Neo-salutismo, economia, sfide ambientali, nuovi stili di vita: il vino deve cambiare. Per il futuro servono formazione e nuove strategie in campo, in cantina e sui mercati. Parole chiave: leggerezza e biodiversitร .
ร la fine del vino come lo conosciamo? Oppure รจ un nuovo inizio? Se lo chiedono tutti in questi mesi di grande incertezza, a cavallo un 2024 da dimenticare e un 2025 che, tra rischio dazi Usa e consumi interni che continuano a rallentare, potrebbe andare anche peggio. ยซร ancora presto per parlare di crisi strutturale โ spiega Alberto Mattiacci, docente di marketing e business dellโUniversitร La Sapienza โ ma di certo รจ in atto un cambiamento epocale: siamo passati da una fase in cui il vino era raccontato solo come un prodotto positivo e senza ombre allโeccesso oppostoยป. Dopo la carne, i latticini e persino lโolio extravergine dโoliva โ al quale il Nutriscore proposto da alcuni paesi UE poteva dare il colpo di grazia โ lo zelo salutista di una parte di istituzioni, media e consumatori ha travolto anche il nettare di Bacco, sommandosi a cambiamenti politici, sociali ed economici, oltre che allโaltra crisi, ovvero quella climatica, che comporta riduzioni di volumi, aggravi di costi e risultati nel bicchiere spesso diversi da quelli desiderati.
Certo, chi produce vino non รจ senza colpa: ยซIl problema รจ stato pensare che il bengodi durasse per sempre e che si potesse continuare a mettere qualsiasi cosa dentro a una bottiglia e vendere a qualunque prezzoยป, suggerisce Mattiacci. Nel mezzo di questa bolla, gli addetti ai lavori hanno spesso trascurato lโesigenza di una formazione a tutto campo, che ora, invece, si rivela indispensabile per superare lโimpasse. ยซChi saprร creare davvero creare valore ne uscirร indenne, gli altri noยป. E allora la rivoluzione del vino 2.0 passa per un ripensamento di competenze e strategie che parte da vigna e cantina e arriva al marketing, alla comunicazione e, se occorre, allo sviluppo di nuovi prodotti. La viticoltura รจ lโambito in cui si รจ rimasti meno a guardare. LโItalia puรฒ contare su istituti di ricerca di eccellenza e consulenti agronomici richiesti in tutto il mondo che da tempo lavorano su metodi per contrastare la crisi climatica in vigna.
A fronte di previsioni pessimistiche che parlano di uno stravolgimento ancor piรน drastico del clima nel prossimo ventennio, ci si chiede se esista o meno un modo per garantire che i territori oggi vocati allโeccellenza rimangano tali. ยซLa vocazione non รจ qualcosa di assoluto e statico: cambia nel tempo โ risponde Attilio Scienza, professore emerito dellโUniversitร di Milano e curatore del Master “Il futuro del vino” di Gambero Rosso Academy โ in futuro sarร piรน connessa a ciรฒ che cโรจ attorno alla vite. La vite si รจ sviluppata per secoli come liana legata ad altre piante arboree; interagisce attraverso scambi di sostanze volatili con lโecosistema circostante e sviluppa resistenza luminosa, termica e parassitaria.ย La presenza di un bosco o di altre piante arboree nelle sue vicinanze ha un effetto mitigante molto importante. Per fronteggiare il riscaldamento globale e produrre vini in linea con la richiesta dei consumatori di maggiore leggerezza, diventa essenziale favorire in ogni maniera possibile la biodiversitร ยป. Lโaltro enorme problema รจ la siccitร : ยซLa distribuzione delle piogge sta cambiando: quelle torrenziali fanno sรฌ che lโacqua scivoli via e sono spesso alternate a lunghi periodi secchi. La soluzione viene dai portainnesti che, se scelti bene, non sono solo capaci di incrementare lโefficienza idrica, ma possono addirittura migliorare la qualitร dellโuva, contribuendo alla produzione di sostanze che evitano i danni da carenza di acquaยป.
