Il mio lavoro รจ un paradosso. Inappetente fino all’etร di 10 anni, oggi degusto decine di prodotti a botta: oltre 70 tipologie di tรจ, 65 mozzarelle, 54 salumi, oltre 60 acque minerali, quasi 50 torroni… Lโeducazione al gusto รจ cominciata non attraverso mia madre, Marina, ma tramite zia Filippa, la sorella di papร , che รจ stata la mia tata fino alle elementari e che cucinava divinamente: i suoi piatti erano una preghiera. Ho ancora il ricordo dei profumi delle cose buone che preparava e che oggi ricerco nelle mie maratone degustative. Ma questa รจ unโaltra storia.
Mia madre, del 1922, dal Dopoguerra ha sempre lavorato fino agli anni Settanta. Era lavoratrice, madre, moglie. Un poโ tante cose, troppe in unโepoca โ erano gli anni โ60 โ in cui molte case non avevano ancora la lavatrice (i panni si lavavano nelle fontane condominiali), il frigorifero, la lavastoviglie, la scopa elettrica, lo scaldabagno. Lavorava tutto il giorno fuori casa e la sera aveva giusto il tempo di mettere insieme qualcosa per cena, una cena semplice che nutrisse. Una stakanovista come lei non aveva tempo di stare ore ai fornelli a spadellare. Nรฉ ci sarebbe stata avendone il tempo, preferiva piuttosto dipingere, costruire una cornice, restaurare un mobile, cambiare la carta da parati. Fare una lasagna con tutti i crismi o un pan di Spagna non era in cima ai suoi pensieri.
Mamma dopo il โ45
Perรฒ sapeva fare un piatto, uno solo, e lo faceva benissimo: i carciofi alla romana. I suoi carciofi dicevano molto del suo carattere. La ricordo ancora con lโespressione concentrata, la stessa che aveva quando lavorava (anche a casa il fine settimana) davanti al tavolo luminoso, dando il colore ai cartelloni pubblicitari dei film dellโepoca: Chi ha paura di Virginia Woolf e Cleopatra con Elizabeth Taylor e Richard Burton, i western con John Wayne e Yul Brynner…
Ricordo la fronte tesa, le mani forti e veloci che girano e rigirano i carciofi, prima togliendo le foglie piรน grandi e coriacee alla base, poi tornendoli intorno con un coltello affilato che ogni tanto arrotava con una cote, fino a trasformarli in cuori di carciofo. Li salava allโesterno, li condiva allargando al centro i fiori capati e introducendo nel cuore un trito di prezzemolo, aglio e mentuccia, poi li metteva in una pentola a pressione che non funzionava piรน a pressione ma come semplice tegame. Un bel giro dโolio, niente acqua, che eventualmente aggiungeva in cottura se ce nโera bisogno, coperchio aderente alla pentola e si partiva con la cottura a fuoco basso, rosolandoli fino a che non diventavano quasi ambrati. I suoi carciofi erano come lei: rustici, saporiti e con un sottofondo deliziosamente dolce.
Da sinistra: mamma, io, mia sorella Laura e un amico di papร
Li preparava da dicembre fino ad aprile/inizio maggio. Non mancavano mai in pranzi e cene delle feste di fine anno, a Pasqua, 25 aprile e primo maggio. Era un rito, un piatto che la famiglia riunita โ nei giorni di festa con nonna Valeria e allargata a zii e nipoti โ si aspettava. Una montagna di carciofi, cotti nella pentola a pressione โsfiatataโ e in altri tegami, che occupavano tutti e quattro i fuochi.
Dei carciofi alla romana ho ereditato lโexpertice, la dedizione, la tradizione di famiglia, il rito. Un passaggio del testimone che mi sono presa volentieri. Li faccio a Natale, Pasqua e spesso per reunion di parenti stretti e amici tra inverno e inizio primavera. Li tornisco a dovere trasformandoli in rustici ranuncoli verdi e muscolosi: fondamentale il coltello spelucchino ben affilato.
A differenza di mia madre, indosso i guanti per non annerire le mani, non cerco il risparmio ma la qualitร del carciofo: solo e unicamente quelli romaneschi, grandi, โa pallaโ e con le foglie carnose, che noi romani chiamiamo mammole, i napoletani mammarelle, ma che sono lo stesso delizioso ortaggio (per la cronaca, entrambi Ipg: Carciofo Romanesco del Lazio e Carciofo di Paestum). Altrimenti desisto, come diceva Totรฒ. Li scelgo freschi ancora chiusi a bocciolo e turgidi al tatto. Lโaglio, invece di tritarlo, lo metto intero nel ciuffo di erbe sminuzzate al centro del carciofo, nel caso a qualcuno non piacesse. Anche lโolio non รจ scelto a caso: un extravergine fruttato medio, non troppo amaro e piccante, e ovviamente privo di difetti.
I carciofi li preparo in tanti altri modi: crudi in insalata, assoluti o con la bottarga; cotti a spicchi con le seppie o con le patate; lโamata vignarola, con piselli, fave e cipollotto; cotti in forno interi con mollica di pane, aglio, prezzemolo e acciuga tritati, con un dito dโacqua nel grande tegame, da mangiare sfogliandoli in bocca; tagliati in grandi spicchi, scottati in acqua e aceto pochi minuti e conditi con olio evo, sale, pepe e uno spicchio dโaglio. Ma il mio cavallo di battaglia sono i carciofi alla romana, cotti nella โsfiatataโ e indistruttibile pentola di mamma, ereditata anche quella, che custodisco come un gioiello di famiglia.
Nella foto di apertura: in basso da sinistra io, mamma e mia sorella Laura; in alto da sinistra zia Filippa, zia Grazia, nonna Rosa, la cugina Rosettaย ย
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