Una cantina “errante” che fa vini di territorio, ma in luoghi ogni anno diversi, sulla base di una viticoltura nomade, fortemente ispirata a una visione naturalista. Sembra un sogno impossibile, un cartone di Hayao Miyazaki, un racconto di Jules Verne. Eppure esiste. Nata grazie alla passione per il vino e per il viaggio, unite nella scoperta di terroir che impongono la loro personalità unica. I due protagonisti di questo sogno vitivinicolo al ritmo di una ballata country sono Gian Piero Ioli, architetto visionario della Valtellina, e Maria Elena Dioguardi, sommelier e viaggiatrice dal cuore ribelle. Li abbiamo incontrati nel corso di Piccolo è bello, l’evento sui piccoli produttori dell’Etna organizzato ogni anno a Catania da Agata Arancio, sommelier esperta e vicepresidente della Fis Sicilia.
Gian Piero aveva già fondato la cantina Dislivelli in Valtellina nel 2020. Un vigneto di chiavennasca — il nome valtellinese del nebbiolo — nella zona della Sassella per produrre esclusivamente vini Igt. «Volevo liberarmi dai rigidi schemi dei disciplinari per realizzare un vino dall’approccio più essenziale, seguendo un principio antroposofico: lasciare che la natura si autoregoli in vigna e si esprima liberamente in cantina. Questo significa a volte rinunciare a parte della produzione».
Il metodo naturale è essenziale: spazio ai lieviti e alle pruine presenti in natura, fermentazione intracellulare spontanea e un lungo contatto con le bucce, che dura almeno quattro mesi. Nella cantina, risalente al Settecento, si utilizzano anfore sferiche Clayver o Pallò. «Gli acini, perfetti, entrano interi e sgranellati in queste forme, con circa il 10% di raspi», spiega Ioli. Dopo la separazione dalle bucce, il vino riposa ancora per cinque mesi in anfora prima di essere imbottigliato.
A un certo punto arriva la svolta: Maria Elena Dioguardi approda in Valtellina a bordo della sua Mini Cooper degli anni ’90, alla ricerca di storie da scoprire in un bicchiere di nebbiolo alpino. Durante un evento in cui Gian Piero racconta i suoi vini, i due si incontrano e scoprono di condividere la stessa passione per il vino e per il viaggio. Maria Elena racconta: «Nel 2022, mentre girovaghiamo per l’Italia, ci fermiamo in Umbria: lì nasce l’idea di creare un vino itinerante, un vino che racconta il viaggio. Troviamo un vigneto del 1955 nel borgo di Bevagna, dove il proprietario coltivava ben 11 varietà da cui ricavava un unico vino. Dopo averne parlato con lui, decidiamo di gestire la vigna per quell’anno, dando vita a un vino rosso con sei varietali e a un orange con cinque». Nasce da questo incontro un progetto vitivinicolo completamente nuovo, intitolato “Numero” (tra poco scopriremo perché). Maria Elena e Gian Piero lavorano praticamente da garagisti, perché quasi mai il proprietario del vigneto ha una cantina. I due si appoggiano in una cantina locale dove sistemano delle anfore ogivali in argilla di Impruneta, ergonomiche e facili da trasportare.
Dalla vendemmia ’22 in Umbria vengono fuori duemila bottiglie, poi i due partner in wine si spostano in Sicilia. Entrambi sono appassionati del mare: la tappa successiva diventa così Marsala, centro iconico della viticoltura trapanese. «L’interpretazione classica dell’uva grillo non ci convinceva – racconta Maria Elena – sempre troppo aromatica, troppo ricca di zucchero e di alcol. Troviamo dei vigneti in Contrada Spagnola che finiscono a ridosso delle saline e ci appoggiamo a una cantina molto grande della zona. Stavolta niente anfore, dato il caldo del ferragosto: abbiamo svolto la vinificazione in una grande vasca di cemento tumulata nel terreno. Grazie alle dimensioni della vasca, dalla vendemmia 2023 abbiamo ricavato circa ottomila bottiglie».
