Percorrendo in macchina le strade sterrate che costeggiano il litorale meno battuto del Salento, quello selvaggio e ancora intatto, il paesaggio si apre in tutta la sua essenzialità. Davanti agli occhi, da un lato il mare Adriatico, brillante e limpido, e all’orizzonte le montagne dell’Albania; dall’altro, una distesa di terra spoglia e silenziosa, punteggiata solo da muretti a secco, rovi, cespugli di timo e finocchietto selvatico. Un posto che a guardarlo penseresti «non c’è niente», e invece è in questo lembo di terra estrema, sospeso tra il Faro di Punta Palascia e la suggestiva Porto Badisco, che prende vita Torre Sant’Emiliano-Formaggi della Terra d’Otranto, azienda agricola e masseria che ha saputo trasformare l’essenzialità del paesaggio in una forma di eccellenza produttiva, autentica e sostenibile.
La storia della masseria Autigne affonda le radici negli anni Settanta, quando Alberto Negro e sua moglie decidono di acquistare un piccolo appezzamento di terreno. L’inizio è stato modesto: pochi animali e un capannone fatiscente. A raccontarci l’evoluzione di questa realtà imprenditoriale è Daniele Negro, figlio dei fondatori, che nel 1998, dopo gli studi in Economia e Commercio, ha deciso di seguire le orme del padre e di prendere in mano l’azienda familiare, aiutato dal fratello Paolo. «Quando sono tornato nel 2000 e ho iniziato a occuparmi attivamente dell’azienda, i nostri formaggi erano conosciuti solo da chi abitava nei dintorni e veniva direttamente al caseificio. Ma io ci credevo, ero spinto da grande entusiasmo. Così ho iniziato con la mia BMW station wagon, vendendo i formaggi porta a porta nei supermercati di amici della zona. Poi è arrivato il primo furgone, e da lì siamo iniziati a crescere», racconta Daniele. In quegli anni, lui e i suoi operai passavano le Pasquette a sorvegliare, pulendo i sentieri dai rifiuti, ricostruendo muretti a secco, recuperando un paesaggio che è diventato parte integrante del loro lavoro, «Siamo i guardiani del territorio di Sant’Emiliano».
Oggi è una realtà di 550 ettari; qui non esiste la stabulazione fissa, 1.200 pecore (razza Sarda e Lacaune) e 600 capre (razza Saanen e Camosciata delle Alpi), pascolano libere e si nutrono sia dei foraggi coltivati direttamente dall’azienda sia della vegetazione selvaggia e rigogliosa che cresce spontaneamente nelle terre limitrofe alla masseria. «Le nostre pecore e capre pascolano ogni giorno nella gariga salentina, dove possono mangiare erbe come il timo, il rosmarino e il finocchietto selvatico. Questo influisce profondamente sul sapore del latte che producono, rendendo ogni formaggio unico e diverso», spiega Daniele. Ogni mattina, alle quattro, gli operai si alzano per mungere gli animali e poi li conducono al pascolo, lungo il percorso che porta verso l’antica torre di vedetta costiera, che dona il nome all’azienda agricola. «È un lavoro duro, che richiede costanza, forza fisica e, soprattutto, passione».
Il latte trasformato nel caseificio è principalmente ovino e caprino, ma non mancano prodotti a base di latte vaccino, proveniente da un altro allevamento da cui Torre Sant’Emiliano si rifornisce. Tra i prodotti più apprezzati c’è il Don Alberto, un formaggio da tavola misto a pasta semicotta e compatta, la crosta è screpolata e rugosa, dal colore giallo scuro. Con un sapore deciso e avvolgente che restituisce gli aromi intensi della macchia mediterranea. Il Pecorino di Campo si presenta con una crosta liscia, la pasta è bianca tendente al gessato e piuttosto friabile. Ha un gusto più dolce che sprigiona delicate note di erbe di campo e di selvatico. Menzione speciale va alla Ricotta, dal sapore fresco e inconfondibile. Ogni formaggio riflette la diversità della materia prima e la cura con cui viene lavorata. La produzione, in questo senso, è una vera espressione della terra, senza scorciatoie industriali, né standardizzazione del gusto.
A fianco del comparto caseario, Torre Sant’Emiliano ha sviluppato nel tempo anche una piccola ma significativa attività apistica. Da trenta arnie immerse tra la flora spontanea e selvatica della zona, il risultato è Milleapi, un miele millefiori che raccoglie i profumi della macchia mediterranea: cisto, asfodelo, papavero, lavanda, borragine, mirto, alloro, cardo selvatico. Il risultato è un miele dal carattere unico, in cui le note aromatiche sorprendono al palato con un sapore intenso, quasi speziato.
Inoltre, «Da quattro generazioni coltiviamo barbatelle di varietà autoctone come Negroamaro, Primitivo e Nero di Troia, ma anche varietà internazionali e di uva da tavola» spiega Daniele. In ogni attività, il rispetto per la terra è al centro. Selezionano e lavorano manualmente le piante e le barbatelle senza cedere all’industrializzazione forzata del prodotto.
L’azienda ha scelto un approccio profondamente sostenibile, con l’uso di impianti fotovoltaici per l’autoproduzione energetica, irrigazione a goccia per ridurre il consumo idrico e si sta impegnando per inserire dei sistemi di raccolta e recupero delle acque. Le colture seguono la rotazione agricola, per evitare lo sfruttamento intensivo dei terreni e mantenere la fertilità naturale del suolo, senza fare uso di fertilizzanti chimici.
Questa attenzione al dettaglio, alla qualità e alla sostenibilità rende Torre Sant’Emiliano un caso esemplare di agricoltura integrata, dove ogni elemento è pensato per rispettare e valorizzare il territorio della Terra d’Otranto.
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