Dieci cose maschiliste e patriarcali che non vogliamo più vedere al ristorante

8 Mar 2024, 17:41 | a cura di , , , , , , , , , , ,
Cari ristoratori, chef e baristi, mettete da parte tutti i vostri stereotipi sui gusti, le norme di bon ton figlie dei loro tempi, i tic che avete perpetuato fino ad oggi e trattateci al pari degli uomini. Un piccolo manifesto delle donne della redazione del Gambero Rosso

Cari ristoratori, chef e baristi,

per il 2024, nel Giorno internazionale della donna, vorremmo esprimere un desiderio, per noi e per tutte le donne che amano mangiare fuori: non vogliamo più essere trattate in maniera diversa rispetto agli uomini. Mettete da parte tutti i vostri stereotipi sui gusti, le norme di bon ton figlie dei loro tempi (tempi del tutto superati, se non ve ne foste accorti), i tic che avete perpetuato fino ad oggi durante il momento del conto, i vergognosi menu senza prezzi, le carte di vini servite sempre al sesso maschile. I pregiudizi sulle donne che amano bere e a cui può capitare di alzare ogni tanto l'asticella. Il nostro non è un desiderio di contrapposizione, non ci riteniamo meglio degli uomini, ma una legittima richiesta di parità, anche quando si è tavola. E ricordatevi che non solo siamo in grado di pagare il conto come i nostri fidanzati, mariti, amanti, amici, padri e nonni, ma vogliamo anche farlo.

Dieci cose maschiliste e patriarcali che non vogliamo più vedere al ristorante

Lo scontrino maschilista

Michela Becchi

Non era un ristorante di grande livello, ma neanche una vecchia osteria dal servizio improbabile. Era una trattoria di qualità, considerata da diverse guide e piattaforme di settore, con un bel giardino perfetto per un pranzo primaverile. Era metà maggio, l’aria era tiepida ma c’era un po’ di vento che costringeva a tenersi la sciarpa ben stretta al collo. Dopo il dessert, e dopo aver finito la bottiglia (scelta da me, nonostante la carta dei vini fosse stata porta al mio compagno) è giunto il momento del conto. Lo scontrino è arrivato su un piattino d’argento, una piccola folata di vento lo stava facendo volare via ma sono riuscita a prenderlo al volo. «Noooo», ha esclamato la giovane cameriera, trascinando l’ultima vocale. «Che brutta cosa», ha aggiunto. Si riferiva al fatto che avessi preso in mano la situazione conto. Abbiamo sorriso imbarazzati senza dire nulla. Ironia della sorte, ha pagato mio marito quel giorno, ma perché mai sarebbe stato «brutto» se lo avessi fatto io?

Da sola?

Eleonora Baldwin

Sì, a volte pranzo o ceno al ristorante da sola. Mi piace tanto. Lo sguardo di chi mi dà il benvenuto o di chi mi porge le pietanze – spesso un uomo – è però un misto di curiosità e commiserazione. La domanda, «Da sola?» ha sempre un’inflessione di leggera incredulità. Questo esame carico di giudizio e preconcetto mi ricorda ogni volta come sia radicato nel pensiero maschile che una donna, da sola al ristorante, è fuori posto. Salta all’occhio. Poverina, è sola. O, peggio ancora: si vede che cerca compagnia. Questa reazione, in particolare, mi succedeva in passato quando ero ragazza (un tempo quando il giudizio degli altri mi sembrava importante). Perché sedevo sola al ristorante dava automaticamente il permesso ad altri avventori uomini, anche molto più grandi di me, di accostarsi al mio tavolo e attaccare discorso.
Come altre società occidentali, il settore della ristorazione si basa su un sistema patriarcale, dove il maschio (bianco) cisgender è visto come più degno di valore e in possesso di maggiore autorevolezza e competenza. Questo si manifesta storicamente in cucina, tra il personale di sala, e anche al tavolo. Quando un uomo solo siede al ristorante nessuno si chiede perché, o alza il sopracciglio perché è venuto per rimorchiare, o fa boccuccia perché, poverino, è da solo. Ecco, vorrei un mondo dove se sono al ristorante da sola, non subisco più quegli sguardi.

Mangiamo come gli uomini

Antonella De Santis

Non conto più le volte in cui mi sono vista servire il piatto del mio commensale e a lui il mio: trippa coratella e altre interiora a quanto pare sono cibi da uomini (veri o no, è tutto da vedere). Ma quello che assegna d'ufficio gusti, prodotti, preferenze in base al sesso è un preconcetto che fa male a tutti, soprattutto a chi non aderisce a queste categorie predefinite, uomo o donna che sia, obbligato a dribblare tra modelli di riferimento spesso irraggiungibili, presenti ovunque, pure tra le voci del menu. L'idea di questi presunti cibi da donna, poi, mi dà sempre la sensazione che manchi tanto così perché donna si trasformi in donnicciola. Quella che – sia mai – non è certo in grado di scegliere cosa bere (motivo per cui la carta dei vini va all'uomo), e che di certo preferisce il rosato (altro prodotto femminile).

