui i tortellini cominciavano a uscire dalla tradizione dei ricettari familiari e approdavano poi alla āricetta originaleā (ma di chi? non si sa!) depositata presso la Camera di commercio di Bologna da parte della Confraternita del Tortellino. E giĆ nella filastrocca che imperversava su Carosello la āricettaā industriale era ben diversa da quella tradizionale: le uova sono 6 per un chilo di farina, mentre la sfoglia tradizionale era tirata – anche secondo la ricetta della Confraternita – con 10 uova al chilo. E poi c’era il Grana laddove la ricetta tradizionale prevede Parmigiano Reggiano.
Ma ĆØ proprio in questi anni, quelli del Dopoguerra e del Boom economico, che i tortellini diventano davvero un piatto nazionale che si prepara in tutte le case dāItalia. Magari proprio acquistati secchi in busta e affogati in un bel brodo. Ovviamente di dado! Altro che tradizione e purismi. Eppure, appena dieci anni dopo la nascita del moderno tortellino industriale, la Confraternita del tortellino sente la necessitĆ di cristallizzarne la ricetta fissandone la purezza, ma anche interrompendo unāevoluzione che parte dal medioevo e che si ĆØ maturata nei secoli attraversando le storie e i ricettari familiari di una bella porzione dāItalia che va dallāEmilia Romagna al sud Piemonte, passando per un lembo di Lombardia fino ad aree del Veneto giù fino fino a Pesaro. Una storia che non ĆØ poi cosƬ lineare e cristallina come la ricetta farebbe invece supporre. E che, soprattutto, non tiene conto di come i tortellini (e i cugini romagnoli: i cappelletti) si siano in realtĆ evoluti e siano stati protagonisti, negli ultimi decenni, di una lunga serie di sfide. Confronti, innovazioni e manifestazioni in cui accanto alle versioni tradizionali si sono affiancati nuovi esperimenti che hanno coinvolto ripieno, sfoglia e condimenti.
CosƬ, prima di parlare un poā della storia e della mitologia del tortellino (che significa piccola torta e si ricongiunge alla storia dei diversi tortelli e delle paste ripiene di derivazione rinascimentale) diamo la parola a un cuoco nato a Bari ma da anni a Bologna che ĆØ stato uno dei promotori dellāassociazione Tour-tlen in cui il tortellino si richiama sia alla importanza del viaggio che a quella della tradizione. āIo credo fortemente che per salvare la tradizione dobbiamo fare innovazione ā dice Mario Ferrara, chef e patron della trattoria bolognese Scaccomatto ā Il classico, in brodo, resta centrale e imbattibile, ma non vedo perchĆ© non si debba anche cercare altro. Io ne faccio uno con ripieno tradizionale, con sfoglia classica al matterello, immerso in una crema di brodo e parmigiano aromatizzata al lemon grass. Ma nel tempo abbiamo fatto diversi tortellini anche con ripieni diversi, magari anche vegetali. Questo terreno della ricerca e dellāinnovazione ĆØ lāunico modo per far restare importante e viva la tradizione. La diversitĆ che viene fuori nelle manifestazioni dellāassociazione, a Bologna, crea interesse e dibattito senza mai toccare il ‘re Tortellino in brodo’. Io sono un uomo del Sud anche se vivo a Bologna da tantissimo tempo, e credo che le contaminazioni siano una ricchezza e un momento di crescita, non un impoverimentoā.
Probabilmente, lāidea del tortellino nasce (come spesso i piatti di antica e radicata tradizione familiare) come modo di riciclare gli arrosti avanzati dalle tavole dei pochi signori che potevano permettersi cibi di lusso. Lo storico bolognese Alessandro Cervellati ai primi del ā900 fa risalire al secolo XII lāuso dei tortellini in brodo a Bologna. Medioevo pieno. Del resto, delle tracce documentali si ritrovano anche in una pergamena del 1112 e in una bolla papale di Alessandro III del 1169 (anche se si tratta di una bufala: il manoscritto si riferisce a un carteggio parigino, ma la volgata comune lāha preso ormai per buono). Ma ĆØ in un manoscritto anonimo datato tra la fine del XIV e lāinizio del XV secolo che si fanno avanti i veri progenitori dellāodierno tortellino: i torteleti di enula (il saggista e storico della gastronomia bolognese Luca Cesari li ha fatti e cucinati qualche tempo fa) in cui il ripieno era manzo unito allāenula tritata.
