«Il timballo abruzzese non è cucina, è architettura. È un monumento che si mangia» pare abbia affermato Luigi Veronelli nel corso di una trasmissione televisiva di svariati decenni fa. «Il timballo abruzzese è un piatto che insegna rispetto: per il tempo, per gli ingredienti, per la tradizione» ha aggiunto il vicentino e milanese d’adozione Carlo Cracco in tempi più recenti. «Il timballo teramano è come l’Abruzzo: sotto una scorza semplice nasconde meraviglie stratificate»: ecco infine cosa ne pensava lo scrittore e sceneggiatore pescarese Ennio Flaiano, la cui penna dritta come una spada e affilata come un bisturi evidentemente si ammorbidiva solo a tavola, e con i sapori della memoria.
Il timballo abruzzese d’altronde è molto più di un semplice piatto della domenica (nello stesso modo in cui non lo sono le innumerevoli corpose preparazioni che sanno di famiglia e di giorno di festa tipiche dei campanili italiani. Ci mancherebbe). È un ricco primo piatto – oggi visto più come piatto unico, secondo le moderne abitudini alimentari – che pur somigliante alla più nota lasagna emiliana, se ne distingue per ingredienti, struttura, varianti locali. Mentre la lasagna emiliana è diventata un simbolo della cucina italiana nel mondo, il timballo è una ricetta molto meno conosciuta e spesso erroneamente confusa con la “sorella” del Nord fatta di strati di pasta, besciamella e ragù. Ma ultimamente l’Abruzzo pride sta gridando vendetta sui social. Ecco tutto quello che c’è da sapere per evitare incresciosi incidenti lessicali (e l’ira della gente “forte e gentile”).
le lasagne di Amerigo 1934 – Savigno (BO)
Intanto la pasta: la lasagna emiliana è composta da sfoglie larghe di pasta all’uovo, spesso verdi (preparate con spinaci), che nel timballo possono essere sottili come veli o sostituite nella versione teramana con le mitiche “scrippelle”, ossia crepe leggerissime fatte con acqua al posto del latte, o addirittura pasta secca come ziti o rigatoni spezzati, a seconda delle zone (ma in questo caso siamo sulla soglia del capitolo “paste al forno”. Poi il ripieno: Il ragù della lasagna è generalmente un misto di carne macinata (manzo e maiale), mentre il timballo abruzzese può contenere polpettine fritte, salumi, uova sode, mozzarella, caciocavallo, carciofi e altri ingredienti secondo usanza di famiglia. Ancora, la struttura, più omogenea nella prima mentre il secondo è un piatto rustico e sontuoso, più “anarchico” ma ricco e sorprendente a ogni fetta, e la grande assente in Abruzzo: la besciamella. Protagonista col ragù della farcia della lasagna, è sostituita da scamorza, formaggi grattugiati e gli ingredienti sopracitati a volontà.
A parziale giustificazione di chi utilizza quella della straconosciuta “lasagna” come una definizione passe partout, c’è da ricordare che col termine generico “timballo”, a partire dal tardo medioevo, si sia designata ogni pietanza fatta a strati e cotta in un guscio nel “tamburo”, o meglio nello stampo a forma di tamburo, che viene dal francese arcaico “tamballe” ed era lo la casseruola utilizzata per qualunque tipo di pasticcio di pasta riccamente condito. Nei secoli la tradizione è rimasta ma si è differenziata a sec0nda della zona, e così fanno parte del gruppo anche il timballo di maccheroni napoletano o quello siciliano “profumato di cannella”, nella celebre descrizione di Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo. In Abruzzo è arrivato durante la dominazione borbonica, per essere adottato e trasformato dalle famiglie locali che ne fecero il piatto festivo per eccellenza. In ogni provincia, città, paese c’è una versione specifica: nel Teramano, per esempio, si usa la scrippella al posto della sfoglia e spesso nel ripieno figurano polpettine e uova sode; nel Chietino si preferisce la pasta secca spezzata, giusto per farvi un’idea.
Nella versione classica, gli strati sottili di pasta all’uovo (un uovo per 100 grammi di farina) vengono conditi a uno a uno con un ragù “rosso” di carne macinata mista (manzo e maiale) preparato con odori e passata di pomodoro, mozzarella o scamorza a fette, parmigiano grattugiato e, in alcuni casi, piselli, funghi o uova sode (la besciamella appare nella versione in bianco, senza ragù). L’ultimo strato vuole solo sugo e parmigiano, quindi via in forno a 180°C per circa 40-45 minuti, con la sferzata di grill finale per ottenere la proustiana, irresistibile “crosticina”.
Quella teramana si discosta dalla prima principalmente per l’uso delle eteree scrippelle al posto della pasta all’uovo. Qui (ma anche sopra) la differenza la fanno mano ed esperienza: polpettine, scamorza, parmigiano, piselli ma soprattutto besciamella o ragù dalla consistenza “giusta” per le delicatissime crespelle, né lenta né spessa. Stessa procedura di cottura e una regola universale: prima di gustarlo tocca avere la pazienza di farlo “fermare” in forno, così smette di sfrigolare, si compatta e si taglia con facilità. E beati gli under 10: saranno facilmente gli unici ad avere diritto a bis e tris di “crosticine” sollevate con due dita direttamente dalla teglia.
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