Infine, dare il menu senza prezzi alle donne o adottare comportamenti sessisti, maschilisti, patriarcali non tiene conto delle mille variabili possibili nelle coppie. Al ristorante possono andare amici, parenti, colleghi anche in posizioni non paritarie, dare all'uomo il menu senza prezzi suggerisce che lui sia nella posizione di potere (anche economicamente), mentre magari è esattamente il contrario. Che dire poi di identità di genere e orientamento sessuale? Questi atteggiamenti implicitamente ratificano solo coppie eterosessuali.

Birra gate

Antonella Dilorenzo

Proviamo a svecchiare l'idea pigra e banale del gusto che piace alle donne. Non molto tempo fa ero in una birreria insieme a un amico. Io ho ordinato una Ipa, che solitamente ha un gusto più amaro, e lui, invece, una Blanche, dal sapore più morbido. Il cameriere senza pensarci troppo, e nonostante ognuno di noi avesse ordinato il suo drink, ha invertito la comanda: a me è stata servita la Blanche e viceversa la Ipa è finita tra le mani del mio amico. Un atteggiamento che implicitamente dice: le donne preferiscono le birre leggere e dolci mentre gli uomini quelle amare e pesanti. Ma siete proprio sicuri?

Fateci pagare (siamo in grado)

Valentina Marino

Uno dei momenti ormai più imbarazzanti, inconcepibili e senza senso è quando apriamo i menu e non troviamo i prezzi dei piatti. Nonostante siamo nel 2024, l'idea che l'uomo porta i pantaloni e i soldi a casa e la donna aspetta al focolare, lui sfodera la sua American Express a fine cena mentre lei va in bagno a incipriarsi il naso, purtroppo non è ancora tramontana. Si esagera, ovvio, ma è diventato davvero di cattivo gusto nascondere alle donne la prospettiva della spesa e renderci ospiti ignoranti della portata economica di un'esperienza che abbiamo voglia, diritto ed esigenza di condividere in totalità con l'amico/padre/compagno/ex/amante che siede a tavola accanto a noi. E al quale magari la cena voglio offrirla noi.

"L'insalata per lei..."

Sabina Montevergine

Il mio compagno è un grande amante di ricchissime insalate miste, che a casa nessuno ha voglia di preparare e quindi che approfitta a ordinare in certi ristoranti che si impegnano nell'offerta vegetale. Come non conto le volte che è stato proposto a lui il vino al momento dell'assaggio, così immancabilmente a me viene appoggiato davanti il piatto di insalata invece che paste, bistecche o qualsiasi altra cosa evidentemente più "virile" che invece non ho ordinato.

La sedia della discordia

Mara Nocilla

Questa è una delle cose che mi irrita di più: a fine pasto arriva la proposta del liquore. Superalcolico per l’uomo («Gradisce un whisky, una grappa?») e "liquorino dolce" per la donna («Un limoncello o un vino di visciole per la signora?»). Un'altra prassi vecchia e fastidiosa è quella in cui il cameriere ti fa sedere accompagnando la sedia (succede anche all’uomo ma con un’attenzione particolare alla donna). Da "boomer" è una cosa che un tempo mi faceva piacere (mi ricorda quando, una volta adolescente, mio padre, uomo del sud, ha cominciato a cedermi il passo aprendo il portone, la porta di casa o l’ascensore, facendomi sentire grande), oggi mi irrita o mi fa pensare “stiamo ancora così?”; dall’altra mi ha sempre fatto ridere: è un atteggiamento ridicolo, vecchio, superato e pure ipocrita.

Infine, c'è il momento in cui viene servito il vino, quasi sempre all’uomo. È successo e succede ancora praticamene sempre, con mio marito che gira la scelta a me (“l’esperta è lei”) un po’ per declinare responsabilità, un po’ per divertirsi e provocare la reazione del cameriere, che qualche volta versa l’assaggio a tutte e due, tanto per non sbagliare.

