Il grande stanzone con le tovaglie gialle e il coprimacchia di stoffa, le sedie marroni laccate, le luci bianche sparatissime non promettono nulla di buono. Ti chiedi subito: “Ma dove sono finita?”. Profonda via Laurentina, ben oltre le carreggiate del Grande raccordo anulare, immersi nella campagna di Trigoria, il civico che ricorda il Secolo d’oro – 1600 – ma siamo incredibilmente ancora a Roma. La Capitale è grande e a volte anche i romani se ne stupiscono. Vicino all’insospettabile agriturismo La Mandria c’è uno dei vivai più belli della città, Grossi, il paradiso delle piante grasse dove in segreteria vi accoglierà un simpatico vecchino che non ama chiacchierare. Ma dicevamo dell’agriturismo: sorpassi il cancello d’ingresso, breve sterrato, qualche pianta d’ulivo come dà tradizione agricola e piombi nel giardino che circonda l’edificio principale. Diversi gazebo che ospitano tavoli per l’estate. Per chi mangia al chiuso, si accede dalla parte della veranda riscaldata e l’occhio cade subito sul frigo possente posizionato sulla sinistra, sbirci pezzi di carne che ricordano le bistecche giganti di quel simpaticone di Fred Flintstones, caro all’immaginario di Boomer e Millennials, poi spingi una porta che ondeggia come quella dei saloon dei vecchi film western (attenti a non sbattervela in faccia). Siamo nello stanzone di cui sopra dove ti domandi: “Ma dove sono finita?”. Un piccolo regno della carne, quella buona, parte della quale allevata e lavorata in loco, tutta frollata in agriturismo. E che agriturismo.
I camerieri con i sorrisoni ti accolgono calorosamente ma senza troppi convenevoli nella sala-stanzone. È un luogo frequentatissimo da gruppi e famiglie, elemento che può intimidire, così che il menu plastificato che ricorda i locali turistici. Eppure l’atmosfera scanzonata non è confusionaria e, la carta, a leggerla bene racconta cose interessanti. Pochi piatti, niente elenco della spesa, che dicono che gli ingredienti sono più freschi che surgelati, più stagionali che senza tempo. La cucina romana? Spartana, presente! I primi classici amatriciana, carbonara, gricia e cacio e pepe stanno lì come colonne portanti, poi un primo vegetariano (v-e-g-e-t-a-r-i-a-n-o, incredibile per un’insegna così). Antipasti con fritti di verdure (arieccole), fiori di zucca farciti, selezioni di salumi e formaggi. C’è anche un menu semplice semplice per i bambini che non guasta.
In tempi rapidi arriva un onestissmo tagliere di insaccati e formaggi semi e stagionati di buona qualità. Accompagnano la danza dell’antipasto all’italiana verdure di campo e altri ortaggi coltivati nella campagna adiacente. Semplici, senza ghirigori, davvero piacevoli. Quando si dice “chilometro zero”. Eccolo, senza neppure troppa pubblicità. L’ortica è verace, tra i piatti che si è tentati di ordinare una seconda volta. È tutto molto onesto, senza millanterie o pretese gourmet. Si sta bene.
Ma qui si viene soprattutto per mangiare carne. E il menu lo conferma. Mazzetta prussiana proveniente dalla Polonia del nord, gusto ricco e intenso (65 euro al kg), Marchigiana, ovvero ceppo podolico incrociato con Chianina e Romagnola, magra e delicata (70 euro al kg), Danese tra razze Holstein, Frisona e Jersey, from Danimarca, sapore ricco (65 euro al kg). Poi c’è la Manza delle Langhe, cioè la Fassona piemontese incrociata con altre razze, con la ciccia tenera e saporita; la Shiroi, quella con le venature bianca di origine giapponese, ma in questo caso in versione italiana, prodotta in Veneto, succosa e saporita. Meno classico e meno diffuso in Italia il toro spagnolo, magro e delicato, seguono Baltica, Scozzese, Irlandese.
Incredibilmente la migliore assaggiata è quella locale, una bisteccona con taglio fiorentino ricavata da bovini di razza Limousine allevati proprio dall’agriturismo (una sessantina in tutto) con una frollatura che non supera i 30/60 giorni. Federico Diotallevi che da vent’anni porta avanti l’attività confessa di non amare le lunghe frollature: ti accompagna al frigo all’ingresso, ti spiega tutto con dovizia di particolari, ti aiuta a scegliere il taglio giusto.
Una volta affilato il coltello e ricavato il trancio, arriva direttamente al tavolo con la bilancia per verificarne il peso. Simpatico e apprezzabile. Dicevamo della bistecca-sorpresa: parte grassa succosa e decisa, carne tenerissima e dal sapore prolungato. Una meraviglia. E poi che patate, quelle alla vecchia maniera (qui quelle che faceva mio nonno con un pollo arrosto incredibile), sapide il giusto, burrose all’interno, unte e croccanti ma non troppo esternamente. Pure di queste avremmo fatto volentieri un secondo giro.
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