Intorno allโidea di sostenibilitร , imprescindibile di questi tempi, cโรจ tanta ambiguitร : pratiche come lotta integrata, biologico e biodinamica sono difficilmente discernibili da parte del consumatore. Peraltro, non bastano piรน a garantire il rispetto assoluto della natura, perchรฉ metalli pesanti come rame e zolfo โ utilizzati contro peronospora e oidio e ammessi in qualunque regime โ hanno un impatto tutto meno che trascurabile sul serio.
Una soluzione per una viticoltura a residuo zero potrebbe essere lโutilizzo di vitigni resistenti: i Piwi, creati dallโincrocio di vitis vinifera con altre specie, ma anche quelli modificati con la tecnologia CRISPR. ยซCon questa tecnica otteniamo varietร che sono le stesse coltivate da sempre, ma che, grazie alla rimozione o sostituzione di alcuni geni, hanno una resistenza molto maggiore agli agenti nociviยป, spiega Riccardo Velasco, direttore del CREA, in un intervento al Valdarno di Sopra Day. LโItalia รจ allโavanguardia nella ricerca in questo campo, anche se diverse associazioni di ambientalisti, consumatori o coltivatori si oppongono ed equiparano le nuove tecniche genomiche con gli organismi geneticamente modificati โ in realtร diversi perchรฉ ottenuti con lโaggiunta di geni da specie diverse โ reputando ogni sperimentazione immorale e potenzialmente incontrollabile. ยซChi รจ contro pensa che ci possa essere una contaminazione con lโambiente circostante โ afferma Maurizio Gily, uno dei piรน importanti agronomi italiani โ ma una cosa del genere puรฒ avvenire al massimo laddove cโรจ impollinazione, non di certo nel caso di una pianta arboreaยป.
A una nuova viticoltura deve corrispondere un nuovo modo di pensare la cantina. Negli ultimi anni, sul banco degli imputati sono comparsi molto spesso gli enologi, visti dai consumatori piรน disamorati come machiavellici sofisticatori che, seguendo protocolli invasivi, foraggiano la cosiddetta โomologazione del gustoโ. Una visione ribaltata rispetto a ventโanni fa, quando assoldare il consulente giusto sembrava sufficiente per ottenere rapido successo.
Oggi non รจ raro imbattersi in aziende che fanno del non avvalersi di un enologo un vanto. Ma la risposta a certi eccessi non puรฒ essere lโesaltazione dellโapprossimazione, che peraltro rischia di avere esiti non molto diversi, visto che non cโรจ nulla di piรน omologante del difetto organolettico.
Piuttosto lโenologia deve essere meno correttiva e piรน interpretativa: ยซFino a ora, si รจ spesso lavorato per compartimenti stagni: chi stava in vigna si limitava a produrre uva e in cantina ci si occupa solo della trasformazione โ spiega Mattia Filippi, titolare di Uva Sapiens, uno dei team italiani che offrono consulenze alle aziende nel segno della sinergia tra viticoltura ed enologia โ dobbiamo inaugurare un nuovo umanesimo del vino, che ci permetta di superare la fase medievale della sovrapproduzione e della troppa industrializzazione, per arrivare a unโenologia che abbia come obiettivo lโespressione allโidentitร del luogo, la spontaneitร e la digeribilitร , richieste dai consumatori nel vino come anche nel ciboยป. Questo processo si allinea con la ricerca della leggerezza: ยซNon servono forzature per produrre vini contemporanei: basta avere una conoscenza perfetta dellโuva di partenza. Ed รจ per questo che, dallโAlto Adige a Pantelleria, passando per Napa Valley, seguiamo tutta la filiera, arrivando allโoccorrenza anche a supportare la comunicazione, perchรฉ basarla su elementi concreti e verificabili รจ la strategia vincenteยป.
Per Alberto Mattiacci, marketing e management del vino sono quasi allโanno zero: ยซNon รจ unโindustria di aziende, ma di partite Iva. Mancano competenze: molti produttori non sono capaci di fare mercato. E non esiste in nessun altro settore lโidea di limitarsi a realizzare un prodotto e pensare che si venda soloยป.
