Cannaregio è forse il sestiere più sottovalutato di Venezia, il più tranquillo e spirituale. Qui non troverete le mandrie di turisti in infradito, pur essendoci luoghi incantevoli come il Ghetto, vero luogo di ricarica dell’anima. È qui che si acquatta l’NH Collection Venezia Grand Hotel Palazzo dei Dogi dove ha aperto dallo scorso giugno il ristorante Da Lorenzo – Al Giardino Segreto by Paulo Airaudo, che reca la firma dello chef italo-argentino (qui la nostra intervista) con sei stelle Michelin in varie location nel mondo e che in Italia ha un’altra insegna a Firenze, Luca’s.
Lo chef Paulo Airaudo
Prima di tutto è bello raccontare il nome del ristorante, il giardino segreto nascosto all’interno dell’albergo, un luogo incantato di oltre 2mila metri quadri creato nel XVIII secolo da Lorenzo Patarol, autore dell’omonimo Erbario che oggi costituisce la più antica raccolta botanica conservata al Museo di Storia Naturale di Venezia.
L’ho visitato in un giorno di pioggia, che da un lato ha reso la mia passeggiata frettolosa e gocciolante ma dall’altro sembrava rendere il tutto ancora più riflessivo. Il giardino termina in un molo che si affaccia sulla laguna, da cui si vedono le isole di Murano e San Michele e, nei giorni limpidi (non era il mio caso) le Alpi. Ancora oggi nel giardino si trovano piante rare, esemplari plurisecolari ed elementi storici – tra cui un’antica ghiacciaia, un ponticello e la statua della Vergine Maria, che i visitatori possono visitare liberamente.
Una parte del giardino segreto
È in questo contesto che si trova il ristorante Da Lorenzo (naturalmente il nome è una dedica a Patarol), un’insegna destinata a trovare il suo posto tra quelle che vale la pena segnalare nella città lagunare, che non sono più pochissime come qualche anno fa ma nemmeno così tante. Un luogo dove si può assaggiare un’interessante cucina a metà strada tra le tante ispirazioni dello chef argentino, la meridionalità dei resident chef Salvatore Paladino e Alfonso Esposito Ferraioli, e il territorio che spunta in tante parti del menu con i suoi tanti prodotti, dalle erbe e gli ortaggi di Sant’Erasmo ai prodotti ittici della laguna.
La sala
IHo assaggiato il menu degustazione più ampio, l’Emozioni, che costa 170 euro (l’altro, il Sensazioni, costa 120 e sbianchetta due portate, la pasta fresca e la carne). Partenza con un Consommè, che da menu dovrebbe essere di carciofo di Sant’Erasmo ma che, a causa della sua non disponibilità – non segnalata però nel menu, nemmeno in quello che mi verrà donato a fine serata – diventa di bruschetta al pomodoro: caldo e rinfrescante, un piacevole ossimoro.
Poi una parata di quattro snack tutti all’insegna della mimesi: un Tacos che si finge sarde in saor, un cannolo siciliano ripieno di calamaro alla cacciatora, una cialda di pan brioche con maionese allo zafferano, crema di piselli e cialda di olive nere che gioca ai risi e bisi e una variazione di barbabietola con gel all’umeboshi, crema di formaggio caprino con funghi e caprino con funghi che cita i casoncei ampezzani. Prima delle portate vere e proprie c’è anche il servizio del pane, che qui come nel magistero di Niko Romito diventa una portata vera e propria: notevole la ciabatta con pomodori secchi e i cracker di semi misti, senza infamia e senza lode la focaccia rosmarino e olio e i grissini al polline di finocchietto.
Nota di merito per il burro di Normandia al quale uno stampo (“non sa che cosa abbiamo fatto per farne produrre uno”, mi confessa il manager del ristorante Mauro De Martino) dà la forma della basilica di San Marco.
Il benvenuto dello chef
I piatti principali sono cinque: prima di tutto un Carpaccio di ricciola dry aged con olio di alga kombu arrostita, condito con sale maldon, rifinito con rape di Chioggia, erbette selvatiche e con il tocco decisivo del succo di finocchio leggermente speziato e affumicato (tocco questo rivendicato personalmente da Paladino) con olio al porro a dare acidità, un piatto di buon equilibrio che è un classico di Airaudo.
Poi due piatti di pasta: uno Spaghetto monograno Felicetti cotto in estrazione di canocchie con variazione di pomodoro, uva di mare, erbe balsamiche, canocchia leggermente marinata con sale e pepe di Giava potentemente mediterraneo, soddisfacente e confortevole (ma forse la porzione in un percorso siffatto è un po’ eccessiva). E un Tortello ripieno di anatra confit, mantecato con burro emulsionato, timo e il suo fondo che è molto riuscito: forse il piatto della serata.
Quindi le due portate principali. Per il pesce una coda di rospo anch’essa dry aged, passata in yakitori con spezie giapponesi, nappata con burro goji e accompagnata da una bagna cauda e da un, asparago croccante: il meglio è nella carnosità della coda. Per la carne un piccione toscano cotto in carcassa e “spiedinato” con crema di cipolle, maionese ai funghi, un fungo cotto alla brace e il fondo di piccione. Buon piatto ma già visto.
La Panna cotta con caramello di patata dolce
Dolci sorprendenti malgrado la stanchezza delle papille gustative. In particolare quello principale, una panna cotta condita con caramello di patate dolci e crumble all’avena e noci e rifinito con sale maldon e fiori di stagione, e alcune gocce di aceto balsamico di Modena 25 anni dell’azienda Bonini, che riesce a essere al contempo leggero epperò dolce, sfuggendo all’insopportabile trappola del dolce-non-dolce così sbandierato oggi.
Una buona cena, che mi ha mostrato un giovane talento, quello di Paladino, uno scricciolo di chef capace però di dare una sua impronta personale alle idee di Airaudo. Altri punti forti: il ritmo giustamente sostenuto della cena (ho mangiato in due ore tonde, e il fattore tempo è sempre più importante nel fine dining contemporaneo), il servizio di stoffa spessa di De Martino, maître di altri tempi, e il talento della sommelier Varvara Viarshynina nel proporre abbinamenti più emozionali che tecnici.
Il giardino segreto
Nota dolente invece la quasi totale assenza di altri di clienti, pur con qualche attenuante: la serata piovosa di mercoledì, la posizione eccentrica del ristorante, lontano dai flussi turistici, la segnalazione troppo discreta dall’insegna dall’esterno, il poco tempo trascorso dall’inaugurazione del ristorante. Su alcuni di questi fattori si potrà lavorare, il materiale c’è, il tempo speriamo: sarebbe un peccato che una città affamata di insegne di alto livello non lo concedesse a questa.
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