Contro ogni pronostico

“Il Giubileo non ci ha portato nulla, se non meno clienti”. Il racconto dello chef Francesco Apreda

Uno dei cuochi più famosi di Roma ci spiega quanto è cambiata la ristorazione e come si lavora nel centro cittadino fra turisti e grandi manifestazioni

  • 17 Luglio, 2025

Nel giorno in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si preparava ad accogliere il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, fra sirene assordanti e auto blu ci siamo diretti alla volta del ristorante di Francesco Apreda, chef della vecchia guardia che ha fatto la storia dell’alta cucina romana. Ci ha accolto nel suo rinnovato fine dining Idylio, per raccontarci degli ultimi cambiamenti che hanno interessato il locale e della nuova proposta culinaria. Con l’occasione gli abbiamo chiesto come abbia lavorato nel corso del Giubileo e quanto si sia evoluta l’offerta della Capitale da quando si trova in città.

Con la sua arrabbiata spicy, è stato uno dei primi chef a farsi ispirare dalla cultura culinaria asiatica. Oggi lo fanno tutti…

Ai tempi (più di dieci anni fa), saranno stati forse 4 o 5 gli chef in Italia a percorrere questa strada. Mi vengono in mente Crippa e Genovese, che introdussero elementi frutto delle loro esperienze all’estero, a partire dall’Asia. Ma è inevitabile introiettare nel tempo un vissuto, frammenti di un’altra cultura che diventano parte di una cucina personale. Per quanto mi riguarda la “contaminazione” è stata spontanea, dopo anni di lavoro a Londra, Tokyo e in alcuni hotel indiani. Adesso invece si segue tale approccio come fosse un codice gastronomico. Un po’ quello che era accaduto con le fermentazioni del Noma di Copenaghen.

Quindi per lei manca identità nella ristorazione?

Posso dire solo che oggi, rispetto a 20 anni fa, chi fa la mia professione ha un milione di impulsi in più. È un mondo accelerato: ora in poco tempo si può crescere tecnicamente; mentre prima dovevi faticare il triplo, per anni e anni all’interno di un ristorante due o tre stelle Michelin. Ormai, i ragazzi non rimangono a lavorare nello stesso posto per più di 6 mesi, quanto gli basta per prendere spunto. Poi si può acquisire conoscenza anche con le immagini e informazioni che circolano sul web. Mentre Apreda assimilava perché si trovava in India, a contatto con la cucina locale e in mezzo ai mercati delle spezie. Comunque, si deve sfruttare la tecnica, ma non bisogna copiare. Io, per esempio, non le dirò mai che in un piatto è presente una fermentazione perché mi rifaccio in primis alla tecnica.

Si è spiegato perché in città non si trovi un’offerta internazionale di livello? Neanche di cucina indiana…

Me lo sono chiesto un sacco di volte. Ha ragione. Infatti, ero contento dell’arrivo di Zuma, il primo fusion di respiro internazionale ad approdare a Roma. Nonostante il successo ? è un posto dove mangi bene? non c’è stato però un particolare seguito. Forse c’è provincialismo e non siamo ancora pronti a questo approccio (cosmopolita). Qui si è legati alle solite idee, a uno stile tradizionale, più classico. Cosa che incide pure sulla cucina internazionale.

Incamminandoci verso il suo locale il centro ci è sembrato deserto. Non ci si aspettava ben altro dal Giubileo?

Questo Giubileo non ci ha portato nulla di diverso. Giusto qualche famiglia facoltosa, giunta dal Sud America per motivi religiosi. Abbiamo lavorato meglio senza Giubileo: l’anno scorso c’era più continuità; quest’anno invece ci sono stati giorni in cui è capitato di fare meno coperti. Rispetto agli anni passati, l’andamento altalenante si può ricondurre certamente all’aumento della concorrenza, ma anche al fatto che all’estero il Giubileo non sia stato visto tanto bene.

Ha spaventato il turismo?

Pensi che le guide turistiche hanno sconsigliato Roma perché si prevedeva caos. Dicono che adesso per recarsi al Vaticano si fanno ore di fila.

Ma il Giubileo vi ha danneggiato o no?

Certamente ci si aspettava qualcosina in più. Poi magari parli con i gestori delle trattorie dei dintorni e ti dicono che hanno lavorato molto bene. Per quel che riguarda i segmenti del lusso, dell’hôtellerie o della cucina stellata hanno un impatto migliore il rugby e la Ryders Cup. In genere, qualsiasi manifestazione che porti un target altospendente.

Cosa che non è avvenuta?

No, non è accaduto. Almeno da quanto abbiamo riscontrato noi.

È una questione di formula quindi?

