Profondamente influenzata dai Conquistadores spagnoli, che portarono nel Paese ingredienti e metodi di cottura nuovi, la cucina messicana sa offrire piatti golosi, compreso tantissimo street food da gustare camminando. Quello messicano รจ uno dei cibi da strada piรน famosi al mondo, che ha spopolato negli anni soprattutto negli Stati Uniti. Da non confondere con le specialitร della cucina Tex-Mex, fatta di nachos, chili con carne e fajitas, prodotto frutto della vicinanza culturale tra Texas e Messico, entrambi appartenenti alla colonia chiamata Nuova Spagna. Con lโindipendenza del Texas e il suo ingresso negli Stati Uniti, poi, la cucina si ampliรฒ, anche grazie alla facile reperibilitร di spezie e ingredienti vari: le ricette Tex-Mex oggi prevedono molto manzo, formaggio cheddar e cumino. Ma torniamo ai prodotti originari del Messico: ecco il cibo da strada da non perdere.
Spesso si dice che a portare le quesadillas in Messico furono gli spagnoli, ma in realtร questi fagottini di tortillas esistevano giร da prima, e si sono probabilmente sviluppati nelle regioni centro-meridionali del Messico. Forma primordiale delle quesadillas erano delle tortillas โ molto simili alle nostre piadine – riempite con la zucca, cotte nei forni di argilla e servite come dessert, giร popolari tra le popolazioni azteche. Col tempo, iniziarono a essere proposte in versione salata come pasto principale, in particolare dopo lโarrivo dei coloni spagnoli che portarono con loro mucche, agnelli e pecore nella Nuova Spagna. A loro si deve lโintroduzione dei prodotti caseari, che finirono allโinterno delle tortillas, dando vita alle quesadillas cosรฌ come oggi le conosciamo. Alla base della ricetta, le tortillas di mais, secondo molti storici della gastronomia giร parte della dieta degli Olmechi, antica civiltร precolombiana che viveva nella parte centro-meridionale del Messico, che poteva fare affidamento su estese coltivazioni di mais.
Cibo da strada antichissimo, giร consumato al tempo degli Aztechi e dei Maya, sono i tamales, degli involtini di foglie di mais ripieni di carne macinata, dalle origini incerte. Molti ritengono che siano stati gli aztechi a inventarli per fornire del cibo proteico e sostanzioso ai guerrieri durante la battaglia. Venivano cotti sulle ceneri, almeno fino a quando i conquistatori spagnoli non portarono pentole e padelle con loro, e le donne iniziarono a cuocere gli alimenti al vapore. Attorno ai tamales ruotano molte leggende e storie di stampo religioso: la piรน importante racconta di Tzitzimitl, la nonna di un dio che ha sacrificato il nipote per preparare venti tamales, usando la sua carne. Sono citati poi nel Popol Vuh, il documento mitologico dei Maya che racconta che gli esseri umani assunsero la loro attuale forma dalla pianta del mais. Gli involtini venivano, in ogni caso, offerti spesso agli di durante le cerimonie religiose, ancora di piรน dopo che i missionari spagnoli iniziarono a diffondere il cattolicesimo in Messico. Oggi sono fondamentali per una delle celebrazioni piรน importanti del Paese: il Dรญa de los Muertos, Patrimonio immateriale dellโUmanitร dal 2008, รจ una festa dei morti che non ha eguali in tutto il mondo, celebrata ogni anno dal 28 ottobre al 2 novembre, e che ha raggiunto il grande pubblico nel 2017 grazie al capolavoro della Pixar, Coco.
Oggi sono uno dei simboli della cucina tex-mex, ma i veri tacos sono originari del Messico ed esistono da molto tempo prima dellโarrivo degli spagnoli. Le popolazioni native usavano inserire allโinterno delle tortillas di mais ripieni sostanziosi e saporiti, come interiora e pesce. Erano il cibo della classe operaia, minatori compresi: per tempo, infatti, erano conosciuti come โtacos de mineroโ, ideali per sostenere i lavoratori delle miniere dโargento del Settecento. Negli Stati Uniti, dove hanno poi raggiunto una grande fama, i tacos ci arrivano nel 1905 grazie agli immigrati messicani giunti per lavorare alle ferrovie. Il nome deriva dalla parola tlahco, che in n?huatl โ la lingua della popolazione azteca โ significa โmetร โ, a sottolineare la forma chiusa.
a cura di Michela Becchi
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