Capita spesso che sul grande schermo il cibo sia metafora, suggestione, contesto. Piรน raro che diventi protagonista assoluto. ร successo con La quinta stagione, docufilm di Giuseppe Carrieri scritto da Paola Valeria Jovinelli per Identitร Golose e presentato alle Giornate degli Autori dell’82a Mostra del Cinema di Venezia. Sullo schermo sfilano paesaggi, piatti, natura e poesia grazie alle cinque protagonista che cucinano, pensano, decidono. Le cinque cheffeย non interpretano sรฉ stesse: semplicemente sono. Ed รจ in questa autenticitร che il docufilm trova la sua forza. La voce narrante di Isabella Ragonese in testa e in coda, guiada lo spettatore in un viaggio che non รจ celebrazione ma racconto intimo, fatto di gesti quotidiani e scelte radicali. La cucina, qui, diventa lente d’ingrandimento su un tema che attraversa il settore gastronomico italiano: la visibilitร e il ruolo delle donne in un ambiente ancora fortemente maschile.
Presentato a Venezia, La quinta stagione porta il racconto della cucina d’autore fuori dalle sale da pranzo e dai manuali di critica gastronomica, per collocarlo in uno spazio narrativo e poetico. Non celebra l’eroismo individuale, ma la forte delicatezza condivisa, il coraggio di fare scelte fuori asse, l’urgenza di cercare un linguaggio personale.
Ciascuna delle protagoniste รจ raccontata attraverso la stagione che meglio la rappresenta, con un tempo interiore e un paesaggio che la definiscono.
Caterina Ceraudo, con i suoi fiori eduli, l’orto insieme al papร e una stella Michelin al Dattilo di Strongoli, narra la primavera. Il suo legame con la Calabria รจ simbiotico: lavora nella tenuta agricola di famiglia, respira la terra, dialoga con la natura. I suoi piatti sono semi che germogliano, promesse di futuro.
Martina Caruso, chef del Signum a Salina, con la componente marina, salata e frizzante, incarna l’estate. Solare, diretta, con l’isola e il pescato come centro e orizzonte. Trasforma la lontananza geografica in magnete culturale: quello che sembra periferico diventa, attraverso la sua cucina, epicentro di relazioni.
Valeria Piccini, due stelle Michelin al Da Caino di Montemerano, con la sua profonda conoscenza e passione per le carni, รจ l’autunno. La sua cucina affonda nelle radici contadine toscane, in gesti antichi che diventano contemporanei senza perdere gravitร . ร l’ereditร trasformata in atto presente.
Antonia Klugmann, una stella Michelin a L’Argine a Vencรฒ, con l’amaro, il bruciato e il materico, rappresenta l’inverno, ma un inverno fertile, riflessivo. Lavora in un luogo di confine e ne fa materia di pensiero: il bosco, i campi, il tempo che passa. Nei suoi piatti si sente il silenzio che precede la rinascita.
A chiudere in quintetto, Cristina Bowerman, una stella Michelin a Glass Hostaria di Roma, รจ la quinta stagione: difficile da definire, sospesa, plurale. Soprattutto libera dalle costrizioni di stagionalitร , km0 e gastrosnobismo. Nel cuore di Trastevere, ha costruito una cucina che รจ attraversamento: multiculturale, aperta, cosmopolita. Una figura e un’espressione culinaria che simboleggia la trasformazione, il movimento, la possibilitร di un tempo “altro”.
La quinta stagione non รจ un manifesto femminista, ma inevitabilmente apre la riflessione: perchรฉ la presenza femminile nelle cucine stellate รจ ancora cosรฌ ridotta? In Italia, su circa 380 ristoranti premiati dalla Michelin, solo una quarantina hanno una donna al comando. Poche se non inesistenti le capopartita, le commis, le sauciรจres, che per via della gavetta arriverebbero al ruolo di cheffa โpremiabileโ. Le cause non sono piรน gli orari estenuanti, gli equilibrismi della conciliazione familiare, bensรฌ i retaggi culturali che vedono ancora la figura del cuoco uomo come depositario dellโautorevolezza.
Le cinque cheffe del documentario sono eccezioni, ma non dovrebbero esserlo. Hanno costruito la loro identitร in spazi non sempre predisposti ad accoglierle: nei campi calabresi di Strongoli, nei sentieri affacciati al mare di Salina, nei borghi medievali della Maremma, al confine friulano, nello strombazzare trasteverino. Ogni luogo ha imposto loro un confronto con la propria individualitร e, insieme, ha offerto una forza che diventa linguaggio.
Ciรฒ che le unisce non รจ soltanto il talento, ma la capacitร di trasformare il vincolo in possibilitร . Dove lo spazio sembra limitato, loro aprono una prospettiva. Dove la tradizione pare immutabile, loro trovano la crepa per inserire un nuovo seme. ร in questa capacitร di mediazione, di resistenza e di invenzione che si intravede il senso della โquinta stagioneโ: un tempo che non esiste nei calendari, ma che diventa reale perchรฉ qualcuno lo abita.a
Sul finale dei cinque ritratti e racconti, le cinque protagoniste sedute attorno al tavolo di Identitร Golose a Milano, offrono possibilitร . La loro cucina oltre la tecnica e la creativitร รจ memoria, paesaggio, identitร . Un modo di stare al mondo. Forse รจ questa la lezione piรน forte del docufilm: la vera “quinta stagione” รจ il tempo che ciascuna si prende per coltivare il proprio racconto, in cucina come nella vita.
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