«I miei genitori cercavano uno stile di vita diverso» fa Matteo Cameli per raccontare la sua storia. Quella di un giovane che si è trovato a crescere a Portico di Romagna, un borgo di neanche 400 anime dove i genitori Marisa Raggi (originaria proprio di lì) e Gianni Cameli, si sono trasferiti salutando una Milano che ancora non era da bere. È il 1975 quando i due arrivano in Romagna, rilevano l’osteria del paese e intanto si guardano intorno con l’idea di aprire anche un piccolo hotel nella campagna vicina; ma una casa in vendita, nel centro storico, attira la loro attenzione al punto da convincerli ad acquistarla, qualche anno dopo.
Quell’edificio dell’800 rappresenta il germe di un modello di ospitalità che nel corso degli anni si svilupperà in modo sempre più articolato. Gli inizi non sono semplici: il progetto è in anticipo sui tempi e non solo per quell’idea di turismo lento che dirotta visitatori in piccolissimi centri recuperando spazi in disuso, ma anche per la convinzione della necessità di una cucina di prossimità. Ai tempi è una stramberia ma i Cameli sono convinti del fatto loro, e in breve cominciano ad allargare la prospettiva: avere stanze e ristorante non basta più, vogliono proporre vacanze culturali ed esperienze che arricchissero non solo gli ospiti ma anche il territorio.
Creano una scuola di italiano per stranieri – con il centro culturale Olmo – e questo spiega anche il fecondo melting pot di questo fazzoletto di terra in provincia di Forlì e Cesena ma quasi in Toscana. Oggi la gestisce Ulla, moglie di Matteo, che dalla Danimarca si è trasferita qui, mentre Massimiliano Cameli – fratello di Matteo – anche lui sposato con una donna danese, ha aperto un Al Vecchio Convento a Odder.
Nel 1994 ristrutturano un altro spazio, la dependance, le camere si moltiplicano ma sono tutte a pochi passi – «siamo diventati un albergo diffuso senza saperlo» dice Matteo. Entreranno nell’associazione una decina di anni dopo, prima struttura dell’Emilia Romagna, e oggi Marisa Raggi è vicepresidente nazionale. In totale oggi contano circa 20 stanze tra casa principale, dependance (arredate con i mobili originali della casa risalenti alla fine del ‘700) e alcuni appartamenti, il prossimo inverno ci saranno altri due appartamenti per altrettante suites adiacenti al giardino interno. Non solo: a breve sarenno indipendenti dal punto di vista del fabbisogno energetico, il fotovoltaico potrà infatti rispondere alle esigenze delle strutture e alla ricarica delle auto elettriche necessaria a chi accoglie turisti anche dal nord Europa.
Un paio di anni fa prendono anche una parte del palazzo di Folco Portinari, padre di quella Beatrice cantata da Dante, ne fanno la sede della scuola di cucina nata qualche anno prima che fino ad allora condivideva gli spazi con il ristorante nella casa padronale. Sì perché in tutto questo l’offerta gastronomica non è rimasta ferma, al contrario.
Matteo – oggi al timone del ristorante – sono più di 30 anni che gravita intorno alle cucine, avendo anche collezionato esperienze in posti come Frantzén di Stoccolma e Noma di Copenaghen. Il pallino per la fermentazione arriva da lì. Lui affina la tecnica, la innesta nella tradizione di questo angolo di Appennino, «mi piacciono le ricette di base della cucina della zona Tosco-Romagna ma mi piace anche vederle da un’altra prospettiva» spiega.
Al primo posto c’è sempre il gusto, anche quando legge in modo nuovo i prodotti locali. I porcini, per esempio, quando ci sono si abbinano a un garum di funghi, mentre le patate alla cenere vanno con orzo fermentato e tartufo, grande protagonista tutto l’anno: la zona ne è ricca e tra le attività proposte dai Cameli c’è anche la ricerca nei boschi in compagnia degli amati lagotti.
La carta è ampia e sonda le potenzialità della cucina del territorio azzardando diversi margini di libertà: «La colonna dorsale sono 4 o 5 piatti che non possiamo togliere dal menu» come il crostino con crema di parmigiano e tartufo nero o il filetto di manzo croccante con tartufo nero. Poi ci sono diversi degustazione (6 portate a 60 euro) che variano in base alla materia prima: «se trovo gli stridoli o le morchielle li uso, così l’agnello se ne porta uno buono il contadino». Miso, garum, koji sono elementi che rinvigoriscono i sapori tradizionali imprimendo un’accelerata nel gusto.
Il tutto compone un organismo sempre più armonico in cui le tessere si incastrano alla perfezione: la tartufaia e la scuola di cucina, le stanze e la scuola di italiano e poi la biblioteca dei libri liberi: «mia madre è una grande amante della lettura, a un certo punto ha riaperto una bottega del centro e l’ha adibita a spazio libri in cui ognuno prende o lascia quel che vuole», lì alcuni volontari fanno ordine ogni mattina, ma per il resto c’è una sana autogestione. Attualmente sono una decina le persone impiegate al Vecchio Convento che è prima di tutto, un progetto di rivitalizzazione del borgo. «In paese c’è un chiosco di piadine, due bar, un negozio di ceramica che lavorano quasi esclusivamente con i nostro clienti». Molti sono quelli di ritorno, che si innamorano di questa vita lenta ma anche di un’idea di turismo colto, rilassato, rispettoso che offre tante iniziative tutto l’anno, come quando, in pieno luglio, arrivano in paese cuochi da mezzo modo per Chef Sotto il Portico, appuntamento che anima i vicoli del borgo.
Al Vecchio Convento – Portico di Romagna (FC) – via Roma, 7 – 0543 967053 – 347 3719260 – https://www.vecchioconvento.it
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