Due fratelli, un maneggio, la crisi causata dalla pandemia da Covid e un sogno che diventa un’opportunità: dai cavalli alle capre ecco I Pastori del Roero. Siamo in Piemonte, provincia di Cuneo, in quel lembo di colline a nord del fiume Tanaro dove la vite convive col nocciolo, la castagna e i frutteti di pere Madernassa in un paesaggio un po’ spettinato, tra boschi e crinali di roccia nuda, le Rocche del Roero; colline diverse dalle vicine Langhe dove il nebbiolo regna sovrano disegnando in “monopolio” uno scenario molto ordinato di filari e filari d’uva.
I fratelli Pertusio: da sx, Roberto e Paolo, i Pastori del Roero
Roberto e Paolo Pertusio sono i Pastori, gli unici nel Roero, due fratelli affiatati capaci di voltare pagina partendo dalla terra, “abbandonando” i cavalli per dedicarsi a tempo pieno alla pastorizia e alla produzione – di nicchia e qualità – di formaggi artigianali. I primi segnali della nuova passione si erano visti già nel 2015, ma all’epoca era più che altro un divertimento: «Facevamo qualche formaggetta, delle robiole tipiche piemontesi, ma non pensavamo di farne un’attività imprenditoriale», racconta Paolo.
Poi arriva il difficile periodo pandemico, il maneggio chiude e i Pertusio Bros decidono di reinventarsi e seguire il nuovo corso. Oggi, con una squadra di 80 capre tra meticce e camosciate delle Alpi, al pascolo semi-brado, fanno formaggi unici, ogni giorno diversi nelle più sottili sfumature, perché quando il prodotto non segue un processo standard il sapore racchiude tutte le possibilità offerte dal pascolo, dal clima e dal terroir. Un combinato perfetto, che nel loro caso attinge anche al presidio Slow Food dei Prati Stabili, una pratica agricola che privilegia la conservazione e la biodiversità del suolo, in antitesi alla monocoltura intensiva.
Capre camosciate delle Alpi e meticce al pascolo
I Pertusio sono tra i principali sostenitori di questa filosofia: «Non si ara, non si semina e non si usano trattamenti chimici.» – sottolinea Paolo – «Rispettiamo invece i ritmi della natura, alternando falciatura, concimazione naturale e pascolo». Le capre si cibano all’aperto per gran parte dell’anno, nutrendosi di erbe spontanee, castagne e ghiande in boschi di castagneti e roveri, un regime alimentare naturale che trasmette ai formaggi un carattere sempre diverso: «Produciamo 30-40 robiole al giorno, tutte influenzate dal pascolo: sono il latte, il territorio e l’alimentazione a stabilire quale formaggio dobbiamo fare», puntualizza Pertusio.
La robiola artigianale dei Pastori del Roero
Dalle classiche tumin alla particolare roùnsa – sorta di cacioricotta che richiama i rovi da cui si nutrono gli animali – ogni formaggio è frutto di attento lavoro e ingredienti semplici: latte, caglio vegetale e sale. Da qualche tempo, poi, hanno anche aperto al turismo, accogliendo curiosi e visitatori per piccole esperienze tra pascolo e degustazione: passeggiate nei boschi e assaggi nei ciabot, quei casotti rurali che punteggiano il paesaggio agrario delle colline piemontesi. Non mancano le dimostrazioni di mungitura e caseificazione. Il pubblico? In gran parte stranieri, a volte cercatori di “folclore”; comunque un’occasione in più per monetizzare e riportare i riflettori sulla terra e su mestieri che rischiano di sparire. Qualcuno per fortuna non demorde, anzi li riscopre.
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