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Cosa succederebbe se tutti i cinesi iniziassero a bere più di mezza bottiglia di vino all'anno

Oggi il consumo pro-capite è minuscolo, ma il potenziale è sbalorditivo. Senza contare la tradizione del Paese nella produzione di alcol

  • 29 Maggio, 2025

Servirebbero pagine per fare un riassunto, comunque piuttosto approssimativo dell’andamento del vino Made in China. Suggerisco vivamente, per chi vuole approfondire, il libro di Janet Wang The Chinese Wine Renaissance: A Wine Lover’s Companion recentemente ripubblicato da Académie du Vin. Il consumo pro-capite è minuscolo – appena più di mezzo litro l’anno – ma, per questioni di mera matematica e demografia, il potenziale di consumo interno è sbalorditivo. Ricordiamoci che il più grande produttore di baijiu, Kweichow Moutai, un distillato sconosciuto ai più in Occidente, a fine 2024 fu valutato più di Coca Cola company. Nel 2023, il consumo di vino in Cina è stato di circa 680 milioni di litri, collocandola tra i primi dieci paesi consumatori di vino al mondo. Figuriamoci se iniziassero a bere più di mezza bottiglia ogni anno!

La tradizione delle bevande fermentate e dell’alcol

La Cina è il paese con i più antichi reperti archeologici che attestano l’esistenza di bevande fermentate. Addirittura, la caduta di due antiche dinastie è stata attribuita all’eccessivo consumo di alcolici cui sono dedicate risme di poesia. Grande quasi quanto l’Europa, i suoi confini avvolgono molte zone climatiche. Alcune aree dell’entroterra mettono a dura prova la nostra cara vitis vinifera. Per far sopravvivere le piante alle rigidissime temperature invernali, queste vengono piegate e coperte per poi essere riscoperte in primavera, con costi di manodopera importanti, mentre nelle regioni costiere i monsoni portano inevitabili muffe e marciumi.

Gli areali più vocati sono di sicuro Penglai nello Shandong per i bianchi freschi e la sempre più conosciuta Ningxia per i vini rossi in stile Bordeaux.

Emma Gao, produttrice della cinese Silver Heights

L’era moderna del vino dagli anni ’90

Anche se in Cina si fa vino dai tempi della Via della Seta, verosimilmente l’era moderna del vino cinese è iniziata negli anni ‘90, quando il consumo di prodotto nazionale è aumentato in concomitanza con il boom di acquisti di vini francesi, soprattutto i Grand Cru Classé di Bordeaux. Purtroppo l’uso essenzialmente “politico-relazionale” che si faceva di questi vini ne ha disegnato una parabola che ha toccato il fondo quando sono stati vietati i regali ai funzionari statali, circa 12 anni fa. Oggi si vede sempre più vino cinese di pregio, sono lontani nella mente gli embrionali esercizi in stile “sciroppo per la tosse”.

La recente riconfigurazione sia della struttura produttiva che di quella import-export lascia intendere che il settore può maturare ed evolversi in qualcosa di più snello e funzionale. La classe media è in costante crescita e l’industria vitivinicola cinese ha un forte sostegno governativo. Tenete d’occhio il Marselan, incrocio tra Cabernet Sauvignon e Grenache Noir nato nel 1961: si sta affermando come “varietà di bandiera”; e preparatevi all’assaggio di vini che rispettano tutti gli standard internazionali, sia di sostenibilità che organolettici.

Una bottiglia di vino cinese da non perdere 

Di diritto al vertice del vino cinese di qualità, Silver Heights è già alla terza generazione della famiglia Gao. Emma, oggi alla guida, è stata la prima a laurearsi in enologia all’Università di Bordeaux. I 70 ettari di vigneti sono sul versante est delle montagne Helan in Ningxia, su suoli di origine desertica situati a 1.200 metri di altitudine. Nonostante la condizione così estrema, si coltiva da sempre in regime biologico, e dal 2017 in conversione biodinamica. Emma’s Reserve è un Cabernet Sauvignon che sa coniugare ambizione e profondità. E si trova anche in Italia.

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<<<< Questo articolo è stato pubblicato su Trebicchieri, il settimanale economico di Gambero Rosso.

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