Ci vuole del coraggio per aprire un fine dining a Milano nel 2025. Ce ne vuole di più per farlo in una zona, il centro, che è da sempre un buco nero gastronomico. Questo coraggio lo ha avuto lo chef bresciano Valerio Dallamano, che con due compagni di avventura ha aperto Vel al numero 12 di via Bergamini, tra via Larga e la Statale, a sette passi dal Duomo. Zona di copisterie e uffici, che dopo il giro di aperitivi all you can eat affollati da studenti si svuota.
Naturalmente ci vorrà del tempo perché Vel spinga i milanesi ad affrontare le insidie serali del centro. E infatti Dallamano e compagnia (a proposito, gli altri due sono Enrico Nicolini, direttore di sala e maître dell’insegna e Laura Bettio, che fa quadrare i conti. E Vel è l’acronimo dei nomi di battesimo del dinamico trio) lavorano al momento soprattutto a pranzo, la nuova frontiera della gastronomia cittadina. Un antipasto a 20 euro, un primo a 25, un secondo a 30, due piatti a e caffè a 45, pescando da una piccola carta. Prezzi alti per chi pretende di mangiare con i buoni-pasto, ma che, dall’altro punto di vista, garantiscono una passeggiata nel mondo gourmet a un costo salvamutuo.
Lo chef Valerio Dallamano
Perché Dallamano è bravo. Si è fatto i muscoli trascorrendo diversi anni alla corte di Massimiliano Alajmo alle Calandre di Rubano, poi ha lavorato anche da Emanuele Scarello di Agli Amici a Udine, e l’ultimo periodo l’ha trascorso a guadagnarsi una stella al Wisteria, uno dei più sorprendenti ristoranti di Venezia. Poi alla fine del 2024 l’addio alla laguna e lo sbarco nella metropoli per iniziare il progetto Vel, che avrà bisogno di tempo ma ha dalla sua delle ottime carte da giocare.
La cucina di Dallamano non è facile da classificare. Lui la definisce “molto personale, la mia cucina sono io”, ciò che dice tutto e non dice niente. Di sicuro assaggiando i suoi piatti ci si imbatte in una cucina solida, non acquiescente, che si avvantaggia di una mano sicura e di tecniche contemporanee come le fermentazioni, le estrazioni, le affumicature ma senza mai esibirle come gesto, ma a scopo puramente funzionale. Una cucina “razionalista” di cui non ci sono molti esempi a Milano, che si applica a materiali freschi, stagionali, moderatamente territoriali, perché la sostenibilità in cucina è ormai un tema dato per scontato, ma lo chef bresciano non fa del chilometro zero un totem assoluto che diventi un ostacolo alla creatività. Anche se quando può attinge al Parco del Ticino o alle campagne brianzole.
Nella carta serale c’è un menu degustazione extralarge (il Rivelato, 160 euro, con piatti come Ad un passo dal frutteto, Sgombro e melanzane, Anatra salada, mandorle alle erbe, peperoni, santoreggia, Maltagliati di polenta ai pepi, schiuma di ricotta di capra e tartufo estivo, Fianchetto di manzo al rabarbaro, ambarella, prugne annerite e il dessert Passeggiata nella natura), un menu “omakase” Tutti i pigmenti del mondo (cinque portate, 95 euro), una carta stringata da cui attingere due piatti e dolce a 120 euro e tre piatti e dolce a 135.
Il piatto più interessante è stato a mio modo di vedere l’Indivia al caffè bianco e una bagna cauda vegetale di aglio arrosto, coriandolo e santoreggia, che ben ricorda la nota pungente dell’alice. Bene anche la Triglia in tabbouleh mediterraneo, un crossover di culture ma anche di consistenze e temperature, e un Cavallo sul suo fondo bruno. Ricordo con piacere anche una Giardiniera casalinga ed estremamente materica e il piatto iniziale, un’illusione di tartare realizzata con melograno, more, una punta di arancia, carote e zenzero e una salsa di soia. Notevole anche il dolce che mette in scena un campestre stagno di montagna, utilizzando vari ingredienti per simulare i vari elementi del paesaggio: avocado, mango, lampone, tapioca, manioca, palma yucatay.
L’estetica dei piatti è pittorica ma l’ansia di stupire non prende mai la mano. “Voglio che ogni piatto sia parte di un racconto più ampio in cui la tecnica rigorosa si lega a gesti essenziali, capaci di suscitare emozioni immediate e inaspettate”, spiega lui. Il ristorante si trova all’interno di un palazzo d’epoca, ed è stato oggetto di una recente riqualificazione. L’arredo è contemporaneo ma caldo, materico: pareti in cemento levigato, pannelli in rovere, lampade in ottone, tavoli in legno senza tovaglie. Alle pareti, le opere astratte dell’artista Alvaro Occhipinti.
Vel, via Bergamini, 11 Milano – Tel. 3273135559
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