È sicuramente uno degli ingredienti siciliani più declinati. Una versatilità che le consente, nel panorama dolciario, di essere fonte di numerose ricette. Non di sola granita, biancomangiare e paste vive la mandorla. Quella della “zuppa di mandorle”, è una preparazione antica di cui si è persa traccia, che affonda le sue radici in una doppia tradizione: la cucina conventuale, familiare e borghese dell’Ottocento, e quella iberica (soprattutto spagnola-catalana) di epoca medievale, con forti influenze e radici arabe.
Nella Sicilia orientale (Catania, Modica, Ragusa), era nota con i nomi di zuppa di latte di mennuli, zuppa bianca o crema di mandorle. Si trattava di una zuppa dolce, servita calda durante l’inverno, arricchita con zucchero, scorze di agrumi, cannella, e spesso accompagnata da pane raffermo tostato o addensata con amido. Era diffusa sia nelle case popolari che in quelle nobiliari, e veniva consumata soprattutto in occasione delle festività natalizie, come dolce da sera nei periodi di digiuno. In alcune famiglie si serviva il 6 gennaio a colazione, come gesto affettuoso e rituale per l’Epifania.
La storia e la ricetta hanno appassionato e continuano ad appassionare storici e pasticceri. Ne scrive Mary Taylor Simeti, scrittrice americana ma di adozione siciliana, nei suoi libri Pomp and Sustenance. Twenty-five Centuries of Sicilian Food e Dolci conventuali di Sicilia.
Taylor Simeti parla del biancomangiare, dolce tipico siciliano diffuso nella cucina baronale siciliana di fine Settecento, e del biancomangiare alla catalana che è preparato con mandorle, farina d riso, brodo di pollo. Anche il pasticcere siciliano di Mezzojuso, Giuseppe Zito, si è imbattuto nella zuppa di mandorle durante le ricerche per il libro a cui sta lavorando sulla storia della pasticceria siciliana. «Quella della zuppa di mandorle è una storia di dolcezza discreta, che attraversa culture, classi sociali e ambienti religiosi. La Sicilia l’ha accolta e fatta sua, adattandola alla stagionalità e alla simbologia cristiana», commenta Giuseppe Zito.
«Nei conventi femminili, come quello delle Benedettine di Palma di Montechiaro o delle Clarisse di Caltagirone, la zuppa di mandorle aveva anche un significato simbolico: rappresentava purezza, penitenza e dolcezza spirituale, ed era presente nei menù delle vigilie solenni. È un dolce che potrebbe meritare una rilettura contemporanea, magari in forma di dessert caldo al cucchiaio o come pre-dessert da degustazione invernale».
Chi ha già in menù la “zuppa di mandorle” è Corrado Assenza, il fondatore del Caffè Sicilia di Noto che della mandorla, cultivar “romana”, non è solo un grande custode ma anche un trasformatore creativo. Nel menù invernale la zuppa di mandorle- una sorta di budino caldo – altro non è che una miscela di acqua, mandorla, amido e zucchero con aggiunta di cannella infusa nel miele di fiori di arancio e granella di mandorla tostata. Gli stessi ingredienti del biancomangiare, preparata come un cappuccino e con la consistenza della cioccolata. «Nessuna tradizione dalle radici storiche. La zuppa di mandorle del caffè Sicilia nasce da un’esigenza pratica. Ci eravamo accorti che durante l’inverno mancava qualcosa di caldo da bere e che avesse come ingrediente le mandorle. È un modo diverso di gustare la mandorla in una stagione fredda e un’alternativa alla cioccolata», ci tiene a precisare Corrado Assenza.
Fonte: Cibo e identità nel Val di Noto, Kalòs Edizioni, 2007
Mandorle pestate e infuse in acqua calda, filtrate con panno di lino per ottenere un latte poi cotto con zucchero e aromi, e versato caldo su pane tostato. Si può aggiungere dell’amido per rendere il composto più cremoso.
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