Una velocità che ricorda quella del prestigiatore, una maestrìa e una manualità che è tutta un gioco di mani che si inseguono e si incrociano. È il rito del crispiddaru, il maestro addetto alla preparazione delle crispelle, superstite di una tradizione che solo in pochi portano avanti e che trova la sua massima espressione a Catania e provincia. Le Crispelle o “crispeddi”, come le chiamano in siciliano ai piedi dell’Etna, sono uno dei simboli indiscutibili del cibo di strada siciliano, nonché una variazione del tema “sfinci”, dalla cui etimologia araba “isfang” (spugna) derivano le ricette che hanno la consistenza morbida e spugnosa delle frittelle, compreso lo sfincione e i dolci come le sfinci di San Giuseppe.
Di origine persiana, furono gli arabi ad introdurre in Sicilia questa pasta lievitata molto amata da Federico II di Svevia, al punto che l’imperatore “Stupor mundi” rese popolari le crispelle oltre i confini dell’isola consacrandole nei suoi due ricettari: il “Meridionale” e il “Liber de coquina”.
La crispella catanese, nota soprattutto nella sua versione salata, nasce da una pallina di pasta lievitata fatta con farina di semola, acqua, lievito e un po’ di sale. A renderle uniche è il ripieno con ricotta o acciughe, già dentificabile dalla forma: allungata con acciuga e rotondeggianta per le crispelle con la ricotta. L’arte del crispiddaru inizia dal lavoro dell’impasto morbido e soffice, quasi liquido, manipolato dal maestro con una tecnica precisa che gioca con le variabili manualità e velocità. Su una piccola porzione di pasta, stesa sul palmo della mano inumidita, il crispiddaru vi adagia sopra un cucchiaio di ricotta o un filetto di acciuga, prima di chiudere bene il fagotto. Ad accogliere le pastelle sono grandi pentoloni di olio o strutto caldo dove vengono messe a galleggiare durante la cottura e dove si gonfieranno e si incresperanno velocemente, da qui il nome crispella. L’equilibrio è trovare la perfezione tra croccantezza, frittura, evitando quell’unto di troppo.
Da simbolo delle feste natalizie, le crispelle si preparano tutto l’anno e sono state inserite nell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Non c’è sagra, festa patronale, evento, che non veda tra i protagonisti i crispiddari con i loro pentoloni e stand che sembrano set teatrali, con il pubblico incantato dal movimento delle mani e l’attesa per una crispella calda. Amate dal popolo locale ma non solo, le crispelle sono anche apprezzate dagli stranieri o dai vip che soggiornano in Sicilia. Ne è testimone Antonio Di Bella, detto “Crispedda”, titolare di Extra Extra, il laboratorio- crispelleria a Valverde, in provincia d Catania e custode di una tradizione appresa dal papà.
Depositaria di questa ars, è l’Antica Friggitoria Stella, un’insegna icona nel centro storico di Catania e, sin dal 1837, meta di pellegrinaggio durante le festività natalizie. E c’è chi alle crispelle ha dedicato una casa, un tempio consacrato a queste specialità. E’ la Casa delle Crispelle a Catania, in via Plebiscito, via popolare nota per il cibo di strada a base di carne di cavallo.
Nel capoluogo etneo, sono diverse le insegne che hanno fatto delle crispelle il core business: Crispelleria Marconi, Crispelleria Mazzone, il Chiosco delle Crispelle e Crispelleria Santoro. Ma in città, non mancano bar e rosticcerie dove trovare crispelle calde e croccanti come il Bar Menza e il Caffè Prestipino. Fuori da Catania, ad Acireale, l’indirizzo da tenere in rubrica è quello di “Orazio Cordai freat & food”, seconda generazione di crispiddari. Dopo l’apprendistato nella crispelleria del padre, Orazio Cordai prepara la terza generazione, che ha già le mani in pasta. Per lui, «la crispella perfetta nasce da un impasto molto idratato e sottile, lievito madre, e materie prime, farina, ricotta e acciughe, di grande qualità. La tecnica è importante, frutto di una manualità certosina ma anche di tanta esperienza». Sulla frittura non ha dubbi: «strutto tutta la vita».
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