Scegliere cosa mangiare non รจ mai stato cosรฌ semplice. Lโansia del dover mettere tutti dโaccordo per trovare un posto in grado di sintetizzare le varie richieste, possibilmente senza stressarsi, รจ finito. Nellโera delle food-court il problema viene cancellato. Parliamo di conglomerati di ristoranti nazionali e internazionali, partendo solitamente da un minimo di cinque, posizionati uno a fianco allโaltro ma ognuno con il proprio format per soddisfare qualsiasi esigenza del cliente. Per evitare di pestarsi i piedi a vicenda, lโofferta deve essere differenziata ma anche sinergica, cosรฌ che ognuno abbia il proprio spazio. In questo modo le polemiche e i litigi tra commensali su dove e cosa mangiare si azzerano, vista la proposta numerosa e diversificata. In un certo senso, possiamo considerarli come la versione 2.0 dei mercati rionali.
Di food-court se ne vedono sempre di piรน, complice la domanda in netta crescita, soprattutto tra le giovani generazioni. ร da loro che arriva lโimpulso principale. Quasi un italiano su tre preferisce andare a mangiare in una delle 160 โnuove piazze della ristorazioneโ sparse lungo la penisola, una percentuale che aumenta notevolmente tra la Generazione Z, in cui 48% la preferisce come โdestinazione in sรฉโ. Il 58% di loro le frequenta piรน di una volta al mese, mentre tra i Millennials (i nati tra gli anni Ottanta e Duemila) si arriva al 42%. Poco di meno rispetto alla Gen Z, ma abbastanza di piรน rispetto alla media generale del 38%. I dati sono il risultato dellโanalisi realizzata lo scorso anno da Bva Doxa, presentata in occasione della seconda edizione dellโOsservatorio Food Court di scena a novembre. Nel report emerge anche unโaltra evidenza interessante: per 6 famiglie su 10 con figli a carico, รจ fondamentale che allโinterno di un centro commerciale ci sia una food-court. ร qui che si concentrano la maggior parte di questi conglomerati, che sfruttano gli spazi ampi. Oltre il 90% del totale si trova dentro un centro commerciale, unโarea particolarmente favorevole visto il riciclo di persone che ci passano diverse ore.
ร anche la tradizione a imporlo. La prima food-court riconosciuta come tale viene fatta risalire a quella realizzata nel 1971, costruita nel centro commerciale Sherway Gardens di Toronto. Tre anni piรน tardi ne era sorta unโaltra allโinterno del Paramus Park, centro commerciale dellโomonima cittร del New Jersey. Da lรฌ in poi hanno iniziato a diffondersi in tutto il mondo. Col tempo perรฒ hanno cambiato geografia, pur rispettando sempre il criterio di fondo: piรน banconi in un unico posto. In Indonesia ad esempio si sono evolute in food-park, visto che hanno cominciato ad aprire allโinterno degli spazi verdi di Giacarta. Dietro ogni serranda alzata ci sono tendenzialmente due punti centrali: lo spazio e il numero di persone che lo calpesta. Ecco dunque che si vedono sempre piรน food-court nelle stazioni ferroviarie, cosรฌ come negli aeroporti. O nei musei: nel 2009, Autogrill aveva inaugurato i Restaurants du Monde allโinterno del Louvre. Anche scuole e universitร hanno iniziato a introdurle allโinterno delle mense.
La mutazione ha riguardato anche il nome. Da food-court si รจ passati a food-hall, ma รจ bene precisare che parliamo di due realtร differenti sebbene il concetto con cui nascono sia simile. Come scritto, a caratterizzare le prime sono per lo piรน le grandi catene di fast-food (in Italia, sempre secondo il report di Bva Doxa, la classifica dei primi cinque posti vede Billy Tacos, I Love Poke, La Piadineria, McDonaldโs e Old Wild West), che vengono aperte in posti molto frequentati, come centri commerciali o cinema multisala. Le seconde invece preferiscono ospitare ristoranti indipendenti e artigianali, possibilmente diversificati per area geografica. Sorgono in strutture riqualificate e adibite ad hoc, come vecchi palazzi storici che vengono ristrutturati o edifici abbandonati a cui viene concessa una seconda vita: tra i piรน noti troviamo Chelsea Market a New York e il Quincy Market di Boston, solo per citarne un paio. Le food-hall sono inoltre pensate anche come un supermercato di qualitร dove fare la spesa. Insomma, in queste aree lโatto del mangiare รจ solo una parte. La differenza quindi sta sia nellโofferta quanto nel modo in cui viene confezionata la proposta: mentre le food-court sono un punto di attrazione e di relax per chi รจ preso da altro โ che sia lo shopping o un film โ le food-hall possono presentare anche degli esercizi commerciali purchรฉ allineati con la loro visione โ ce lo vedreste bene un negozio di vendita al dettaglio accanto a uno stellato?