Il caffè macchiato bevetelo voi e il vino fatelo scegliere a noi

Sonia Ricci

Prima di giungere a questa conclusione ho passato anni a mettere alla prova baristi e ristoratori. Non è stata una mia idea ma del mio compagno, lui per primo ha notato quanto segue. Bancone del bar, un bar qualunque, ordino un caffè. Lui invece prende un caffè macchiato. Ognuno ordina il suo, non c'è ambiguità su chi voglia cosa. Nove volte su dieci a me, alla donna, servono il caffè macchiato, viceversa a lui tocca quello normale. Un'usanza noiosa, sgrammaticata e che cela un'intuizione davvero bizzarra: le donne il caffè lo prendono macchiato; quello nero, forte, senza zucchero, è roba da maschio alfa. Una stupidaggine condita da pressapochismo e, soprattutto, dal mancato ascolto di chi ordina.

Ma è sul vino il campo in cui il maschilismo si concretizza nelle sue forme più ridicole. La carta dei vini, lo dicevano Becchi e Nocilla qui sopra, quasi sempre viene data all'uomo. Non basta: nonostante sia io a ordinarlo, strappando di mano la carta al commensale, molto spesso è a lui che viene servito il primo goccio per assaggiarlo. Poi c'è lo stereotipo dei vitigni o delle tipologie di vini "femminili": le donne amano quelli rosati, i bianchi dolci e leggeri, il gewurztraminer. Che cretinate. Infine, una nota dolente: le donne non hanno la stessa libertà di ubriacarsi degli uomini, vengono viste spesso come "donnacce" o come prede. Nel frattempo, noi continuiamo a sognare di poter alzare il gomito come i nostri simili, ma senza essere importunate.

Non vogliamo gabbie per il nostro palato

Loredana Sottile

Quando vado fuori per un dopocena di solito l’idea è quella di poter chiudere la giornata all’insegna della leggerezza. Polemizzare non rientra nella scaletta. Ma a volte le cose iniziano male e finiscono anche peggio. Cocktail bar romano. Il cameriere viene a prendere l’ordinazione. Decisa indico dalla carta il cocktail che vorrei provare: base whisky con una discreta componente acida data dal succo di limone. Lui mi guarda con aria perplessa, dicendo che non lo vede indicato a me e che è stato pensato per un palato maschile. Resto perplessa, ma provo a spiegargli con gentilezza che i gusti son gusti al di là del genere. Non desiste. Allora lo sfido chiedendogli quale sarebbe, secondo lui, il cocktail che, seguendo il suo pensiero, dovrei ordinare per rientrare nei canoni. Me ne propone uno base vodka e fragola, tutto giocato sulla dolcezza. Praticamente tutto ciò che non ordinerei mai.

Non contento di non aver fatto centro, invece di desistere, attacca tutto una dissertazione sulle differenze di palato tra uomini e donne, sostenendo di aver seguito molti corsi che mettono in evidenza queste “verità assolute” che valgono anche per i vini. Risultato? Niente cocktail (mi è passata la voglia), serata rovinata e grandissima X sul locale in questione. D’altronde sono una donna, la volubilità appartiene al genere, no?

A tutto alcol

Pina Sozio

Tra gli stereotipi cuciti addosso alle donne, c’è questa favola dell’esistenza di un gusto “femminile”, che sarebbe più delicato, aggraziato, leggiadro, come si addice al gentil sesso addomesticato quasi fosse un pappagallino da tenere in mostra (in gabbia). Alle donne, nella vulgata maschiocentrica, non piacerebbero i gusti forti, come quello dell’aglio (vallo a dire a mia suocera), né i vini di stazza, no, loro preferiscono quelli fruttati. Così al bancone del bar, davanti a una carta dei drink, alle signore viene spesso consigliato di orientarsi verso i mocktail, gli Spritz, i Bellini, gli Champagne cocktail, per via della blanda gradazione alcolica: lo insegnano tutt’oggi nelle scuole dei barman che il pubblico femminile preferisce il Mimosa (ancora mi chiedo chi diamine lo abbia inventato). Così davanti alla richiesta di un cocktail macho come il Gin Tonic, paradossalmente avanzata da una donna, il barman di un grande albergo spagnolo risponde con una carineria galante, addolcendolo a sorpresa con un paio di fragole pestate: rispedito al mittente. Un Negroni per me, grazie.

Il Galateo è anacronistico

Annalisa Zordan

Oltre alle cose dette fin qui - la carta dei vini e i menu con i prezzi dati nella maggior parte dei casi all'uomo a tavola - anche servire prima le donne è da considerarsi sessista (un sessismo ormai introiettato). Un atteggiamento ormai desueto e che fa parte di un retaggio culturale dal quale mi voglio emancipare. Dal quale tutti dovremmo emanciparci. Servire prima le donne è anacronistico, e forse è anacronistico (e sessista?) anche il Galateo. Cerchiamo di liberare la mente dalle logiche di genere anche nel servizio a tavola. Grazie.

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