La zona est della città gli Antichi Romani non la consideravano neppure Londra. E col passare dei secoli non ha avuto molta più fortuna considerando che fino alla Seconda guerra mondiale in quel quadrante non c’era quasi niente se non baracche. I missili senza pilota, i temutissimi V1 e V2, mandati dalla rabbia accecante di Hitler la distrussero in lungo e largo, come d’altronde accadde al resto della city. Solo classe operaia e banchine portuali – i docks – affacciati sul grigio Tamigi. Cosa poteva nascere in quella che veniva considerata l’area più depressa di Londra? Il caro vecchio East End (qui la sua storia in immagini) di dove gli abitanti parlavano con fierezza il cockney, il caratteristico dialetto dei quartieri popolari, e su cui molti non avrebbero scommesso nulla.
La tavola di St John
Non tutti, a dire il vero. È a East London, la porzione più a nord del grande quadrante est, che due signori di una certa borghesia, un indomabile chef-filosofo e un pioniere delle carte di vini francesi, hanno deciso di aprire la seconda sede del loro ristorante. Così nel 2003, di fronte al mercato di Spitalfields, già zona industriale dove lavoravano i tessitori di seta, Fergus Henderson e Trevor Gulliver, hanno raddoppiato la loro creatura: St. John, il ristorante icona che ha insegnato agli inglesi a mangiare il quinto quarto e che con la sua influenza ha cambiato per sempre la cucina del Paese. La seconda sede è nata come semplice panificio, in una posizione – a est, appunto – all’epoca molto infausta. I due hanno avuto coraggio da vendere.
Il pane di Dusty Knuckle, ottima bakery di Dalston
Rapidamente, il panificio viene invaso dai piattini e dai bicchieri di vino offerti ai clienti mentre ritirano le loro pagnotte, e lo spazio diventa un ristorante. St. John ha accompagnato da vicino la trasformazione di East London: una zona difficile e senza appeal ha vissuto una rigenerazione mai vista in precedenza, complice la crescita elefantiaca del settore finanziario, i giochi olimpici del 2012, la forte migrazione. E qui anche la cucina è cresciuta, sgomitano piccoli ristoranti di cucina inglese, i gastropub che resistono al declino, le cucine internazionali spopolano, le bakery iniziano a non avere rivali.
Il panino alle capesante del mercato di Billingsgate
Oggi non si può andare a Londra senza passare qualche giorno a East, con i suoi quartieri hipster ed eccentrici, i mercati, i vecchi moli e magazzini occupati da negozi alla moda e, soprattutto, per una scena gastronomica fortissima. Si mangia bene, si compra dell’ottimo pane e si beve ripassando la storia. Ma non esiste rigeneration senza conseguenze: affitti che aumentano, case sempre più costose, vecchie council houses – quelle popolari – sgomberate, rimodernate e offerte alle classi più ricche, e quindi ridimensionando (o cacciando?) le comunità locali. È la gentrification, bellezza e disgrazia.
A differenza del West End frequentata dall’upper class, bianca, benestante, poche, quella di Notting Hill per intenderci, l’East End è sempre stata una zona di quartieri poveri e ad alto tasso di criminalità. Dai primi anni 2000 la situazione è migliorata. Una nuova rete metropolitana leggera (salite sulla DLR che viaggia senza macchinista) connette le zone dell’est con la City. Canary Wharf è l’esempio più lampante della riqualificazione a tutti i costi: moderni grattacieli, uffici verticali, griffatissimi trader e risk manager in giacca e cravatta formano la silenziosa cittadella finanziaria che ha sostituito i vecchi e sudici moli, caduti in disgrazia con l’arrivo delle navi portacontainer.
Qui c’è la prima vittima della gentrificazione. È racchiusa in un iconico, e zozzo, panino con le capesante e bacon preparato da decenni nello storico mercato del pesce di Billingsgate. Viene servito al bar interno con una tazzona di caffè, e vale la sveglia in piena notte, essendo tradizione mangiarlo all’alba. Ma nel 2028 il mercato verrà trasferito molto più a est, vicino all’autostrada. Al suo posto, quattromila nuove abitazioni.
Per un mercato che se ne va, ce n’è un altro che cresce e continua a cambiare. Londra è così, prolifera di possibilità e novità, complice di miseria e decadenza, ma è piena di spendore e coraggio. L’Old Spitalfields Market è stato inaugurato all’inizio del Novecento addirittura da una regina, Mary, la nonna di Elisabetta. A metà pomeriggio, superati i grandi cancelli ad arco, il rumore che si sente con più frequenza è quello del metallo, mentre gli ambulanti ripongono i tavoli in ferro utilizzati per vedere oggetti di poco conto. Direzione: box dedicati al cibo. Attenzione al brodo rovente di cui sono ripieni i ravioli di Dumpling Shack, ottimi, ma le ustioni sono la norma.
