I social hanno trasformato il cibo in un vero e proprio fenomeno visivo e di tendenza, spesso capace di influenzare gusti e consumi. Dalla Dubai Chocolate ai Franui, sono molti gli esempi di prodotti diventati virali più per l’estetica e il desiderio di appartenenza a un trend che per un apprezzamento autentico. Lo ha raccontato bene Alessia Lanza, tra le creator italiane più seguite (4.5 milioni di follower su TikToK), in un suo video dedicato al matcha. «Mi sono fatta corrompere facilmente perché tutti dicevano che era buonissimo, la bevanda della vita», ha ammesso, con ironia e trasparenza, riferendosi all’ondata di entusiasmo per il tè verde giapponese. Dopo averlo assaggiato, però, ha confessato che non le è affatto piaciuto, aggiungendo un commento che offre una riflessione più ampia: anche lei si è sentita spinta a provarlo, più per il peso del trend che per un reale interesse personale. Il tè matcha, originario del Giappone, è finito ovunque in questi ultimi anni: nei cappuccini di Starbucks, nei dolci, nei cosmetici e soprattutto nei feed di Instagram e TikTok. Ma dietro il suo colore verde brillante, la sua aura salutistica e il suo fascino zen, si nasconde una realtà molto meno sostenibile e decisamente più problematica.
La popolarità del matcha ha avuto un’esplosione vertiginosa, specialmente negli ultimi due o tre anni. Nel 2024, ha rappresentato oltre la metà delle 8.798 tonnellate di tè verde esportate dal Giappone, (secondo i dati del ministero dell’agricoltura giapponese) il doppio rispetto a dieci anni fa. In un’intervista al Japan Today, Zach Mangan, fondatore di Kettl Tea a Los Angeles, afferma che la domanda ha quasi raddoppiato il mercato globale nel giro di un solo anno. Tuttavia, la produzione non riesce minimamente a tenere il passo.
Per ottenere matcha di qualità, le foglie – chiamate tencha – vengono coltivate in ombra per diverse settimane prima del raccolto. Questo passaggio serve a concentrare clorofilla, aminoacidi e altri composti aromatici. Dopo la raccolta le foglie vengono private delle venature a mano, essiccate e macinate finemente. Il processo è lento e richiede personale altamente formato. Masahiro Okutomi, quindicesima generazione di coltivatori a Sayama, in Giappone, afferma su Japan Today che produrre buon matcha è un lavoro che richiede anni d’investimenti costosi in macchinari e una manodopera sempre più difficile da provare.
In questo contesto, la richiesta incessante del mercato internazionale, spinta da influencer e tendenze social, sta mettendo a dura prova i piccoli produttori giapponesi. Alcuni, come Okutomi, si sono visti costretti a interrompere gli ordini online per non compromettere la qualità o il ciclo naturale della produzione. Eppure, gli scaffali dei negozi occidentali continuano a svuotarsi nel giro di pochi giorni.
A complicare ulteriormente la situazione ci sono le politiche commerciali internazionali. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno imposto dazi del 10% sui prodotti giapponesi, con un possibile aumento al 24% sotto la politica commerciale del presidente Donald Trump. Questo fa aumentare ulteriormente il prezzo finale del matcha, alimentando una spirale di speculazione che nulla ha a che vedere con la qualità o con la cultura del tè giapponese. Mangan, il fondatore di Kettl Tea, ammette che i prezzi sono già aumentati, un bicchiere arriva a costare più di 10 dollari e le confezioni da 20 grammi di polvere dai 25 fino a 150 dollari.
Nel mondo occidentale, il matcha è diventato una moda estetica più che una bevanda culturale. È amato per il suo colore, per la fotogenicità nelle tazze da latte, per le connotazioni salutistiche e per il suo legame, più immaginario che reale, con una spiritualità orientale di comodo. Ma in tutto questo entusiasmo visivo, ci si dimentica che il matcha ha origini antiche, legate alla cerimonia del tè giapponese, alla lentezza, alla contemplazione e alla qualità. Prepararlo richiede pazienza e tecnica; gustarlo dovrebbe essere un’esperienza consapevole.Una pausa dal matcha – o quantomeno un consumo più critico, informato e rispettoso – potrebbe essere il primo passo per evitare che questo prodotto prezioso scompaia, travolto dalla sua stessa popolarità.
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