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Dazi Usa. Secondo il Governo al 10% non sarebbero impattanti, ma per la maggior parte delle cantine il rischio è alto

"Il danno ci sarebbe eccome", è il punto di vista di Frescobaldi. Secondo il sondaggio Uiv, infatti, le perdite stimate sarebbero tra il 10% e il 12%

  • 30 Giugno, 2025

Rimangono pochi giorni ancora per trattare ancora sui dazi Usa (la data ultima è fissata al 9 luglio), ma a sentire il mondo politico l’obiettivo è chiudere la partita al 10%. «Non penso che la misura del 10% sia per noi particolarmente impattante» ha detto nei giorni scorsi la premier Giorgia Meloni in linea con le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Sarebbe il caso di chiudere la questione dazi al 10%».

Non sembrerebbe, però, dello stesso avviso il vicepresidente per lavoro e relazioni industriali di Confindustria, Maurizio Marchesini che a Sky Tg Economia ha detto che sarebbe un dramma:  «Un 10% di dazi, unito a un 10% di svalutazione del dollaro è una specie di tragedia». Ma cosa ne pensa il mondo del vino?

Danno rilevante per il 77% delle imprese vitivinicole

Secondo un sondaggio dell’Osservatorio di Unione italiana vini tra le principali imprese del Paese, l’impatto per le imprese sarebbe complessivamente rilevante nel 77% dei casi: “medio alto” per il 61% e “molto alto” per il 16%. In termini di fatturato, il danno stimato si attesterebbe infatti in una forchetta tra il 10 e il 12%, su cui influisce anche il cambio euro/dollaro. Il motivo principale è chiaro: per il 90% delle imprese intervistate (il cui giro d’affari aggregato supera i 3,2 miliardi di euro), i consumatori non sarebbero in grado di assorbire l’extra-costo allo scaffale determinato dal dazio al 10%.

Le piccole aziende sarebbero le più colpite

«Il danno ci sarebbe eccome – è il commento del presidente Uiv Lamberto Frescobaldi – per le nostre imprese ma anche per la catena commerciale statunitense, che per ogni dollaro investito sul vino europeo ne genera 4,5 a favore dell’economia americana. In Italia saranno penalizzate in particolare le piccole imprese – molte di esse destinano oltreoceano fino al 50% del proprio fatturato – o le denominazioni bandiera negli Usa, come il Moscato d’Asti, il Pinot grigio, il Chianti, il Prosecco, il Lambrusco e altri».

Perché i consumatori americani potrebbero rinunciare al vino

D’altronde il vino non si inserisce tra i beni di prima necessità. E si sa, in periodo di incertezza, è proprio da quelli che il consumatore inizia a taglia, come ricorda Frescobaldi: «Il settore del vino è tra i maggiormente esposti all’aumento delle barriere, in primo luogo perché la quota export statunitense arriva al 24%, contro una media del made in Italy che supera di poco il 10%, ma anche perché il vino è un bene voluttuario quindi con una maggior propensione alla rinuncia all’acquisto».
I consumi di vino statunitensi mostrato i primi effetti: -10% solo a maggio. Mentre l’export italiano di aprile (primo mese di dazi al 10%) registra un calo del 7,5% a volume. Ancora sicuri che chiudere la quesitone dazi al 10% non sarà impattante?

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