Stephen Starr è diventato uno dei patron di maggior successo degli Stati Uniti, replicando il suo tocco da Re Mida in locali come Pastis e Osteria Mozza. Un businessman che è stato capace di trasformare locali in esperienze, chef in star, e piatti in calamite. Con decine di insegne in varie città della East Coast e un fatturato annuale di 400 milioni di dollari, Starr ha ridefinito le regole del ristorante come fenomeno culturale. Ma dietro lo sfarzo e la spettacolarità c’è una strategia studiata a tavolino, grande attenzione ai dettagli e un’ossessione per il controllo spesso portata all’eccesso.
Stephen Starr, classe 1957, comincia la carriera nel mondo dell’intrattenimento: gestisce nightclub e organizza concerti prima di approdare all’universo della ristorazione con l’apertura, nel 1995, del Continental Restaurant & Martini Bar a Philadelphia, intuendo in anticipo la travolgente tendenza del Martini cocktail. Il suo marchio di fabbrica è presto definito: ogni elemento del locale – musica, illuminazione, temperatura – deve fare parte dell’esperienza gastronomica.
Da lì Starr costruisce Starr Restaurants, gruppo multiconcetto che oggi conta 43 ristoranti in 6 grandi città come New York, Washington, Miami, Philadelphia e, recentemente, anche Nashville. Nove di questi hanno il maggior fatturato del Paese: Parc a Philadelphia e Pastis a New York da soli hanno incassato quasi 100 milioni di dollari nel 2024. E altri ancora, sempre in numero crescente, sono in fase di apertura.
Insegne come Morimoto, Buddakan e Le Coucou diventano in breve tempo ambasciatori del suo modello, proiettando il brand in territori nuovi: Starr non cerca solo chef eccellenti, li “acquisisce”, li supporta, li porta “in tour” come rockstar. Con The Clocktower a New York Starr entra nell’olimpo della rossa Michelin: il ristorante ottiene la stella nel 2018. Allo stesso tempo non disdegna la ristrutturazione di brand leggendari. Acquisisce Babbo, il famoso ristorante italiano fondato da Mario Batali, con l’intenzione di rilanciarlo mettendo al timone il pupillo di Batali, lo chef Mark Ladner. Fra i suoi progetti più recenti figurano l’ampliamento di Osteria Mozza a Washington, D.C., e la trasformazione del The Occidental, storico locale vicino alla Casa Bianca, in un ristorante di rilievo. Nel libro delle prenotazioni sempre zeppo figurano VIP di Hollywood, primi cittadini ed ex-presidenti, pronti a fare la fila per cenare nei suoi locali.
Ma qual è il segreto dell’ormai settantenne Starr? Guadagna in scala: costruisce ristoranti dal design spettacolare e dall’atmosfera curata fino all’ossessione, replicando modelli vincenti. Dietro questo sfarzo, le luci calde e tutte dotate di dimmer e la musica calibrata al decibel, c’è un modello di business lucido e spietatamente efficiente. Starr ha portato l’alta ristorazione fuori dai salotti d’élite, rendendola accessibile a un pubblico ampio, disposto però a pagare per vivere l’esperienza, più che il piatto. È questo il suo genio e insieme il suo limite: costruire ristoranti come si costruisce un brand di lusso, replicabile pur sempre curato nei dettagli, dove ogni punto luce, playlist o tovagliato riflette un’estetica precisa. Ma il rischio è altrettanto chiaro: un appiattimento del sogno gastronomico.
L’impero di Starr non è senza tensioni: nel luglio 2025, la rappresentante democratica del Congresso Alexandria Ocasio-Cortez e il Membro del Senato Bernie Sanders hanno firmato un impegno a boicottare sei ristoranti a Washington D.C., incluse tre proprietà di Starr, Le Diplomate, The Occidental e Osteria Mozza, in segno di solidarietà con i lavoratori che si sono opposti al padrone. Le accuse rivolte al gruppo Starr riguardano presunte pratiche anti-sindacali, come pressioni sui dipendenti a rinunciare all’organizzazione collettiva in cambio di aumenti o promozioni, l’assunzione di consulenti esterni per scoraggiare il voto sindacale e presunte intimidazioni nei confronti dei sostenitori della campagna. In alcuni locali, come St. Anselm e Le Diplomate, l’azienda avrebbe anche contestato gli esiti o la validità delle elezioni sindacali davanti al National Labor Relations Board (agenzia federale indipendente a tutela dei diritti dei datori di lavoro) sostenendo irregolarità e casi di coercizione da parte del sindacato.
Parallelamente, diversi dipendenti e ex impiegati hanno denunciato condizioni di lavoro problematiche: episodi di molestie, discriminazioni di genere e razza, e carenze informative sui diritti legati alla maternità e al congedo familiare. Alcuni sostengono di aver subito riduzioni di orario o licenziamenti in seguito al proprio impegno sindacale. La società respinge ogni accusa, definendo il boicottaggio “infondato” e ribadendo di rispettare il diritto di voto dei lavoratori, offrendo, a suo dire, ambienti professionali, opportunità di crescita e benefit adeguati.
Se la ristorazione contemporanea negli Stati Uniti è un palco, Starr ne è certamente uno dei registi più abili e controversi. Ma dietro i riflettori e il fatturato con tanti zeri, la domanda resta: quanto può durare una forma di “industria dell’esperienza” prima che il consumatore desideri autenticità?
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