Pronti all'avanzata dei vini senza alcol? Il 50 per cento del mercato è in mano agli astemi

9 Ago 2023, 20:00 | a cura di
Dapprima era quello senza solfiti aggiunti, poi quello senza lieviti selezionati e additivi. Infine, quello senza alcol. Nel decennio in cui sottrarre è meglio che aggiungere, anche il vino non fa eccezione. Ma parliamo di una contraddizione in termini? Non necessariamente

Prima di storcere il naso, cerchiamo di capire i termini della questione, partendo da una verità inconfutabile: nel mondo il 50% della popolazione adulta non consuma bevande alcoliche. Che i motivi siano religiosi, di salute o anche di gusto, il risultato non cambia: c’è tutto un target da conquistare che definire strategico sarebbe riduttivo. Ma non l’unico.

Il Low-Alcol cresce nel mondo

È assodato come nei principali Paesi consumatori di bevande alcoliche si stia affermando sempre più una tendenza low alcol. L’Osservatorio di Unione italiana vini rileva come secondo la World Bank il consumo di alcol pro-capite vada al ribasso, senza “zone franche”: -3,2% in Italia, -1,8% in Uk, -1,4% in Francia e Paesi Bassi, -1% in Germania. Può il vino senza alcol prendersi – o riprendersi – un consumatore non esattamente alcol addicted? E qua entrano in gioco le previsioni dell'istituto Iwsr Drinks Market Analysis secondo cui, in 10 mercati chiave, la categoria dei vini no-low alcol segneranno una crescita media annua dell'8% in volume (2021-2025). In particolare, per il vino fermo no-low alcol si prevede un incremento di oltre il 20% (2021-2025) e un raddoppio dei volumi entro il 2025. Gli attori protagonisti di questi nuovi trend saranno i giovani tra i 20 e i 30 anni. Proprio quella generazione che il mondo del vino tradizionale ha difficoltà ad attrarre a sé.

I produttori di vino interessati al no-alcol

«Parliamo di un target totalmente diverso che non andrebbe a fare concorrenza al vino», sottolinea Daniele Simoni, Ad del gruppo Schenk che da anni ha avviato la produzione di dealcolati in Spagna “Piuttosto si intercetterebbe un consumo che al momento è in mano al settore delle bevande e dei soft drink”. Insomma, se non sarà il mondo vitivinicolo a farlo – partendo dall’uva – di sicuro le multinazionali delle bevande non resteranno a guardare.

Dal lato produttori di vino, la voglia di scoprire questa nuova faccia della produzione non manca. Lo si è visto quest’anno a ProWein. La Fiera tedesca ha ospitato per la prima volta un padiglione dedicato ai vini dealcolati e a basso tenore alcolico denominato "world of zero" e ha sondato i pareri sulle intenzioni future di oltre 2.500 tra produttori, commercianti e distributori di quasi 50 Paesi. Il responso non lascia dubbi: quasi metà dei produttori e dei commercianti di vino intende adattare il proprio portafoglio vini ai trend del mercato e c'è un 27% che sta già investendo su no e low alcol.

Bianchi e spumanti i più dealcolati

Un altro sondaggio, sempre della Messe di Düsseldorf che ha interessato i rivenditori di vino di 16 mercati, ha disegnato la mappa delle piazze più interessate al trend: Regno Unito in testa (53%), seguito Olanda (43%), Finlandia (36%), Germania (34%) e Norvegia (33%). Sulla scelta del Regno Unito come mercato chiave influisce anche un motivo strettamente economico: il sistema fiscale britannico applica tariffe molto basse o addirittura nessuna tariffa sui prodotti a bassa gradazione alcolica. E questa potrebbe essere un ulteriore punto di forza per questo tipo di prodotto. Guardando alle tipologie di vino, sono i bianchi (73%) e gli spumanti (58%) a guidare la categoria no-low alcol, davanti ai rosati (37%) e, infine, ai vini rossi (27%). In questa scelta, c'è anche una ragione tecnica: dealcolare i bianchi è più semplice rispetto ai rossi, per i quali l'industria deve lavorare soprattutto sull'eccesso di tannini.

L’Europa dà il via libera, l’Italia no

A introdurre per la prima volta la possibilità di produrre vini senza alcol in Europa è stata la Pac 2023-2027, approvata ad ottobre del 2021, trovando un compromesso: via libera alla dealcolizzazione totale dei vini da tavola (titolo alcolometrico inferiore a 0.5%); parziale dealcolizzazione per Dop e Igp (titolo alcolometrico superiore a 0.5%). Per farlo si pratica la sottrazione dell’alcol mediante tecnologie che spaziano dall’evaporazione al ricorso a sistemi a membrana. Fino a quel momento si era fatto riferimento alle singole legislazioni nazionali. Così se per Spagna e Germania era già una pratica utilizzata da tempo, per l’Italia era off limits, dal momento che, secondo la nostra legislazione, per essere chiamato vino, un prodotto deve presentare una gradazione di circa 8 gradi (ogni denominazione, poi, fa riferimento al disciplinare specifico).

La nuova Pac ha, quindi, aperto la strada. Ma non basta.  In Italia, nonostante l’ok dell’Europa, c’è ancora un ostacolo insormontabile alla pratica: il Testo Unico del Vino, che prevede multe salate per chi detiene in cantina vino con titolo alcolometrico minore di 8 gradi. Si dovrebbe, quindi, intervenire in ambito legislativo, ma non è così scontato, considerato che il ministro delle Politiche Agricole Francesco Lollobrigida ha più volte preso posizione contro i vini senza alcol: “Non devono essere chiamati vino”, ha ribadito anche in una recente intervista al settimanale Tre Bicchieri.

Sovrapproduzione e giacenze

Eppure, in questo momento potrebbe rappresentare una soluzione al problema sovrapproduzione e giacenze in cantina, come ricordano alcuni esponenti politici, tra interrogazioni parlamentari già depositate e altre in arrivo. Una è del Movimento 5 Stelle, con primo firmatario Alessandro Caramielo che denuncia come ci sia una situazione di stallo, mentre «le associazioni, i produttori e le imprese chiedono di intervenire sul Testo Unico del Vino», soprattutto alla luce «dell’attuale fotografia della produzione vitivinicola nazionale che  presenta un Paese in cui le giacenze di vino sono in crescita; consentire la produzione di vini dealcolati o parzialmente dealcoalti  aprirebbe anche uno sbocco di mercato alternativo».

Un pericoloso vuoto normativo

Rincara la dose il segretario generale di Unione Italiana Vini Paolo Castelletti: «Questo vuoto normativo sta di fatto causando all’Italia un ritardo competitivo di circa un anno rispetto ai produttori europei. A oggi le aziende vitivinicole italiane che vogliono iniziare la produzione dei vini dealcolati nell’ambito dei propri stabilimenti non dispongono di indicazioni da parte dell’amministrazione perché, unici in Europa, non siamo ancora allineati alle disposizioni dell’Unione europea, entrate in vigore 15 mesi fa. La strada che suggeriamo – vista anche la pressante richiesta da parte delle imprese - è quella dell’armonizzazione del dispositivo italiano ai dettami Ue attraverso un emendamento del Governo al Testo che possa essere approvato dal Parlamento in tempi brevi».

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