Sperimentata la Sicilia occidentale, la tappa successiva di questo nomadismo vitivinicolo non può che essere l’Etna. «Fare una vinificazione in Sicilia e andar via subito ci sembrava prematuro. Per noi rappresenta un magnete. È un’isola molto diversa: a Trapani e Marsala hai il contatto con il sale, sull’Etna hai il contatto con la mineralità. L’Etna è un’altra Sicilia», spiega Maria Elena. I due si spostano dunque ad Adrano, sul versante est del vulcano, quello meno battuto e meno conosciuto, per la vendemmia del 2024: lì realizzano un vino bianco a base di carricante, grecanico dorato e recunu e un rosso con nerello cappuccio, nerello mascalese e grenache.
Ma tra poco si riparte: destinazione Pantelleria per preparare la vendemmia 2025. «Può essere l’occasione per chiudere la parentesi siciliana, ma ancora non lo sappiamo», ammette Gian Piero. «Abbiamo trovato due vigne non lavorate nella zona di Khamma, situata sul versante orientale dell’isola: l’idea è di fare un vino secco da uve zibibbo. E forse anche qualche bottiglia di passito, per provarlo con gli amici». L’iniziativa si fa sempre più avventurosa: «Ci sono diversi dammusi ma non sono adeguati per vinificare. Nel momento della vendemmia, dove la calura è massima, ci vuole un ambiente freddo. «Siamo ancora alla ricerca di una cantina di appoggio. Però – scherza Gian Piero – stiamo pure perlustrando la costa alla ricerca di qualche anfratto nel mare dove potremmo vinificare».
Con la loro vita freestyle e i loro vini senza copione, Gian Piero e Maria Elena stanno scrivendo così una storia mai scritta: quella del vino naturale errante. Ma a questo vino, che ha lo spirito anarchico dell’arte, serviva anche un volto, un simbolo, una firma. Il colpo di fulmine arriva per un disegno del 1969 di Gianni Secomandi, artista della storica Galleria Numero, fondata dalla gallerista e collezionista d’arte Fiamma Vigo negli anni ’50. Da lì nasce il nome del progetto: “Numero” come l’originale, l’unico, l’irripetibile. Le etichette dei vini fatti a Bevagna e a Marsala sono invece ispirate ai tratti poetici di Kengiro Azuma, artista giapponese, altro spirito libero degli anni ’60. L’autore dell’etichetta del vino etneo è invece Paolo Barlascini, un pittore valtellinese che vive e lavora a Berlino: il disegno rappresenta due astronauti – Maria Elena e Gian Piero – su un paesaggio lunare (quello dell’Etna), immersi nel fumo (del vulcano).
Il viaggio del progetto non si ferma. «Desideriamo apprendere sempre di più, non soltanto nell’arte della vinificazione, ma anche nel prezioso universo delle relazioni umane: lasciarci ispirare dagli incontri, dalle storie delle persone, dai loro usi e costumi. Con noi portiamo il nostro modo di fare vino, dando vita a uno scambio di idee e di emozioni», continua Ioli. Ed ecco il sogno nel cassetto: «L’Etna ha un fascino irresistibile e ci stiamo lasciando sedurre dall’idea di creare uno spumante. Ci piacerebbe riscoprire e onorare l’antica storia dello Champagne dell’Etna, quella del barone Spitaleri». Le vigne scelte sono quelle di Alfredo Tomasello e Tino Biancato, custodi della terra etnea. «Con Alfredo si è creato un legame profondo, un’amicizia autentica: lui riporterà alla luce un antico palmento, e io mi dedicherò alla sua rinnovata architettura. Grazie anche a Maria Elena e a me, Alfredo ha riscoperto la bellezza delle sue vigne. Forse, dopo questo nuovo esperimento, sentirà il desiderio di far rivivere con nuova energia la sua azienda». Così, la cantina errante potrebbe fare sull’Etna una sosta più lunga. Perché il vino è l’arte dell’incontro. E l’incontro crea radici e legami anche per i nomadi del vino.
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