E ancora: alla seconda metĆ del 1300 risale un ricettario in volgare, anonimo, in cui si descrivono i tortelli di bronza, ovvero di lonza di maiale. āTogli la bronza, lessala, battila e togli cascio fresco, poche uova, spezie forti e fa uno battuto di queste cose. Empine li tortelli, falli cuocere in brodo di cappone o di qualunque, e cascio e peverada per iscodelleā. In pieno Rinascimento, infine, il cuoco umanista Bartolomeo Scappi descrive i ātortelettiā che il volgo chiama āannoliniā. Si arriva cosƬ al ā600 coi tortellini conditi al burro fuso dellāagronomo Vincenzo Tanara e a una ricetta ben più grezza e ben differente da quella registrata come ātradizionaleā, descritta dal bibliografo francese ValĆ©ry Pasquin: con āun ripieno di sego di bue macinato, tuorli d’uovo e Parmigianoā.
Antenati a parte, ĆØ nel 1908 che Giuseppe Ceri, con lāinno LāOmbelico di Venere, fissa il mito dellāorigine dei tortellini prendendo a spunto la classica rivalitĆ tra Bologna e Modena sulla primogenitura e rifacendosi a un fatto di epoca medievale ripreso parodiando un poemetto del ā600 che quel fatto racconta (La secchia rapita di Alessandro Tassoni) e che poi sarĆ anche messo in musica con libretto di Gastone Boccherini e note di Antonio Salieri, nel 1772. Si risale cosƬ alla battaglia di Zappolino in cui guelfi (in maggioranza bolognesi e con un grande esercito) e ghibellini (soprattutto modenesi e inseguiti perchĆ© accusati, appunto, di aver rubato un secchio) si affrontarono in campo aperto. Nelle more della battaglia, gli Dei legati ai modenesi (tra cui Venere) si riposarono in una locanda di Castelfranco Emilia. La mattina, lāoste (che era di origine bolognese) sbirciò dalla serratura e vide Venere nuda, rimanendo folgorato dalla grazia del suo ombelico e volendone subito immortalare la bellezza delle forme fa nascere il tortellino. āDāimitar quel bellico con la pasta / Gli balenò nel capo ⦠In cucina discese / E da una sfoglia fresca ⦠Un piccolo e ritondo pezzo tolse / Che poi sul dito avvolse / In mille e mille forme / Tentando dāimitare / Quel bellico divino e singolare…ā. Ecco, quindi, che Ceri riprese le dispute tra modenesi e bolognesi sul tortellino e le risolse anche, citando Castelfranco che allora era bolognese e sul confine, Venere che era pro-Modena ma lāoste che era di Bologna⦠Oggi, giusto per rincarare la rivalitĆ e le rispettive pretese di primogenitura, Castelfranco ĆØ saldamente in provincia di Modena. Insomma, le storie non mancano.
In realtĆ , nei secoli, ogni zona ha sviluppato le sue varianti tipiche (ne sono un esempio i cappelletti romagnoli che hanno forse mantenuto una maggiore libertĆ espressiva) e ogni famiglia ha fissato le ricette di mamma in figlia, di nonna in nipote. āCon il comune di Bologna ā spiega Carlo Alberto Borsarini, presidente dellāassociazione Tour-tlen e cuoco-patron de La Lumira di Castelfranco Emilia ā stiamo da tempo studiando la creazione di una Deco certificando lāorigine delle materie prime usate per fare i nostri tortellini. Nellāeterna disputa sulle zone e le diversitĆ del tortellino, vogliamo cominciare a garantire intanto lāorigine di zona dei prodotti che si usano: solo cosƬ ha senso la diversificazione delle zone. PerchĆ© poi, da 20 anni si discute se sia più buono quello di Bologna o quello di Reggio, ma in realtĆ i tortellini spesso son fatti tutti con gli stessi ingredienti che comprano negli stessi distributori!ā.