Sarร la modernitร che incarnano nella loro proposta, o la voglia di socialitร esplosa dopo la pandemia (lo smart-working รจ stato un incentivo importante, cosรฌ come la necessitร di mangiare fuori dalle mura di casa), sta di fatto che nel corso del tempo le food-hall sono diventate un punto di riferimento importante. Secondo una delle ultime mappature, in Europa se ne trovano oltre cento di cui gran parte nel Regno Unito e in Italia. Il motivo della crescita in questi due paesi รจ dovuto in parte al fatto che Londra รจ da sempre una cittร in prima linea quando si parla di sperimentazione. Qui troviamo, solo per citarne alcuni, Dinerama, nel quartiere Shoreditch dellโEast End, The Kitchens at old Spitalfields Market e Pop Brixton. Per il caso italiano sono la qualitร e la prossimitร dei prodotti a spingere le persone a provarle. Un esempio รจ Eataly, aperta nel 2007 dentro lโex fabbrica della Carpano a Torino. Da segnalare ci sono anche Degustazione a Fano e Officine Italia a Mestre.
Tra le realtร ormai affermate in Europa troviamo Time Out Market a Lisbona, Mathallen a Oslo, El Nacional a Barcellona, la Platea a Madrid, Copenaghen Street Food Papirรen e Torvehallerne a Copenaghen, Foodhallen ad Amsterdam e, per tornare in Gran Bretagna, Market House ad Altrincham.
Il fenomeno era giร molto forte anche oltreoceano. ร piรน di un decennio che lโAmerica vede aprire food-hall, nonostante da quelle parti il termine venga utilizzato anche per descrivere le food-court. Nellโautunno di due anni fa se ne contavano 364, ma entro quellโanno ne sarebbero state aperte altre 120. Sono presenti non solo nelle grandi cittร costiere, con New York che rimane uno dei centri principali, ma anche nelle aree considerate piรน periferiche e rurali. Anche qui il ruolo del Covid รจ stato centrale per lโespansione delle food-hall, dato che ha portato le persone ad abbandonare i centri urbani per prediligere gli spazi aperti della campagna. Come a Omaha, nel Nebraska, punto di incontro tra la cucina nepalese e quella siriana; o a Grapevine, in Texas, dove la cultura statunitense si mischia con quella sudamericana; o a Selma, nella Carolina del Nord, un ottimo posto dove mangiare indiano o peruviano.
In Italia le food-court sono un esperimento giร di successo. Lo dimostra Sidewalk, a Milano, ormai padrona di Via Bonvesin de la Riva. Un progetto che ha al suo nucleo lo street food rappresentato dai vari posti che popolano il marciapiede: Katsusanderia, Nudo Artisan Coffee, Totost, Mr Dumpling e Chuckโs. Tutto si svolge in un ambiente estremamente rilassato, a cui contribuiscono eventi e pop-up che di volta in volta vengono organizzati.
Altri due casi meno noti, ma molto interessanti, arrivano dalle principali cittร del centro e sud Italia. A Napoli โ via Filippo Cifariello in pieno Vomero โ cโรจ una food-hall a cielo aperto. Chiamatela come volete, perchรฉ una cosa simile รจ difficile anche da etichettare. Angela Gargiulo, ex ceramista, ha riunito solo donne, inclusa sua sorella, per dar vita a una serie di locali che offrono dalla colazione alla cena: al civico 7b si trova Angelina Caffรจ, al 14 cโรจ Buatta, โTrattoria di conversazioneโ; al civico 7 la Champagneria Popolare; infine, al numero 2, il cocktail bar Cordiale gestito dal compagno di Angela, unico oste uomo in tutta la via. La singolaritร di questi posti โ legata al fatto che dietro ci sono sempre gli stessi titolari โ sta nella possibilitร di ordinare un piatto dal menรน da Buatta e mangiarlo davanti a un bicchiere alla Champagneria.
Esperienza simile si puรฒ provarla qualche centinaio di chilometri piรน a nord. A Roma infatti cโรจ unโaltra apertura interessante: si chiama Bibo e, forse, a qualcuno potrebbe giร dire qualcosa. Nata come app su cui ordinare e ricevere da bere entro venti minuti, negli anni ha deciso di evolversi. O meglio, di rinascere sotto altre vesti. Ora Bibo ha la sua sede fisica, non solo da asporto. Si trova in Via Bellinzona, nel quartiere Trieste della capitale, davanti a quelli che un tempo erano piccoli negozi della Galleria Fendi: allโapparenza puรฒ essere scambiata per una โsempliceโ enoteca che vende (per lo piรน) vino naturale esposto in bella mostra lungo unโintera parete. Al suo interno, perรฒ, si puรฒ ordinare cibo da quattro posti differenti: Panizzo, Greet, Squares e, anche qui, lo smash burger di Chuckโs. ร il primo e al momento unico punto aperto in cittร . Il progetto รจ iniziato alla fine dello scorso anno, per cui รจ lecito attendersi evoluzioni in corso dโopera, a iniziare da chi ci sarร in cucina. Immutabile invece lโobiettivo che si รจ prefissato Bibo: dare a Roma la food-court che le mancava.
Parlare delle food-court o delle food-hall come una novitร sarebbe un errore dato che, come scritto, la prima apertura risale a qualche decennio fa. Ma la loro diffusione nellโultimo periodo rimane una rottura con i tempi moderni, dove prevalgono lโindividualismo e il protezionismo. Anche ovviamente dei beni commerciali, e quindi del cibo. Di fatto, sono unโanomalia nel sistema. In questi posti รจ vero lโesatto opposto: si condivide, ci si mischia e si ritorna a una delle funzioni principali del mangiare. Quella dello stare insieme.
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