Storie

Torino, dove tutto ebbe inizio: la leggenda del tramezzino

Nel cuore di Torino, un piccolo caffè custodisce l’origine di una delle invenzioni più amate d’Italia, nata da un viaggio, un’intuizione e un nome destinato a entrare nella storia

  • 06 Ottobre, 2025

Non c’è storia: il tramezzino è indiscutibilmente una gloria torinese, con tanto di data ufficiale. Nel caffè storico Mulassano, piccolo gioiello di boiseries sotto i portici di piazza Castello, una targhetta di ottone sulla vetrinetta dei tramezzini informa con discrezione – in perfetto understatement subalpino – che “Nel 1926 la signora Angela Demichelis Nebiolo inventò il tramezzino”.

Tramezzini e pancarré

Mulassano Bar

Dietro c’è la storia avventurosa di una coppia di piemontesi emigrati negli USA. Angela Demichelis va in America a 15 anni, agli inizi del ‘900. E a Detroit conosce e sposa Onorino Nebiolo, che di anni ne ha il doppio e con i fratelli e i cognati gestisce ristoranti e locali notturni. Ma la voglia di tornare in Italia è tanta (si dice anche che gli affari dei Nebiolo facciano gola alla mafia italoamericana) e così, saputo che a Torino, in piazza Castello, è in vendita il locale di Amilcare Mulassano, titolare della famosa Distilleria Sacco, i Nebiolo decidono di tornare e con i risparmi degli anni americani nel 1925 acquistano il Mulassano. È Angela, una donna decisa, che ha preso la patente in America, a dare una svolta al locale. Dagli States i Nebiolo hanno portato il primo tostapane, bella novità per Torino. Ma non basta: l’idea geniale di Angela è usare lo stesso pane morbidissimo per il toast, il pancarré, tagliando via la sottile crosta e senza farlo tostare. per fare dei paninetti farciti di cose buone (si narra che i primi siano stati di burro e acciughe, un must ancora oggi) che hanno subito un gran successo.

E qui tocca aprire una parentesi: anche il pancarré sarebbe nato a Torino, una storia ottocentesca legata all’ultimo boia, Piero Pantoni, a cui i panettieri, in segno di disprezzo servivano il pane al contrario. Il re emana un’ordinanza di divieto di quel gesto discriminatorio e che fanno i panettieri? inventano un pane squadrato, uguale sopra e sotto, che possono continuare a servire rovesciato ma senza incorrere in sanzioni: il pancarré.

D’Annunzio e un nome che entra nel mito

In quanto al nome è stato qualche anno dopo Gabriele D’Annunzio, frequentatore abituale di Mulassano, a ordinare «uno di quei golosi tramezzini», prima di pranzo, e a inventare un nome di culto. Forse ispirato ai tramezzi di legno della casa in Abruzzo,o piuttosto al fatto che fossero perfetti per uno spuntino «in mezzo» tra colazione e pranzo. Certo, D’Annunzio di nomi per alimenti o come testimonial ne ha al suo attivo parecchi, dal liquore Aurum, all’Amaretto di Saronno, l’Amaro Montenegro, Saiwa e Rinascente (sembra facendosi profumatamente pagare, ma non ci sono documenti che lo attestino a proposito del tramezzino torinese). Solo più tardi quel “paninetto” si diffonde a Venezia come el tramesin e da qui nel Veneto. Nel luglio 1936 “La Cucina Italiana” rende ufficiale e nazionale il tramezzino scrivendone la prima ricetta.

La-Cucina-Italiana_Il-Tramezzino_Luglio-1936-edited

La Cucina Italiana 1936

E il paninetto di Angela Demichelis Nebiolo (che per la cronaca è morta a Torino nel 2003, alla veneranda età di 99 anni) diventa un cult, esempio ante litteram di food design. Da Mulassano nel corso degli anni lo hanno gustato generazioni di torinesi, gli attori del vicino Teatro Carignano, i lirici del Teatro Regio, i pittori Luigi Spazzapan, Italo Cremona, Gigi Chessa, Mario Soldati, Dario Argento.. Se il Mulassano ha la primogenitura, oggi i tramezzini sono “ il” paninetto torinese per definizione e un culto soprattutto nei caffè storici, con chi parteggia per quelli ideati da Angela Demichelis Nebiolo, chi preferisce quelli, anche in formati più piccoli, del vicino Baratti, o quelli di Zucca, di Platti… Triangolari come in origine o rettangolari. E gli abbinamenti si moltiplicano (anche 20/30 proposte diverse), compresi con tartufi e aragosta, e con pane a sapori diversi.

Il tramezzino perfetto

Sono nati anche corsi per imparare a fare un perfetto tramezzino. Lo insegna Paola Mazzier, torinese appassionata di cucina (propone impeccabili versioni di home restaurant alla piemontese) e di buon vino (è sommelier e lo produce a Montegrosso d’Asti) che nella sua Casa Pepita in via Assarotti tiene corsi di tramezzini. Almeno 2 volte al mese, per 8 persone al massimo (www.casapepita.it), ma si possono organizzare anche in date diverse a richiesta. Si comincia dal pancarré che viene prodotto direttamente. Ovviamente «visto che non tutti hanno a casa una planetaria» Paola dà consigli su dove acquistare il pancarré ideale per i tramezzini.

Momento fondamentale del corso è l’arte del taglio del pane, per ottenere i tramezzini su misura per dimensioni e spessore (Paola è per «fette un po’ più spesse»). Poi si passa alle farciture. Classica immancabile tonno e carciofini insieme a prosciutto crudo e funghetti, robiola e crema di olive, prosciutto cotto e maionese alla senape. Maionese che deve essere leggera da spalmare sulle fette e si insegna come farlo nel modo giusto, dopo di che i tramezzini vengono inseriti in bauletti pane che ne possono contenere otto (e che ci si porta a casa dal corso).

Il ritorno del sanguis

Postilla finale. Nella patria del tramezzino c’è anche un’altra versione del “sandwich all’italiana”: il sanguis. Trasposizione in piemontese proprio della parola inglese sandwich, che i vecchi torinesi usavano per indicare il panino imbottito inventato da lord Sandwich per continuare a giocare a carte e insieme rifocillarsi. E qui niente fettine sottili di pancarré ma panini farciti belli robusti. Oggi quasi estinti ( e nessuno più li chiama così). Ma a Porta Palazzo, cuore della vecchia Torino, nel rinato Caffè Roma, in collaborazione con le cucine del ristorante San Giors che gli sta a fianco, è tornata la tradizione dei “sanguis” piemontesi, bella idea. Preparati con il pane di Luca Scarcella, panificatore-lievitista d’eccellenza, recuperano le ricette sabaude. Vitello tonnato, acciughe al verde, peperoni con la bagna cauda, l’antipasto Gianduja, la frittata. Il più nuovo e apprezzato è ripieno di camembert, salame di Turgia delle Valli di Lanzo e miele, un perfetto abbinamento da sanguis rivisitato in chiave creativa.

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