La pie con carne di fagiano di St. John
Per la cucina inglese invece c’è un’unica stella a cui dirigersi, St. John, che si trova dall’altra parte della strada. Mentre qualche via più in là, la domenica mattina, non è difficile imbattersi in barbieri che tagliano i capelli all’aperto, precisamente a Brick Lane, il nome si riferisce a una strada frequentatissima, tela a cielo aperto di murales e graffiti, dove si può trovare buona musica (appuntamento da Rough Trade) e centri artistici per chi ama la fotografia (Autograph è una tappa). Oggi è una propaggine hipster di Shoreditch dove si possono mangiare ottimi bagel bolliti al momento (se capitate da Beigel Bake: ordinate beef).
Melanie Arnold e Margot Henderson di Rochelle Canteen
Ma la vera patria dell’hipsterismo, la culla di mille barbe folte, è appunto Shoreditch. Diventata una vittima urbana del suo stesso successo commerciale, contiene la bellezza e gli eccessi della gentrificazione: un quartiere trascurato viene colonizzato da artisti che cercano affitti a buon prezzo, fiorisce la cultura dei caffè, si insediano nuove attività commerciali, poi gli affitti salgono e gli abitanti che hanno dato vita alla sua identità vengono cacciati. Rimane una zona iconica e molto identitaria. Con un tavolaccio rimediato alla bell’e meglio, qualche sedia, in un ex deposito di biciclette di una scuola, due donne coraggiose hanno portato una boccata d’ossigeno alla gastronomia londinese. Melanie Arnold e Margot Henderson, mogli dei fondatori di St. John con cui hanno gestito l’iconico The French House a Soho, da un quarto di secolo portano avanti Rochelle Canteen. Immancabile per la sua cucina europea moderna.
Se Shoreditch fosse un villaggio, Leila’s sarebbe il bar del posto. Menu stagionale, perfetto per brunch e pranzi, immancabili le uova alla salvia del weekend. Sempre in zona, gli amanti dei lievitati moderni saranno accontentati dal piccolo corner di Jolene. La domenica una sonnolenta strada con le solite case vittoriane, tutte uguali e tutte col giardino irriverente, si trasforma in un tripudio di profumi, fiori e fogliame. I residenti arrivano incredibilmente presto al mercato dei fiori di Columbia Road, a chi non ama svegliarsi di buon mattina non resta che contrattare qualche pianta a buon prezzo prima della chiusura. Mentre da Provisions, piccolo shop raffinato, troverete formaggi incredibili, campo su cui gli inglesi sono sempre più bravi.
Uno dei sandwich della bakery E5 Bakehouse, a due passi da London Fields
Se ci sono quartieri a Londra che stanno facendo la storia della panificazione moderna sono sicuramente Hackney Central e Dalston. E ognuno dei due ha il suo forno all’avanguardia. Sotto un arco ferroviario, con i treni Stansted Express che rombano sopra la testa, Ben MacKinnon ha convinto un gruppo di giovani pieni di dottorati a seguirlo in quello che si è trasformato in un successo: E5 Bakehouse è una tappa immancabile, e il suo pane apre la mente. Quello più noto è Hackney Wild, nato da un errore, lasciato fermentare per sbaglio più a lungo del previsto. Ne è nata una pagnotta con una crosta scura e croccante, la mollica ariosa e profumata. Una versione più terrosa e amara cotta senza vapore è lo Stockholm Loaf. Si entra in una specie di hangar, libri sugli scaffali, bun dolci e croissant alla francese nella vetrinetta, caffè, caffè, caffè. Difficile andarsene.
Il pane di E5 Bakehouse in preparazione
Hackney gentrificata, un po’ omologata, ma sempre alla moda ospita belle realtà. Chinese community center, ad esempio, è una specie di centro culturale, una di quelle cose che in Italia quasi non esistono, riferimento per le comunità cinese, cantonese, vietnamita e malesiana. L’hub ospita chef, corsi di cucina e workshop sul cibo, oltre a momenti dedicati alla danza e alle arti marziali. I residenti del nord-est amano sedersi ai tavoli sociali durante i “lunch club” in cui si possono assaggiare i piatti di mezza Asia.