Sì, dipende dal tipo di proposta.

Si può resistere all’overtourism con una proposta di qualità…

Mi accorgo che più hai identità e più il cliente ti ricerca. Il turista che vuole provare un’esperienza differente e non la trattoria romana insegue ciò che risulta identitario. In tal senso la formula dell’alta cucina è un fattore. Al di là dell’immagine costruita attraverso i social ? deve coincidere con la realtà ? serve essere continui in questa attività. Del resto, tra continue aperture e chiusure, lo spessore di un ristorante si vede alla lunga. Apreda lavora qua da 15 anni. Mi conosce tutta Roma. E se un guest dell’albergo desidera vivere un’esperienza significativa lo mandano qui.

Della nuova sistemazione di Idylio invece che ci dice?

Per competere oggi occorre stare al passo con i tempi. In questa direzione, volendo includere nell’offerta dell’hotel piscina e spa, è stato deciso di ricollocare il ristorante; ora ci affacciamo direttamente sulla strada con ben 5 vetrine. Un’altra visibilità ed esposizione rispetto a prima. Ci tengo però a precisare che siamo sempre all’interno della struttura.

Idylio by Apreda

Come si è evoluta la ristorazione della Capitale in questi anni?

Da quando sono arrivato mi sembra che dei passi in avanti siano stati fatti. La fascia media è cambiata parecchio. Direi in meglio. In generale si è evoluta pure la proposta degli hotel 5 stelle lusso, considerando l’eterogeneità di concept e format esistenti. Mi sembra migliorata anche la cucina delle trattorie.

Lei ha sempre lavorato negli hotel. Hanno ancora difficoltà a farsi conoscere al grande pubblico?

Il Bulgari ha cambiato la percezione generale degli alberghi luxury a Roma. Cosa che è stata un bene. Con strutture storiche come l’Eden, il De Russie e l’Hassler si respirava ancora il passato, per quanto importante.

Perciò la comparsa di un nuovo competitor è stata trainante per tutto il settore?

A mio avviso sì. Con il caffè su strada, aperto al pubblico tutta la giornata, Bulgari ha modificato il DNA dell’hôtellerie romana.

Nella sua esperienza alla guida del ristorante Imago dell’Hotel Hassler c’è stato un corto circuito con la proprietà?

Sono arrivato a un punto in cui ho sentito la necessità di cambiare. Avevo bisogno di tirare fuori qualcosa di nuovo, cosa che in un contesto del genere non riuscivo più a fare.

Ambiente troppo aulico e austero? L’Hassler non le dava spazio a sufficienza?

Non abbastanza. È brutto dire che cercavo qualcosa di più giovanile. Mi volevo però esprimere liberamente. Poi le cose le ho fatte anche là, per carità. Qui invece il mio nome è presente nell’insegna e abbiamo messo a punto un nuovo concept gastronomico dedicato alla terrazza. Una libertà che mi ha consentito di crescere rispetto a quanto fatto durante i miei 11 anni di Imago.

Lumachine di Pasta ai Totani, Lavanda e Olive Nere (Idylio by Apreda)

La sua cucina però attinge ancora all’universo speziato orientale. A proposito, come nasce la scelta di ricercare il sapido senza aggiungere sale?

Una decisione esito di una riflessione fatta insieme ai ragazzi: abbiamo visto che i piatti che ci davano maggior soddisfazione erano quelli in cui c’era una carenza di sale. Analizzando attraverso una scala di sapidità l’acqua delle ostriche, la colatura di alici, la riduzione dell’acqua di polpo e l’essiccazione della foglia di sedano abbiamo individuato delle soluzioni che ci dessero comunque sapidità nelle preparazioni. In questo le spezie ci hanno aiutato sicuramente molto. Ora questa è la nostra spina dorsale. Anche i miei ragazzi ormai ragionano così. E sono 4-5 anni che andiamo avanti con tale progetto.

Dunque questi giovani sono fannulloni o no?

Non sono fannulloni. Hanno solo un approccio alla vita diverso: oggi il giovane è dedito, ma vuole più spazio (per mostrare le proprie capacità). Io non voglio essere fra quelli che punta il dito contro, per esclamare “voi”. È naturale che le cose cambino. Quando lavoravo a Le Gavroche di Londra la mia ragazza mi stava lasciando perché lavoravo 18 ore al giorno e non avevo tempo libero. In effetti tutto ha un limite e in questo hanno ragione. Forse hanno difficoltà a relazionarsi, ad accettare la gerarchia. In ogni caso, dobbiamo trovare il modo per far apprezzare loro la professione. E non spingerli al totale disinteresse, al progressivo allontanamento dalla cucina.

 

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