Se nella cucina occidentale l’impiantamento è il momento finale di una preparazione, nel bento giapponese il contenitore diventa parte integrante del progetto sin dall’inizio. Il cuoco deve pensare in funzione dello spazio, della modularità, della conservabilità dei sapori e dei contrasti visivi. In questo senso, si può dire che il bento sia una forma di cucina dove la sfida non è solo il gusto ma anche l’organizzazione e la composizione artistica.
Un bento presenta le quattro categorie di alimenti: può seguire la regola 4:2:2 (4 parti di carboidrati, 2 parti di proteine, 2 parti di verdure/frutta) o 3:2:1 (3 parti di carboidrati, 2 parti di proteine, 1 parte di verdure/frutta). Inoltre, pensare al colore aiuta a creare non solo un pasto ben bilanciato, ma anche visivamente attraente.
Ecco alcuni esempi di alimenti per categoria di colore:
• Bianco: riso, patate, daikon, tofu, noodles, pasta, germogli di soia, pane
• Nero/marrone: funghi shiitake, alghe (wakame, hijiki, nori), radice di bardana, mirtilli
• Verde: lattuga, broccoli, fagiolini, edamame, verdure a foglia verde, piselli, zucchine, asparagi, kiwi
• Rosso: pomodoro, peperone rosso, fragole, mele, uva, lamponi, salsicce, prosciutto, bacon, umeboshi
• Giallo/arancione: uovo, mais, carota, patata dolce, zucca, melone
La disposizione degli alimenti all’interno della scatola è fondamentale: si utilizzano divisori per separare i cibi e si presta attenzione ai contrasti cromatici per rendere il pasto più appetitoso. La scatola che ospita il bento si chiama jubako. Significa letteralmente scatola a più ripiani o scatole impilate, a indicare la struttura modulare e sovrapponibile tipica di questi contenitori.
Esistono diverse tipologie di bento, ognuna con caratteristiche specifiche. Ecco le più particolari:
Prende il nome dalla bandiera giapponese, caratterizzata da un cerchio rosso su sfondo bianco. Questo bento ha una composizione estremamente semplice: riso bianco con una prugna umeboshi (rossa e dal gusto acidulo) al centro. È una rappresentazione visiva essenziale e simbolica del Giappone.
Tradotto letteralmente in: bento della moglie amata. Viene preparato come pranzo per il partner. È un gesto d’amore, affetto e cura, e può contenere cibi preferiti, messaggi scritti su tovagliolini, o decorazioni che mostrano attenzione. Nell’immaginario giapponese, ricevere un aisai bento è considerato un segno di un matrimonio felice e affettuoso. Anche se oggi le dinamiche familiari stanno cambiando, l’aisai bento resta un simbolo culturale forte, spesso idealizzato in manga, anime e nelle serie tv.
Nel Character bento il cibo viene modellato per rappresentare personaggi di anime, manga, videogiochi o animali, in modo adorabile e colorato. È molto popolare tra i giovani, ma anche tra adulti appassionati di food design. Oltre a essere esteticamente accattivante, il kyaraben è pensato per invogliare i bambini a mangiare tutto, anche le verdure, grazie all’aspetto giocoso. È una vera forma d’arte, molto condivisa sui social, che richiede precisione e creatività. Si usano stampi, formine, tagliapasta e coloranti naturali per ottenere il risultato desiderato.
Il termine significa bento disegnato. È una variante creativa in cui gli ingredienti vengono disposti per formare immagini, motivi o scene artistiche, come se il cibo fosse una tela. A differenza del kyaraben, che si concentra sui personaggi, l’oekakiben punta su composizioni più astratte o illustrative: fiori, paesaggi, animali stilizzati. Richiede grande precisione estetica e attenzione al colore. È molto apprezzato per eventi speciali e fiere scolastiche.
Il termine nasce dall’unione di eki (stazione) e bento. È un bento da viaggio, venduto nei konbini vicino le stazioni ferroviarie o a bordo dei treni, in particolare degli shinkansen (treni ad alta velocità). Ogni ekiben è tipico della regione in cui viene venduto: mette in risalto i prodotti locali e le specialità culinarie del territorio. Alcuni sono veri e propri souvenir gastronomici anche economici, 500-1500 yen (circa 3-10 euro). Mangiare un ekiben durante un viaggio è un rituale amatissimo dai giapponesi e dai turisti. Alcuni esempi famosi sono quelli a base di manzo di Kobe, di granchio dell’Hokkaido o di anguilla dell’Hamamatsu.
Shikaeshi significa vendetta o ripicca. Questo tipo di bento viene preparato in segno di dispetto o frustrazione, spesso all’interno di dinamiche di coppia. Nella forma più comica o estrema, può includere cibi dall’aspetto poco appetitoso, quantità eccessive di aglio, riso troppo salato, ingredienti sgradevoli o presentazioni grottesche. In alcuni casi è diventato una sorta di fenomeno virale: viene condiviso online come scherzo o critica velata tra partner.
Koraku significa gita, svago, escursione. Questo bento viene preparato per occasioni all’aria aperta, come picnic, gite scolastiche, hanami (cerimonia che celebra la bellezza fugace dei fiori di ciliegio), festival stagionali o eventi familiari. Di solito contiene porzioni più abbondanti e una maggiore varietà di cibi, spesso disposti in contenitori multipli o in grandi scatole da condividere. È un bento conviviale, pensato per la condivisione.
Il kamameshi è un piatto tradizionale giapponese di riso cotto in una pentola di ferro (kama) con brodo, salsa di soia, verdure, carne o pesce. Viene venduto in contenitori di ceramica monoporzione che imitano la tradizionale kama. È un tipo di ekiben molto apprezzato, in cui il riso assorbe i sapori degli ingredienti con cui è cotto. Alcune versioni più curate prevedono che il contenitore si possa riscaldare tirando una linguetta, per offrire al viaggiatore un pasto caldo anche lontano da casa.
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