Tradizioni

Struncatura, la pasta calabrese che un tempo non si poteva vendere

Storia della pasta ruvida che racconta la Calabria tra clandestinità, tradizione contadina e gusto autentico

  • 18 Agosto, 2025

Tra le strade polverose e i mercati vivaci della Piana di Gioia Tauro, un tempo circolava una pasta scura e ruvida che non figurava sugli scaffali ufficiali. Era la struncatura – o stroncatura – e per molti anni si vendeva sottobanco, avvolta in semplici fogli di carta, quasi fosse merce proibita. Una pasta di necessità, povera, che si faceva con quello che restava: le “scopature di magazzino”, residui di farina e crusca raccolti dai pavimenti dei mulini, impastati e lasciati essiccare.

Il suo colore cupo e il sapore talvolta acidulo raccontavano una storia di fame e ingegno. Destinata in origine agli animali, costava pochissimo e arrivava sulle tavole delle famiglie meno abbienti, spesso corretta con condimenti decisi – peperoncino, alici salate, olive nere – per attenuare l’acidità. La legge ne vietava la vendita per l’alimentazione umana, ma nelle botteghe locali, lontano dagli occhi di chi controllava, la si poteva comunque trovare.

Un’eredità arrivata dal mare

Le origini della struncatura non sono soltanto calabresi. La sua storia intreccia le rotte commerciali della Costiera Amalfitana, da cui giunse in Calabria insieme ai mercanti che, tra Ottocento e primo Novecento, intrattenevano intensi rapporti con la Piana di Gioia Tauro. L’Annuario d’Italia del 1895 segnala in zona una presenza consistente di commercianti di pasta provenienti da Amalfi, Atrani e dintorni. Proprio da lì arrivarono le prime forme di questa pasta scura, destinate agli animali, poi lentamente adottate dalla cucina povera locale.

C’è un nome, tra gli altri, che segna la storia recente della struncatura: Ferdinando Torre, originario di Atrani, che nel 1919 si trasferì a Gioia Tauro portando con sé la tradizione della pasta prodotta in Campania. Nella sua bottega, la struncatura – rigorosamente importata – diventò una consuetudine. E ancora oggi, la struncatura distribuita dalla Ditta Torre è realizzata da un pastificio campano che la produce con la stessa antica lavorazione di un tempo.

Dalla clandestinità al riconoscimento ufficiale

Oggi la struncatura non ha più nulla di illegale. Oggi, nel rispetto di rigorose norme igieniche, la stroncatura artigianale è prodotta da pochi pastifici artigianali a Gioia Tauro e dintorni e viene lavorata a mano in ambienti puliti e sicuri, con l’impiego di soli sfarinati di grani antichi. I produttori assicurano l’assoluta purezza del frumento utilizzato, senza l’azione di alcuna sostanza nociva, un impeccabile passaggio nelle trafile al bronzo, ed un’essicazione lenta che va dalle 18 alle 30 ore.

Il risultato di questa tecnica garantisce una varietà di pasta pregiata, che mantiene intatte le proprietà organolettiche della materia prima. Anche se meno ricca di crusca rispetto al passato è fedele nella consistenza: ruvida, porosa, capace di trattenere ogni goccia di condimento. Alcuni artigiani scelgono di confezionarla “alla vecchia maniera”, avvolta in carta, per mantenere intatto il richiamo alla tradizione.
Superata la diffidenza delle origini, la struncatura è entrata a pieno titolo nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della Calabria. È diventata ambasciatrice della cucina regionale anche oltre i confini locali, celebrata nelle sagre e presente nei menu di trattorie e ristoranti che vogliono raccontare il territorio.
La struncatura ha una struttura porosa e tenace, ideale per trattenere i condimenti. Ha un sapore deciso, leggermente amarognolo, dovuto all’uso della crusca, della segale e delle farine integrali.


Il condimento più fedele alla tradizione è figlio della cucina contadina: olio extravergine d’oliva, aglio, peperoncino, alici salate, olive nere e mollica di pane tostata. Pochi ingredienti, scelti tra quelli più facilmente reperibili nelle campagne e lungo la costa, che ancora oggi restituiscono alla struncatura la sua natura schietta e intensa.

Col tempo e con la diffusione del suo utilizzo in altre aree della Calabria sono nate varianti locali del condimento con aggiunte di olive nere, pomodori secchi, cipolla rossa di Tropea, finocchietto selvatico o sarde. Le caratteristiche tecniche della struncatura l’hanno trasformata in un ingrediente cult per alcuni chef locali e nei ristoranti più creativi la si incontra anche con bottarga, ragù di pesce spada, con lo stocco, con la colatura di alici, con crema di cime di rape o di formaggi erborinati, dimostrando la sua sorprendente versatilità.

Una storia che non si può lucidare

La bellezza della struncatura sta proprio nella sua imperfezione. Non ha il colore chiaro e uniforme delle paste comuni e non ha nemmeno una consistenza standard. Ma è proprio questo suo essere ruvida “con la scorza” che la rende sincera. La Calabria, del resto, non è mai stata una terra levigata. E la sua cucina ne è lo specchio.

Questa pasta non è solo un prodotto tipico: è un documento gastronomico. Parla di fame e dignità, di contadini e mugnai, di donne che impastavano di notte, senza dirlo a nessuno. È una pasta che veniva stesa su assi di legno in cucine senza finestre, asciugata al sole, cotta in silenzio.
Assaggiarla significa addentare un pezzo di storia della Calabria tirrenica: una pasta nata dall’economia di sussistenza, passata per la clandestinità e arrivata, con orgoglio, fino alla tavola contemporanea. Ruvida, scura, inconfondibile: la struncatura non ha mai smesso di essere ciò che è sempre stata, un simbolo di resistenza e identità.

La ricetta della struncatura calabrese

Ingredienti per 4 persone
• 400 g di struncatura
• 5 filetti di acciughe sott’olio
• 3 pomodorini maturi
• 1 spicchio d’aglio
• 1 peperoncino
• 5 cucchiai di mollica di pane fresco
• Prezzemolo fresco tritato
• Olio extravergine d’oliva
• Sale q.b.

Iniziate preparando la mollica: sbriciolatela e fatela tostare in padella con un filo d’olio extravergine finché non diventa dorata e croccante. Mettete da parte.
In una padella ampia, scaldate abbondante olio e fate rosolare l’aglio (privato del germe interno) insieme al peperoncino. Aggiungete i pomodorini tagliati a metà e i filetti di acciuga. Lasciate cuocere a fuoco dolce per circa 5 minuti, finché le alici non si saranno completamente sciolte, creando un fondo saporito.
A piacere, potrete arricchire il condimento con olive nere e capperi dissalati o pomodori secchi sott’olio: non fanno parte della versione più tradizionale, ma sono una variante molto apprezzata.
Nel frattempo, cuocete la struncatura in abbondante acqua salata. Scolatela al dente, tenendo da parte un po’ di acqua di cottura.
Trasferite la pasta nella padella con il condimento e fatela saltare per qualche minuto, aggiungendo un mestolo di acqua di cottura se necessario per amalgamare bene il tutto.
A fuoco spento, aggiungete il prezzemolo tritato e mescolate ancora. Impiattate e completate con una generosa spolverata di mollica abbrustolita.

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