Cheffa

Jessica Rosval: "In molte cucine solo modelli rigidi e superati. E le donne si sentono isolate"

Jessica Rosval e il patriarcato nella ristorazione: "Troppi pregiudizi, la cucina del futuro ha bisogno delle donne"

  • 22 Settembre, 2025

Non basta che se ne parli. Ma certo, il fatto che si parli così tanto della questione di genere nella ristorazione è indice di una nuova sensibilità (qui l’intervento di Chiara Pavan). In campo imprenditoriale grandi chef uomini stanno contribuendo al cambiamento promuovendo talenti femminili: Massimo Bottura, ad esempio, ha voluto come head chef del suo country hotel Casa Maria Luigia la canadese Jessica Rosval, oggi una delle figure di spicco della nuova cucina italiana e premiata per il ristorante Al Gatto Verde con una stella e una stella verde dalla Michelin nel 2025 e Due Forchette in Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso, con un punteggio al limite delle Tre.

Jessica Rosval ritratta da Stefania Gambella. In apertura, foto by Cinefood

La chef è anche co-fondatrice e direttrice culinaria del progetto “Association for the Integration of Women” l’associazione modenese che promuove l’integrazione attraverso corsi di cucina dedicati a giovani donne migranti e del ristorante multietnico “Roots” dove hanno la possibilità di esprimere le loro capacità. Sono segnali di apertura che fanno sperare in cucine future sempre più inclusive, dove le donne potranno ottenere i ruoli e i riconoscimenti che meritano. A Jessica Rosval, neo-stella Michelin Al Gatto Verde di Modena, abbiamo chiesto un parere sulla situazione attuale delle donne nella grande ristorazione.

Nonostante la cucina sia considerata un ambiente tradizionalmente femminile, l’alta gastronomia sembra non essere ancora “un posto per donne”. Perché?

Molte cucine professionali si basano ancora su modelli superati, rigidi e competitivi, che non incoraggiano la diversità né favoriscono l’inclusione. Quando le donne sono in netta minoranza in brigata, capita che si sentano isolate, fuori posto, come se dovessero costantemente giustificare la propria presenza. Spesso vengono indirizzate verso ruoli considerati più “leggeri” o “delicati”, ma raramente verso posizioni di comando o partite centrali. Questo senso di solitudine e marginalizzazione può portare molte a lasciare il mestiere troppo presto.

foto di Stefania Gambella

Ci sono ancora molti pregiudizi sul ruolo delle donne nell’alta cucina?

Uno dei pregiudizi più diffusi è che le donne non siano in grado di sostenere gli sforzi fisici richiesti da questo lavoro. Ma oggi fare lo chef non significa spostare pentole da 85 chili: significa creare sistemi intelligenti, efficienti e sostenibili. E in questo, il cervello batte i muscoli ogni volta. Nelle nostre cucine lavoriamo ogni giorno per costruire spazi in cui ognuno possa esprimersi liberamente e accedere agli stessi ruoli e opportunità, indipendentemente dal genere.

Nella sua brigata sono tutte donne?

Ma no, anche se l’80% della mia brigata è composto da donne. E questo non per adempiere a una quota rosa o a una vendetta di genere! Ma perché abbiamo creato un ambiente dove il talento fiorisce, punto e basta. Con questa visione è nato “Roots”, un ristorante e progetto sociale che offre formazione professionale a donne migranti. È uno spazio dove il cibo diventa strumento di riscatto, di integrazione e di futuro. Un luogo dove storie, culture e competenze si incontrano per generare cambiamento reale.

Quali azioni si possono mettere in campo in futuro per garantire maggiore equilibrio?

C’è una frase di Angela Davis che porto con me: “Non accetto più le cose che non posso cambiare, ma sto cambiando le cose che non posso accettare”. Ecco, invece di bussare alle porte sbagliate, costruiamo le nostre. Ambienti dove le donne possono crescere, creare, prendersi lo spazio che meritano. Il fatto che negli istituti alberghieri la metà degli studenti siano donne, mentre meno del 10% dei grandi chef lo siano, ci deve far riflettere. Il problema non è la mancanza di talento femminile, ma la mancanza di sostegno durante momenti cruciali: l’accesso ai ruoli di leadership, la presenza di figure di mentorship, e il supporto concreto in caso di maternità.

Cosa è per lei una cucina inclusiva? 

Inclusione non significa togliere spazio a qualcuno, ma espandere le possibilità per tutti. Vogliamo una cucina dove ogni persona possa sentirsi realizzata, dove il rispetto non si chieda: si pratica. Dove formare, sostenere e incoraggiare una giovane cuoca significa offrire al mondo una nuova voce, una nuova visione, un nuovo modo di cucinare il futuro.

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