Menu di mare e di terra, come suona anni Ottanta e Novanta. Anni di delizie e disastri in cucina di cui molti hanno nostalgia, altri invece rifiutano. Certo a leggerlo oggi, dobbiamo confessarlo, la pelle si accappona, soprattutto se ad enunciarlo è l’ennesimo comunicato stampa dell’ennesimo ristorante in apertura. Sopracciglio alzato, si sbuffa come una pentola in ebollizione. Ma a volte ci si sbaglia. Ippolito è a Fiumicino, aperto qualche mese fa da un bravo pizzaiolo, Luca Pezzetta. È la sua terza creatura nel litorale, dopo Microforno dove sforna un pane notevolissimo, uno dei migliori del Lazio, e Clementina, pizzeria con una carta dei vini chilometrica. La cucina di questo indirizzo è davvero divertente. E viene voglia di tornarci, ancora e ancora.
Quante volte capita di mangiare dei perfetti cappelletti in brodo vista barche e banchine portuali annesse? Quasi mai, diciamo noi. Quante volte una linguina con ragù di polpo si trasforma in una ricetta golosissima anziché il piatto più noioso e scontato di questo mondo? Ecco, gli artefici di questo piccolo miracolo sono due giovani chef: Marco Fedeli e Andrea Alberghetti. Bravi a chi li ha scelti, chapeau a loro che hanno il coraggio di buttarsi. Cambiare la cucina stanca e appiattita di Fiumicino non è cosa da poco. Con loro pochi altre insegne, validissimi avamposti di buona cucina, chi da più tempo, chi da meno, stanno cercando cambiare la fetta di terra che costeggia il porto di Fiumicino: Mare, il bistrot di pesce e brace dello chef stellato e forchettato Gianfranco Pascucci, Osteria dell’Orologio, garanzia granitica da anni. E poco altro.
Ma torniamo a Ippolito e alla sua proposta mare e monti, ma che di anni Ottanta e Novanta non ha nulla. Qui c’è contemporaneità e un bel po’ di brillantezza. Pure coraggio con il sauté di cozze servito con al centro una fettona di pane croccante e – sorpresa – paté di fegato di coniglio, quest’ultimo delicato, saporito, tendente al dolce, piacione. Le cozze sapide il giusto, cotte senza togliere la masticazione. Rassicurante come solo uno stracotto di pecora sa essere, quello servito su uno strato consistente di yogurt, bagnato col fondo della carne, e bilanciato con puntarelle e una salsa di alici. In una ciotola nera, invece, arriva una pasta mista con patate, cozze e provola affumicata, compatta ma filante, bella golosa.
I piatti arrivano uno dietro l’altro velocemente, nonostante la gioventù il locale è rodato, funziona, il servizio è garbato, ma a volte un po’ troppo presente. Ai cliente piace respirare ed essere autonomi, nei tempi moderni che corrono qualcuno se ne dimentica, ma a volte è bene ricordarlo. Anche il sovraffollamento dei tavoli nella sala principale è una piccola stortura, ma insomma nulla di grave visti i risultati generali e le grandi vetrate che danno spazio alla luce del litorale. E poi ci pensa la cucina a rimediare a tutto.
Si sale con grande sprint una volta che arriva il desiderato piatto di cappelletti in brodo di cappone, il cervello è pieno di ricordi, l’aspettativa altissima. Che tempi quelli in cui le nonne a Natale cuocevano “la bestia” in litri e litri d’acqua sgrassandola grossolanamente, difetti di fabbrica che rendevano quel succo ancora più indimenticabile. La versione limpida e dal color ambrato di Ippolito è sorprendentemente buona, i cappelletti sono fatti a dovere senza manie di perfezione, il ripieno è carnoso, insomma è un piatto che pochi sanno preparare nei ristoranti, un ballo nei sapori ancestrali, piacevole come il ritmo hip hop non urlato di Kendrick Lamar. Le gocce di olio aromatizzato al finocchietto danno al piatto uno sprint incredibile, così come il parmigiano stagionato 36 mesi scelto dal tagliere portato in dote dai camerieri e grattato sul momento. Viene voglia di tirare su il piatto con entrambe le mani, appoggiare la bocca, inclinare e risucchiare tutto quel ben di Dio.
Da Ippolito si beve anche bene. La carta dei vini è classica con un buon focus sui piccoli produttori, Francia a prezzi accessibili, un po’ carente sui rosati che sono un abbinamento apprezzabile con un menu di pesce e di carne. Nel complesso, carta dinamica e accessibile.
Si arriva in cima con un piatto che eravamo indecisi se ordinare o meno. Ma che avrà mai da dire una fettuccina tirata a mano con ragù di polpo bianco? Dopo averla provata, possiamo dire con certezza che non si può uscire da Ippolito senza averla provata. Gusto, gusto e ancora gusto. La pasta fresca tirata alla perfezione, spessa il giusto, carica di uova, grassezza che dà piacere. E poi una salsa essenziale, morbida, sapida, leggermente acida, fa salivare. Fa venire voglia di mangiarne etti su etti. Bravi. Menzione speciale per i dolci, il crumble salato con le pere marinate divertente, il tiramisù morbido e piacevole.
L’unico piatto sottotono era la rana pescatrice alla cacciatora ordinata tra gli antipasti, eccessivamente cotta risultava faticosa da masticare e in generale il piatto mancava di golosità. La salsa sulla base del piatto poco tirata e quindi leggermente slegata dal resto. Poco male, il resto era ottimo. E sì certo, ci torniamo.
Ps. una menzione speciale al pane preparato con la farina di mais da Pezzetta, torniamo anche per quello.
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