Gli chef di Caravel, il ristorante che galleggia sul Regent Canal
Una delle cose più strane di Londra è che le persone dormono anche sull’acqua. Letteralmente. Decine e decine di piccole imbarcazioni che puzzano di cherosene sostano sui canali perlopiù nascosti in città ospitando residenti. Il Regent Canal è tra i più belli, lo si può percorrere puntando verso nord, e imbattendosi in un ristorantino di new cucina inglese, Caravel. Si mangia dentro una barca, il cibo merita. Rimanendo ad Hackney Central, a due passi dal canale, c’è l’immancabile Broadway Market. Bancarelle di oggettistica, diversi avamposti di buoni formaggi, banchi con paccottiglia non meglio identificata, altri ancora con pentoloni fumanti che offrono piatti street food di varie cucine dal mondo ma non di particolare qualità. Un decennio fa il mercato era innegabilmente meno turistico e più rivolto ai local, ma a Londra le cose col tempo cambiano. Fermatevi da Shrine to the wine, una piccola enoteca figlia dei fondatori di un celebre ristorante, Noble Rot (che è anche una rivista), che ha sempre un’interessante selezione di vini naturali.
Uno scorcio del Broadway Market
A salvare tutti ci pensa Pockets, che ha la fila fuori, con i suoi panini imbottiti di falafel niente male e salse à gogo, e volendo anche una generosa dose di jalapeno. Lo si mangia seduti tranquillamente sui prati di London Fields, osservatorio di studi antropologici. Giovani spilungoni in ciabatte e calzetti di spugna bevono caffè appollaiati sulle panchine del parco, ragazze dallo sguardo sveglio camminano svelte ascoltando Kendrick Lamar con le cuffie giganti, altre vestono pantaloni voluminosi, altri ancora sfidano il vento con trench leggeri fino alle caviglie, maglioni colorati, cappellini arrotolati, calzini a righe, cani e volpi, la sera più volpi che cani, bici elettriche che sfrecciano sulle ciclabili, e per i pedoni nessuna pietà, in fondo una bizzarra piscina pubblica con l’acqua riscaldata che a ogni batter di sole viene presa d’assalto.
Lasciata alle spalle l’umanità di Hackney, si passa davanti a Violet Cakes, bakery minuscola che propone delle ottime torte ma a prezzi decisamente stellari (curiosità: qui è stato sfornato il dolce nuziale di Harry e Meghan), fino a catapultarsi nella più confusionaria ma affascinante Dalston, regno dei ristoranti turchi (Mangal 1 è l’indirizzo giusto). A due passi, il pub più frequentato e chiassoso del circondario, con piatti di cucina inglese:The Spurstowe Arms. Il secondo avamposto del pane sourdough è dietro a Cafè Oto, casa della musica sperimentale e underground di Londra con concerti interessanti e odore di parquet, basta girare l’angolo per entrare da Dusty Knuckle.
Una delle pizze ripiene di Dusty Knuckle
Ecco la stella nascente, anzi no, ormai è già nel firmamento. Rifornisce i ristoranti di Ottolenghi, stellati Michelin e orde di hipster in coda per i suoi panini con salsiccia a 4,50 sterline. Cardamom bun – alla cannella – sono da urlo, così come il sandwich trasudante di formaggio. Il pane, ovviamente, è buonissimo. Leggero, con la mollica scioglievole e quasi setosa. Quando di panini si hanno le scatole piene allora si può puntare sul gastropub The Hemingway che sforna ottimi filetti alla Wellington e gustosi Yorkshire puddings da irrorare con salsa gravy. Patate burrose e insalata di granchio. Che goduria. A dieci minuti a piedi, c’è pure una piccola bakery italiana, Forno, le focacce ripiene meritano.
La caffetteria e bakery Pavillon a Victoria Park
Da qui due scelte. Immersione nel Ridley Road Market e quindi nella comunità afro-caraibica, con una sosta per assaggiare gli ottimi naan del panificio Ararat Bread, dove i dischi di pasta vengono cotti su un forno roteante, oppure un salto a Vittoria Park, immenso polmone verde dell’est, dove Pavilion ne è l’ombelico. Un piccolo spazio esagonale affacciato sul laghetto ospita questa bella bakery (sì, l’ennesima, ma Londra è piena!). Alla fine degli anni Novanta il fondatore, Rob Green, di ritorno dallo Sri Lanka, ha allestito una piccola bancarella dentro al Borough Market in centro. Poco dopo ha aperto il suo primo locale all’interno del parco servendo abbondanti ciotole di Dhal dello Sri Lanka con birra Chai fatta in casa. Poi sono arrivati i dolci, il caffè, il pane, le baguette e i croissant. Ed è questo il segreto di Londra: qualche coraggioso scommette, e spesso vince.
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