“Un vegetale armato, vestito da guerriero, tenero di cuore e di polpa pacifica”. Il poeta Pablo Neruda descriveva così il carciofo, il famoso ortaggio dalle proprietà terapeutiche e digestive. Non solo poesia. Tocca al mito e alle sue affascinanti storie consegnarci la storia della ninfa Cinara, della quale Giove si era perdutamente innamorato. Esasperato dagli attacchi di gelosia, il sommo Giove la tramutò in carciofo. Né un tubero, né un frutto, né una radice, il carciofo, all’anagrafe Cynara Scolymus, è un fiore ancora in boccio, parente del cardo. Secondo l’Atlante dei prodotti agroalimentari siciliani, l’ultimo libro di Mario liberto, giornalista e storico della cultura gastronomica siciliana, «il carciofo fece la sua comparsa sulle tavole dei faraoni d’Egitto e fu introdotto successivamente in Europa dai Greci. Originario della regione mediterranea, la sua coltivazione si diffuse in Europa grazie agli italiani nel XV secolo. Nel Rinascimento, Caterina de’ Medici contribuì a diffonderlo in Europa con le sue innovazioni culinarie. Ma furono gli Arabi a scoprirlo in Sicilia e a chiamarlo “karshuf”, nome moderno che viene proprio dalla lingua araba».
La Sicilia e le capitali del carciofo autoctono
Dei due milioni di tonnellate di carciofi prodotti al mondo, circa il 60% proviene dall’area mediterranea, in particolare da Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia.
Ed è proprio in Sicilia dove, grazie alle particolari condizioni pedoclimatiche, il carciofo trova il suo habitat naturale. L’ isola è infatti il primo produttore in Italia con i suoi 13 mila ettari di terreno di coltivazioni di carciofo a fine commerciale, senza contare gli orti di famiglia. La varietà autoctona siciliana più famosa è il “Carciofo Catanese” o “Violetto”: senza spine, con foglie verdi che sfumano in cima sul violetto e di forma ovoidale. È un carciofo precoce e rifiorente che garantisce altissime rese produttive anche se lotta per la sua sopravvivenza, minacciato da altre tipologie non autoctone. Diverse le varietà della famiglia del “Violetto”, con tipicità uniche e legate ai vari territori dell’isola, spinosi o inermi. Tanto da eleggere “capitali del carciofo siciliano” ben quattro località: Menfi, Cerda, Niscemi, Ramacca.
A Menfi, nell’agrigentino, oltre 600 ettari sono destinati alla coltivazione del carciofo. L’ecotipo storico, lo “Spinoso di Menfi” resiste ma soffre la competizione con gli ibridi. Amato dagli chef, ma non solo, è apprezzato per le sue grandi spine dorate che si contrappongono alla sua base verde e al violetto in cima. Conosciuto già sin dall’Ottocento, si raccoglie da gennaio fino a maggio, e richiede meno acqua rispetto alle altre tipologie. Aromatico, croccante, delicato, il carciofo spinoso di Menfi, presidio Slow Food, è molto ricco di lignina e per questo è adatto per la cottura alla brace ma anche per la produzione di sottoli, caponate e paté. Angelo Pumilia, lo chef del ristorante La Foresteria Wine resort di Planeta, adagiata tra i vigneti di Menfi, rende omaggio al carciofo di Menfi nel menù “Primavera”, dove primeggiano i ravioli di carciofi e la crostata di carciofi.
Forme arrotondate, sfumature rosso-violacee, un’ottima resistenza nel mantenimento del gusto e della freschezza. È l’identikit del carciofo spinoso di Cerda, borgo delle basse Madonie, in provincia di Palermo. L’ortaggio verde non è solo parte dell’identità del territorio ma è fonte economica: è coltivato da circa duecento produttori su 700 ettari, per un fatturato superiore ai 20 milioni. Simbolo della vocazione agricola della città è il monumento di sette metri dedicato al carciofo, che troneggia davanti alla Chiesa Madre, oltre al Cynara Festival, giunto quest’anno alla 43esima edizione, dal 24 al 27 Aprile. Rende omaggio al carciofo di Cerda anche Toti Fiduccia del Cortile Pepe, ristorante di Cefalù. In menù, lo chef Vincenzo Sansone prepara il carciofo al carbone con crema di gambi, latte di mandorla, uva passa e dashi di foglie.
Altro simbolo della resistenza è il carciofo di Niscemi, ecotipo autoctono e presidio slow food. Nell’omonima cittadina in provincia di Caltanissetta, i produttori del comprensorio realizzano oltre la metà della produzione siciliana coltivando varietà non locali come il violetto di Provenza e il romanesco. Pochi i produttori che coltivano la varietà storica e locale, considerata a fortissimo rischio di scomparsa.
Inerme, ovvero senza spine, il carciofo di Niscemi, ribattezzato “il nostrale”, anticamente detto vagghiàrdu (il gagliardo). Dal gusto delicato, aromatico e persistente, la stagione della raccolta si protrae fino alla fine di Aprile. E insieme alla varietà, resiste anche la ricetta contadina del carciofo alla brace, apprezzata anche dallo chef Luca Assiso del ristorante Il Palmento di Feudi del Pisciotto di Niscemi che ha realizzato il carciofo alla brace con mousse di pane alla siciliana su vellutata di porro e patate.
Storia e cultura contadina fanno del “violetto Ramacchese”, la più famosa qualità di carciofo che viene coltivata da secoli nelle campagne di Ramacca, in provincia di Catania. Oltre all’elevata produttività, alla vigorosità della pianta, il carciofo di Ramacca è apprezzato per l’alto contenuto di fibre e il gusto equilibrato tra la dolcezza e l’amarezza.
Oltre alle sue indiscusse proprietà benefiche e nutrizionali – ricco di fibre, vitamine e minerali, con un ruolo protettivo nei confronti del fegato- il carciofo mostra grande versatilità in cucina, anche se dà del filo da torcere ai sommelier per il difficile abbinamento a causa dell’alto contenuto di ferro che altera le sensazioni del vino al palato.
A tirare fuori il ricettario del carciofo siciliano è Mario Liberto, sottolineando l’origine contadine delle ricette: «Dal carciofo arrostito sulla brace con olio di oliva, sale e pepe simbolo del menù casalingo e in campagna, ai carciofi tagliati e ripieni di mollica, formaggio pecorino, aglio, passolina, pinoli, sale e pepe e cotti a fiamma dolce (ammuttunati o viddanedda)- commenta Liberto – alla frittella agrigentina con fave verdi, piselli e cipollina detta pitaggio. Infine, ai cuori di carciofo tagliati a fettine, ricoperti con uovo sbattuto e farina, fritte in olio di oliva. Da ricordare ancora i carciofini sott’olio che non mancano mai nelle dispense siciliane (vengono offerti come antipasto o come contorno dei secondi piatti o anche messi nell’insalata)».
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