CosƬ, nelle sue decennali prove sul turtlen, Borsarini ĆØ approdato a un bel lavoro fatto sul brodo, āche poi del tortellino ĆØ il 50%ā sorride (per sapere origine e storia della coppia brodo e tortellini clicca qui). La sua ricerca ĆØ approdata al ābrodo sostenibileā. āLāobiettivo era che sembrasse un brodo di gallina, ma che in realtĆ non fosse di origine animale. PerchĆ©, va bene lāetica dellāallevamento, ma alla fine per fare un brodo devi comunque usare dei bei pezzi di carne e non lo trovo granchĆ© sostenibile. CosƬ ā racconta lo chef ā ho provato a realizzare un brodo di qualitĆ utilizzando croste di Parmigiano, macis e porro bruciato: tutte bucce, scarti e dunque a impatto zero e comunque saporitoā.
Il modenese Massimo Bottura non ĆØ certo un tradizionalista. Eppure, sul tortellino non ha dubbi. āCredo che la modernitĆ del tortellino sia oggi soprattutto nella dimensione etica in cui si trasmette ai giovani, anche svantaggiati, il sapere di una cultura antica, di un simbolo elle nostre radici come ĆØ il tortellino. In questo senso ā afferma Bottura ā credo profondamente che la punta avanzata della modernitĆ del tortellino sia proprio nel lavoro dell’associazione Il Tortellante. E poi, certo, nell’eticitĆ delle materie prime. Utilizzare carni e Parmigiano provenienti da piccoli artigiani e da allevamenti e colture etiche e sostenibili ĆØ la cosa che può far la differenza, anche verso il futuro: un futuro in cui possano avere spazio sempre maggiore questi produttori che si fanno carico di non distruggere, ma anzi di sostenere l’ambiente e l’ecosistemaā. Eppure, Bottura qualche provocazione lāha lanciata⦠Appena prima del Duemila, mentre il vulcanico Giovanni Rana stava iniziando a inondare di spot televisivi e di tortellini e cappelletti ādi nuova generazioneā, più o meno creativi, le cucine degli italiani, lui si inventa āi tortellini che camminano sul brodoā. In cui il brodo si fa solido grazie agli addensanti. āEra una provocazione, certo ā spiega Massimo ā Ma era il modo per far avvicinare ai sapori della tradizione persone che non erano più capaci di riconoscerli, dopo 40 anni di gastronomia industriale e appiattita. Si favoleggia dei turtlen della nonna, ma poi si conoscono solo quelli prodotti dallāindustriaā. E quella provocazione suscitò strali dei puristi e scomuniche dai pasdaran della tradizione. āScrissero sui giornali che si doveva evitare di venire a mangiare alla Francescana ā sorride Bottura ā Comunque, dopo quella prova di tipo didattico, ho cercato invece una strada che fosse di godimento vero e cosƬ adesso i miei tortellini li propongo in bianco, ma non con la panna: li servo con una crema di Parmigiano Reggiano 36 mesi sciolto in acqua. Alla fine ho scelto un quasi compromesso storicoā.
a cura di Stefano Polacchi
disegni di Daniela Bracco
QUESTO ĆØ NULLA…
Nel mensile di aprile del Gambero Rosso trovate l’articolo completo con i contributi di Francesco Carboni di Acquapazza a Bologna, Riccardo Agostini del Piastrino a Pennabilli in provincia di Rimini, Alberto Faccani, chef di Magnolia a Cesenatico, Giampaolo Raschi, chef di Guido (dedicato al nonno) e del nuovo Augusta (dedicato alla nonna) a Rimini, Max Mascia, nipote del grande Valentino Marcattilii, al ristorante San Domenico. E infine Max Poggi, titolare del locale storico di Trebbo di Reno che porta il suo nome e di Vicolo Colombina a Bologna, che in questa fase di pandemia e di chiusure si ĆØ messo a far da mangiare agli operai che stanno lavorando alla ristrutturazione di un albergo. Nell’articolo del mensile trovate anche la storia di Tortellante
un’utile infografica con i numeri del business dei tortellini e della pasta ripiena, le 4 leggende sull’origine del tortellino, le tappe fondamentali nella storia recente del tortellino stilate con Igles Corelli. E ancora i 30 migliori delivery italiani, le 7 varianti della pasta ripiena e un focus sulla biodiversitĆ del tortellino a firma di Luca Cesari.
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