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Pasticceria

Lingua di Procida, il dolce a base di limoni che si fa solo sull'isola più piccola del Golfo di Napoli

Si può gustare solo sull'isola più piccola del Golfo di Napoli: la lingua di Procida è l'amatissimo dolce a base di limoni locali

  • 23 Maggio, 2025

Ci vogliono 300 grammi di tuorlo d’uovo, 200 di zucchero, 80 di farina e un litro di latte per fare una buona crema al limone, senza dimenticare la sua buccia e una bacca di vaniglia. È da qui che si inizia per preparare la lingua di Procida, friabile pasta sfoglia tirata a mano e cotta al forno, che sigilla al suo interno tutto il profumo dell’agrume principe dell’isola, mentre in superficie, la fa da padrona una fitta granella di zucchero. Un dolce quasi sconosciuto, ma di cui ci si innamora già solo al primo assaggio. Certo, per conoscerlo bisogna essere stati sull’isola “di Arturo” – ma anche dei limoni – dove la tradizione vuole che si mangi rigorosamente a colazione. In tanti la chiamano anche lingua di bue o di suocera forse per quel dolce amaro che rilascia la crema sul suo finale.

I limoni di denominazione comunale utilizzati dal bar Roma

Primo assaggio dietro alla Chiesa dei marinai

Qui, sull’isola di Arturo, che ispirò Elsa Morante nel suo omonimo libro, la mangiano tutti, viandanti, marinai e viaggiatori di passaggio che, appena sbarcati al porto di Marina Grande, si affrettano a fare colazione al bar Roma con una lingua appena sfornata. La prima tappa, infatti, è proprio lì, tra quei tavolini nascosti dietro l’antica Chiesa dei marinai, sui quali, facendosi ispirare dalla bellezza dell’isola, hanno preso appunti scrittori come Elsa Morante, Alberto Moravia e Giuseppe Marotta. «Prima si chiamava ‘O cafè re barone», racconta Ignazio Righi attuale proprietario, che di quelle mura ha acquisito non solo la proprietà ma anche la ricetta della lingua che proprio qui nacque: «Fu inventata da un pasticciere siciliano e rivisitata nel 1950 dal napoletano Pasquale Mazziotti che lasciò la terra ferma per trasferirsi sull’isola».

La chiesa dei marinai a Marina Grande in una cartolina d’epoca presa dai social del Bar Roma

Ignazio, della sua isola sa tutto, qui c’è nato, «da bambino mi svegliavo con questo profumo» coi primi risparmi che mette da parte proprio lavorando nel laboratorio di Mazziotti «per diversi anni, poi, sono stato un ufficiale di marina, ma sono tornato e alla fine ho comprato queste mura».
Il suo bar al mattino è sempre pieno, non c’è bisogno di aspettare l’estate «a stagione come si dice qui», le serrande sono sempre aperte anche d’inverno, «viviamo l’isola tutto l’anno» grazie a quella terra vulcanica che riesce ad essere fertile quanto basta per i suoi diecimila abitanti.
«Per fare una buona crema al limone – spiega Ignazio – è fondamentale far bollire solo la buccia di limone con il latte per poi toglierla e proseguire con l’aggiunta degli altri ingredienti». È un “maestro artigiano“,  titolo che gli è stato insignito dall’Amministrazione Comunale e che lui porta avanti con orgoglio e serietà. Ogni giorno, infatti, è lì nel suo laboratorio a preparare, con le stesse dosi e movenze, quell’antica ricetta che gli fu lasciata in eredità da Mazziotti. «A partire dai limoni: noi usiamo solo quelli  a marchio De.Co.», denominazione comunale che assicura la tracciabilità di agrumi coltivati solo sull’isola.

La lingua di Procida del bar Dal Cavaliere

La contesa del primato

Ma il primato su quale sia la lingua di Procida più buona Ignazio se lo contende con il bar Dal Cavaliere «il segreto sono sempre i limoni» dice Bruno, uno dei tre soci dell’attuale gestione. Sempre i limoni, che qui a Procida non mancano mai, nascosti tra i muri alti di tufo: si intravedono nei “giardini di casa” di ogni procidano, protetti dalle brezze marine e dalla salsedine. «Rilasciano un profumo molto dolce, per questo la buccia in fase di preparazione della crema è fondamentale», spiega Bruno. Lui è giovane, la storia del Cavaliere l’ha appresa dai racconti degli anziani: «In origine era una trattoria, poi negli anni Cinquanta si trasformò in un laboratorio di pasticceria. All’inizio ci misero le mani in pasta molti pasticceri, Mazziotti compreso».

La “scoperta” del profumo dei limoni

«In origine si faceva con la crema pasticcera», racconta sempre Bruno. Poi quell’odore di limoni che dava il ritmo all’atmopsfera dell’isola ha preso il sopravvento: così la lingua di Procida divenne il dolce che è oggi. Quel profumo fa parte della memoria dell’isola e degli isolani che lo cercano. Nasce così, come un’insalata di limoni alla lingua di bue: un profumo così indelebile da imprimere un’identità insulare in ogni sua preparazione. «Ogni giorno facciamo almeno una decina di infornate», racconta ancora Bruno. Ed è particolare il fatto che sulla più piccola delle isole del golfo di Napoli, alta poco meno di 100 metri e grande poco più di 4 chilometri quadrati (a voler includere anche il vicino isolotto di Vivara) le sfornate non bastino mai. Così, passando nel intrigata rete di viuzze e saliscendi che caratterizzano l’isola, non c’è bar, supermercato o forno che non abbia la sua versione oggi rivisitata anche al cioccolato e con crema pasticcera. E dalle case il profumo del dolce più amato fuoriesce dalle finestre aperte delle cucine.

Monia e Leonardo di Panâme

Tra lingue e malelingue

A camminare a testa in su tra le case a grappolo e i muri vibranti di colore, ci si fa facilmente distrarre dal richiamo che proviene dal laboratorio a vista di Monia e Leonardo. È Panâme un piccolo forno nato l’anno scorso che in poco è subito passato da due a quindici dipendenti. «Dopo una lunga esperienza in Francia come executive chef, io e il mio compagno Leonardo abbiamo deciso di ripartire dall’isola dove sono nata», racconta Monia. Così il bancone si riempie di pain au chocolat e suisse, di “pane del porto” con semi al limone e di tarte al limone, passando, immancabilmente, per la lingua di Procida.
Due le versioni proposte, la classica e poi il suo alter ego, la malalingua: «Un gioco di parole fatto di una pasta sfoglia di cioccolato con all’interno una crema agrumata leggermente piccante», sorride Monia. Una dolcezza a metà strada tra confettura e mostarda. «Siamo per lo zero waste, evitiamo qualsiasi spreco e utilizziamo solo limoni dell’isola»: così da dicembre ad aprile si usa il limone antico procidano, dalle dimensioni gigantesche e con una spessa buccia al suo interno; «ma sull’isola ci sono anche alte varietà che danno frutti tutto l’anno, così da avere limoni per ogni stagione».

Per passare in rassegna tutti i bar e le pasticcerie dell’isola non ci vuole tanto e faticando un po’, su e giù per le tante scalinatelle, ci si riesce senza fretta. In fondo Procida è l’isola della lentezza, l’elogio del semplice e del respiro naturale, quindi sedetevi, accomodatevi e se magari c’è da attendere la prossima sfornata di lingue, va bene, aspettate pure.

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