A Bologna, all’Osteria del Sole – istituzione storica a due passi da piazza Maggiore – è comparso un cartello che sconsiglia l’ingresso ai bambini. Non un divieto vero e proprio, ma un invito esplicito al buonsenso dei genitori: “Non è vietato venire con i bambini, ma è sconsigliato, vista la maleducazione dei genitori, che scambiano il ristorante per un parco giochi”. La comunicazione è chiara, anche in inglese, pensata per i tanti turisti.
La notizia ha fatto discutere, com’era prevedibile. Ma quello che colpisce non è tanto la singola scelta di un locale, quanto il tono generale della conversazione pubblica. L’ha detto chiaramente Cesare Battisti, chef e oste del Ratanà, a Milano, in una lunga conversazione che è partita dal caso bolognese per arrivare a toccare qualcosa di più complesso: l’idea stessa di società.
«Fa parte della nostra storia», racconta Cesare Battisti, chef e oste del Ratanà, a Milano. «Noi abbiamo aperto nel 2008 e la cucina, i ristoranti, tutto quello che c’era, a Milano almeno, sembra di parlare di ottant’anni fa. Era un altro mondo, dove i bambini davano fastidio quando andavano al ristorante perché occupavano un posto e non pagavano». Il Ratanà però è nato dentro un parco, e non un parco qualunque: «Siamo nel Parco dei diritti dei bambini. Per cui la prima cosa che ho fatto è stata dire: venite. Un bambino ha dei diritti: ha il diritto di mangiare, di stare insieme agli adulti, di giocare, di relazionarsi, di sporcarsi – anche la tavola dove va, perché è un bambino».
«La prima cosa che abbiamo fatto, che era fantascienza una volta, è stata prendere due babysitter, e abbiamo dedicato dei tavoli ai bambini, dove non erano costretti a rimanere seduti con i genitori.». Un esperimento che ha avuto successo, forse troppo: «Vi lascio immaginare cosa può essere successo. C’erano le famiglie che mi guardavano con gli occhi a cuore. È diventato difficile da contenere: c’erano veramente cinquanta bambinetti di tre anni». Eppure Battisti non ha mai pensato di fare marcia indietro. Anzi. Ancora oggi, anche senza dichiararsi “family friendly”, il Ratanà viene scelto da moltissime famiglie.
Ma cosa significa davvero accogliere un bambino? Per Battisti non si tratta di avere il “menu kids” o i pastelli a cera: «I bambini hanno bisogno di essere visti. Di interloquire. Non è la mamma che dice: “Fammi una pasta al pomodoro per mio figlio che va bene”. No. Vai lì: “Cucciolo, cosa hai voglia di mangiare?” Tanto sono le solite cose: riso giallo, pasta al pomodoro, pasta in bianco, cotolettina di vitello, il pesciolino. È facile».
Lo staff del Ratanà risponde con cura: «Il bambino va gestito, trattato e incoraggiato come un qualsiasi cliente. È bello, perché poi scelgono loro, e io li incoraggio: “Vieni, ti faccio vedere chi l’ha fatto. Lo licenziamo o gli facciamo i complimenti?”. Così lo gasi. Saranno i tuoi clienti del futuro. Non possono non essere visti. Vanno curati».
Per Battisti, i bambini al ristorante non sono un problema da risolvere, ma una parte viva e legittima dell’esperienza condivisa e intrinsica nel concetto stesso di ristorazione «Ristorare non significa darti un piatto di pasta buono. Significa che ti devi ristorare a tutto tondo: stare bene, sentirti a casa, slacciarti la cravatta e dire: “Come sto bene in questo posto”». E questo vale anche per i bambini. «Se ho mio figlio, deve essere ristorato nella stessa maniera in cui lo sono io. Non possiamo mettere i veti. Mettiamo i veti ai bambini, poi mettiamo i veti a quelli che mangiano tardi, poi ai migranti, poi a quelli che non ci stanno bene… Così la società si chiude a riccio».
La riflessione si allarga, e diventa una critica netta al presente. Il caso dell’Osteria del Sole, con il suo cartello che sconsiglia l’ingresso ai bambini per mancanza di spazio e “genitori che non li sanno gestire”, è solo il sintomo di qualcosa di più profondo. «Io credo che stiamo vivendo il punto più basso della nostra società. La nostra società è superficiale. Quando le situazioni ti pongono delle sfide e dei problemi, tu non li sai gestire. Per cui la cosa più semplice da fare è accantonarli o vietarli». Secondo Battisti, questo meccanismo – escludere invece di includere – è diventato la scorciatoia collettiva alla complessità: «Viviamo in una società estremamente complessa, dove tutti i giorni ci sono problemi nuovi e tu non ci stai più dietro. Non sei più capace di risolverli. Questa roba qui ti porta a eliminare tutto quello che non ti piace. I bambini vanno gestiti. Ma come faccio? Non lo so fare. Allora li escludo.».
Un problema, sì, ma anche un segnale: «Negli anni ’70 e fino alla metà degli anni ’80, venivano dall’America e dalla Finlandia a vedere come gestivamo i bambini noi, a Reggio Emilia, con Reggio Children. Venivano da noi a imparare. E oggi, in un battito di ciglia, in due decenni, sono qui a parlare con te al telefono del fatto che non fanno entrare i bambini al ristorante. Pensa che involuzione.».
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