C’è una nuova vineria, al Pigneto, e questa già potrebbe essere una notizia, ma c’è di più: c’è anche una nuova piazza al Pigneto, con tanto di fontana e panchine, su cui affacciano edifici con infissi nei colori pastello, lucine, tende a righe e atmosfera francese, la stessa che ispira le attività che vi si affacciano. A creare quest’angolo di pace in uno dei quartieri più animati di Roma sono Massimo Innocenti e Agathe Jaubourg, imprenditori di lungo corso che a via Fanfulla da Lodi hanno creato, pezzo dopo pezzo, una cittadella del bon vivre. Sin da quando, era il 2007, hanno scommesso su un vecchio bar di quartiere, Necci dal 1924 (omaggio ai vecchi proprietari che un secolo fa trasformarono una masseria abbandonata in bar latteria), un posto benedetto dalla storia che l’ha attraversato, con l’eco del passaggio del Pasolini di Accattone, e da una posizione invidiabile: una casetta circondata da un piccolo cortile alberato, un posto in cui la colazione si trasforma facilmente in un pranzo e un aperitivo diventa senza indugi cena, tanto è amabile questo angolo fuori dall’isola pedonale, ma all’interno di un quadrilatero del buon gusto. Di fronte a Necci – bistrot adatto a tutte le ore – qualche anno fa aprirono la panineria Premiata, con l’hidden bar Spirito, salotto e terrazza dedicati al bere miscelato, e poi la pizzeria Dalodi.
Tutti locali ad alto tasso di piacevolezza, graziosi, pur nelle loro differenze di stile e di target. Una specie di un nuovo Pigneto, distante dai cliché e dal degrado dell’area pedonale, ormai piena di locali con “buttadentro”. Nel frattempo, e approfittando del tempo sospeso della pandemia, Innocenti e Jaubourg hanno avuto modo di riportare alla luce – si fa per dire – un ipogeo romano sotto al Necci, di cui si conosceva l’esistenza ma non la collocazione, oggi spazio per mostre, eventi e degustazioni, grotta di affinamento per formaggi, fungaia e cantina per un centinaio di etichette più pregiate. Da tempo, però, si vociferava della loro ulteriore iniziativa.
«Avevamo bisogno di un laboratorio più ampio per il pane di Necci e di Premiata» spiega Massimo Innocenti. Per quello avevano adocchiato una ex carrozzeria nell’angolo opposto rispetto a Necci, con una corte dove sostavano le auto in attesa di rifarsi il trucco. C’è voluto un po’ di tempo prima che chiudessero i lavori e che – tolte le recinzioni – la corte si trasformasse in piazza con le sue panchine francesi e la fontana di pietra provenzale, ideale prosecuzione di Necci come spazio vivibile da tutti (non è una cosa banale: invece che chiudere uno spazio privato lo hanno letteralmente regalato alla città).
Se l’altro lato della strada è da sempre aperto a un tipo di fruizione nordeuropea in cui i caffè sono luoghi di sosta prolungata (nel 2007 era quasi un unicumm a Roma), qui ci si rifà a un certo modo di vivere la piazza come punto di incontro e di socialità, tipico dell’Italia degli anni ’50, ma anche possibile palcoscenico di iniziative vario genere, per adulti e bambini. «Quando ci siamo imbarcati in questa avventura, volevamo creare uno spazio che rispondesse alle nostre esigenze di imprenditori e a quelle del quartiere, che è quello in cui abitiamo noi».
La loro esigenza di imprenditori era avere un laboratorio più grande e studiare un’offerta alternativa – «non potevamo fare un doppione di Necci» – quella di abitanti avere un luogo di socializzazione vivo anche di giorno, dunque con attività diurne. Una è la bakery in cui si trovano pane, pizzette, biscotti, croissant, dolci contemporanei e altri più classici; con il grande laboratorio che si intravede dagli infissi azzurrini che affacciano sulla piazza.
Già che c’erano hanno creato un piccolo spazio per la vendita, che prima -“di là” – era sacrificata dalla convivenza con il ristorante. Sul lato opposto c’è lo spazio esposizione e vendita delle ceramiche artigianali Ùtol in una casetta bassa con infissi colorati e mensole rosa (la loro prima sede nella vicina via Braccio da Montone). Il nome del progetto del romano Flavio Rossi e del trentino David Romelli fa riferimento a una parola ladina che si può tradurre in italiano con utile, a sottolineare come l’arte e l’artigianato debbano confrontarsi con l’uso quotidiano, coniugando la bellezza e funzionalità, con leggerezza e ironia.
In fondo alla piazza c’è poi la Cantina Rosé, in cui l’impronta d’oltralpe si fa più evidente, a partire dalla selezione di vini. Oltre 200 etichette, cose poco note scelte da Innocenti: tante bollicine (di ogni genere) e rosati, tanti vini francesi, alcuni di importazione diretta. Servizio al (bel) bancone: «è un modo per tenere bassi i prezzi», spiega. Ua quindicina i vini in mescita, a partire da 5 euro a calice, mentre per le bottiglie tra asporto e consumo al tavolo ci sono solo un paio di euro di differenza. Si affianca una proposta da enoteca, semplice e senza pretese: tartare, pane burro alici, croque monsieur (a 7 euro, già un best seller), salmone, insalata con vinaigrette, panzanella (a 4 euro), anche uova sode. Ci si accomoda fuori, oppure nelle sedute interne, e chissà che domani anche il bancone sarà un posto in cui fermarsi a bere. Ma i progetti potrebbero non fermarsi qui. Non è un mistero che il desiderio sia quello di far vivere questi spazi anche al di fuori della somministrazione, in un’idea di spazio privato a uso pubblico che sia godibile da tutti, a ogni ora.
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