Insomma, avere un esercito di tecnici ineccepibili non basta: in futuro ci dovranno essere piรน figure con formazione economica e manageriale al timone delle aziende, che sappiano posizionare il vino e studiare i mercati, invece di lasciarsi trascinare dalla corrente. Oltre alle difficoltร individuali esiste anche un problema collettivo: lo spirito anarcoide italiano si traduce in una difficoltร enorme nel veicolare unโimmagine chiara di prodotti e territori. ยซI francesi sono maestri in questo โ sottolinea Mattiacci โ si veda lโesempio dello Champagne. Loro hanno incentrato tutti i loro sforzi sul fare in modo che berlo diventasse un atto celebrativo: organizzano eventi e campagne pubblicitarie, hanno inventato il sabrage, instillano anche nella mente del profano lโidea che nella bottiglia cโรจ qualcosa di speciale. Noi dovremmo fare lo stessoยป.
Sui giovani, che secondo alcuni non bevono piรน vino, la prospettiva piรน interessante arriva da Danielle Callegari, referente per Wine Enthusiast e tra le voci piรน importanti per il vino italiano Oltreoceano: ยซOltre a essere degustatrice sono anche docente di storia allโUniversitร e ogni volta che racconto ai miei studenti dellโaltra professione, si dimostrano molto incuriositi. Dicono che sapere qualcosa sul vino รจ necessario per sentirsi adultiยป. Quindi, piรน che sugli appena maggiorenni, sarebbe giusto concentrare gli sforzi su chi รจ in una fase di transizione? Probabilmente sรฌ, ma un modo per anticipare lโetร dellโapproccio esiste: รจ portare il vino fuori dallโaccademia e dai contesti formali associati allโetร adulta. I tanti wine bar aperti negli ultimi anni hanno giร avviato questo percorso: sedersi al bancone รจ un modo conviviale e disimpegnato di imparare qualcosa; gli eventi โ specie quelli del vino naturale, piรน scevri da rituali โ sono lโaltro catalizzatore di consumatori giovani che preferiscono il dialogo e il confronto diretto allo studio in aula.
Difficile pensare a un’industria del vino del futuro senza prodotti alternativi, che non entrino in conflitto con quelli tradizionali ma permettano di raggiungere nuovi consumatori. Da questโanno la dealcolazione in Italia รจ diventata finalmente una possibilitร , nonostante le ritrosie da parte della maggioranza dei produttori. Tra di loro, c’รจ chi si chiede che senso abbia portare avanti una fermentazione e poi rimuoverne il risultato: cosรฌ non si ottiene un semplice succo d’uva? La risposta la dร Martin Foradori Hofstatter, produttore altoatesino e pioniere del no e low con la sua azienda Dr. Fischer in Germania: ยซIn Italia, questa categoria รจ ancora agli inizi e regna molta confusione, anche perchรฉ diversi succhi dโuva, almeno a livello di packaging, vengono presentati come vini dealcolati. Il costo di produzione dei succhi dโuva รจ significativamente inferioreยป. E inferiore รจ anche la qualitร organolettica: ยซTant’รจ che per produrre vino dealcolato devi partire da una materia prima eccellenteยป, spiega Foradori. Un nodo importante รจ quello delle barriere dโingresso: dealcolare รจ un processo molto costoso che richiede investimenti sostenibili solo dai grandi gruppi. Ma, se il mercato crescesse, potrebbero emergere soluzioni come quelle adottate per la spumantistica: ยซSono convinto che, presto o tardi, alcune aziende offriranno servizi di dealcolazione per conto terzi, permettendo cosรฌ anche alle realtร piรน piccole di adattarsi alle esigenze del mercatoยป. Cโรจ anche un altro problema: lโalcol รจ il principale schermante dallโossidazione. ยซNon si prestano sicuramente per le lunghe conservazioni in cantinaยป ammette Foradori. ยซIl rischio โ gli fa eco Mattia Filippi โ รจ che, non avendo longevitร , rimangano commodity con una data di scadenza, come tante altre bevandeยป. Dunque i produttori di cosiddetti fine wines possono dormire tranquilli: il vino pregiato del futuro sarร sempre alcolico. Ma questo non significa che la tipologia non possa avere un senso in alcune fasce: del resto non tutti i vini “tradizionali” sono fatti per durare trent’anni!
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